Negli ultimi anni in Italia si sta diffondendo la pratica degli affitti brevi, attività già ampiamente consolidata in altri Paesi. Si tratta di una modalità di locazione che permette di affittare la propria dimora per un periodo che va da qualche giorno a poche settimane.

Secondo l’Istat, nel periodo 2010-2016, gli arrivi nelle strutture alberghiere sono aumentati del 13,7%, mentre in quelle extra-alberghiere (categoria che include bed&breakfast, case vacanze e campeggi) la percentuale ha raggiunto il 37,3%.

Questi dati sono in linea con quanto affermato da Airbnb che, in relazione al periodo 2011-2016, ha rilevato un incremento degli annunci pubblicati a dir poco esponenziale, da 8.126 a 354 mila circa.

In questo trend positivo si inseriscono anche le nuove strutture dei “condhotel”. La parola deriva dall’inglese “condominium hotel” ed è stata coniata negli Stati Uniti, dove si sono diffuse inizialmente queste strutture. Un condhotel offre ospitalità, servizi accessori ed eventualmente vitto ai turisti. Si tratta di strutture miste, che mettono a disposizione degli ospiti sia camere d’albergo, sia appartamenti in affitto.

Fino a non molto tempo fa mancava una norma relativa a queste strutture, ma il recente Dpcm 13/2018 – pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 6 marzo e in vigore dal 21, che per la prima volta definisce e regola il segmento dei “condhotel” a più di tre anni dalla norma istitutiva (art. 31 del dl Sblocca Italia) – promette di aprire nuovi spazi di mercato a livello immobiliare e turistico e di accelerare il trend delle riqualificazioni edilizie. Il testo normativo ha una particolarità: nasce a tutti gli effetti come decreto “di scopo”, cioè è volto a favorire le riqualificazioni edilizie degli hotel. Infatti non si limita a definire che cosa sia il “condhotel”, ma lo configura essenzialmente come il risultato di una trasformazione edilizia effettuata da esercizi esistenti.

Secondo le disposizioni di legge, i condhotel devono avere almeno 7 camere d’hotel e unità abitative con cucina autonoma non superiori al 40% della superficie complessiva. Queste ultime possono essere vendute a privati, che hanno il diritto di godimento annuale del bene e possono locare la proprietà, sulla base di un contratto di affidamento in gestione.

Gli albergatori che decidessero di riqualificare gli immobili in modo da convertire una porzione della superficie in unità residenziali avrebbero diversi benefici: iter urbanistici semplificati, possibilità di vendere la proprietà degli appartamenti ai privati, così da recuperare risorse, e ingresso nel segmento degli affitti brevi, la cui concorrenza è ormai altissima. Il tutto, potendo godere del “tax credit”, il credito d’imposta al 65% in vigore per gli interventi edilizi sugli hotel.

Si tratta dunque di un’occasione di rilancio per gli albergatori e una nuova possibilità di investimento per i privati.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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