Il 2018 è stato un anno positivo per gli Stati Uniti: il PIL è cresciuto ad un ritmo del 3%, la disoccupazione ha raggiunto i minimi storici attestandosi al 3,7% ed i salari sono aumentati mediamente del 4%. Di questo ha beneficiato anche l’industria del Retail che dovrebbe crescere del 4,2% rispetto al 2017 generando un giro d’affari record di circa 4,9 trilioni di dollari. Ma nel 2019 lo spettro della recessione preoccupa gli analisti a causa di alcune variabili difficili da controllare nel medio-lungo periodo: le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, il momento difficile di Pechino, la crisi politica interna di Washington e le incertezze legate all’Europa.
Si è appena concluso il Retail’s Big Show di New York organizzato dalla National Retail Federation. Exportiamo.it è stata tra le 1.000 testate accreditate all’evento che ha ospitato allo Javits Center oltre 37.000 visitatori, 16.000 retailers e 800 espositori provenienti da 99 Paesi diversi. Molto interessante è stata la tavola rotonda riservata ai media dagli analisti ed esperti del settore in cui sono state discusse le previsioni economiche del 2019 per ciò che concerne il mondo del retail americano con la presenza di Hack Kleinhenz (Chief Economist di NRF), Constance Hunter (Principal&Chief Economist di KPMG) e Steven Bitz (Chief US Economist di TS Lombard).
Ciò che è emerso dall’incontro sono le incognite legate innanzitutto all’andamento dell’economia globale, alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, all’innalzamento dei tassi della Federal Reserve che potrebbe frenare lo stimolo economico e, non ultima, la crisi politica interna statunitense causata dallo “shutdown” più lungo di sempre. Quest’ultimo, se si prolungherà fino al termine del mese di gennaio, potrebbe portare ad una contrazione del PIL pari allo 0,5%. Infatti secondo gli analisti a causa di questi fattori lo spettro della recessione potrebbe materializzarsi già nel 2019 e le ricadute non risparmieranno il mondo del retail. Non a caso negli ultimi giorni il titolo di Macys’ è crollato del 17,7% a Wall Street bruciando circa 30 miliardi di dollari di capitalizzazione.Inoltre le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina con l’ipotesi dazi potrebbero causare un aumento considerevole dei prezzi, incidendo pesantemente sul valore dei consumi.
I numeri del retail americano e la crisi cinese
Quella appena passata è stata comunque un’annata positiva sotto molti punti di vista negli Stati Uniti: il PIL è cresciuto ad un ritmo del 3%, è stato raggiunto il record storico di occupati, il tasso di disoccupazione è sceso al 3,7% ed i salari sono cresciuti in media del 4% mentre rimangono ancora da valutare gli effetti del taglio delle imposte operato dal Governo Trump. Di questi numeri positivi ha beneficiato anche l’industria del retail che, nel 2018, dovrebbe generare un fatturato totale di 4,9 trilioni di dollari in aumento del 4,2% rispetto al 2017 dove si era già ampiamento superato il valore delle vendite retail nel periodo pre-crisi. In crescita soprattutto l’e-commerce che nel 2018 ha superato quota 500 miliardi di dollari mettendo a segno un +12,8% rispetto al 2017. Le previsioni di Statista sono altrettanto positive tanto che gli acquisti online potrebbero toccare quota 735 miliardi entro il 2023.
Nel 2018, durante il periodo delle festività natalizie iniziate con il Thanksgiving, le vendite dei retailer americani hanno raggiunto quota 719 miliardi di dollari registrando una crescita del 4,7% rispetto al 2017, confermando le previsioni positive della NRF.
Ma lo spettro della recessione potrebbe frenare questo momento positivo, poiché vi sono alcune variabili difficili da controllare in un’ottica di medio-lungo periodo: innanzitutto le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, con Pechino che secondo gli analisti potrebbe andare incontro ad una preoccupante crisi in assenza di un programma di stimoli capace di rilanciare l’economia tenendo sotto controllo l’elevato indebitamento. Altri fattori che contribuiscono a questo clima di instabilità sono la difficoltà di prevedere gli effetti della riforma fiscale nel medio-lungo periodo, la crisi politica interna statunitense, il calo della produzione industriale in Europa e l’incognita Brexit. Insomma, per la prima volta nella storia potremmo assistere ad una recessione negli Stati Uniti (e non solo) causata dalla Cina: per i più ottimisti il 2020 sarà l’anno della verità, ma per alcuni il 2019 potrebbe essere già l’ “Annus Horribilis”.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA