Ritornata alla ribalta da qualche anno, in quanto svecchiata e resa super fashion, la pelliccia rappresenta ormai un must per la stagione fredda.

Parallelamente a questo rinnovato interesse, l’export delle aziende italiane della pellicceria registra segnali positivi per il 2017 con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente. Come emerge da una ricerca di mercato realizzata da PwC per l’Associazione Italiana Pellicceria, il valore della produzione del comparto pellicceria, a livello retail, è stato di 1,37 miliardi di euro, facendo segnare un aumento del 3,5%. Il settore mostra anche una crescita superiore al +2,5% annuale della fashion industry nazionale (tessile, pelle, pelletteria, abbigliamento e calzature), che nelle stime della Camera Nazionale della Moda Italiana ha raggiunto i 64,8 miliardi di fatturato.

L’incremento del 4% delle esportazioni di pellicce è dovuto principalmente all’aumento della domanda da parte di Cina (+19%), Francia (+13%) e Russia (+12%), ha spiegato Norberto Albertalli, presidente di TheOneMilano, alla conferenza stampa di presentazione della terza edizione del salone, nato dall’unione di Mipap (salone del prêt-à-porter organizzato da Fiera Milano) e Mifur (trade fair della pellicceria e della pelle organizzato dall’omonimo ente fieristico).Tasto dolente invece gli Stati Uniti, dove il settore ha registrato un -34% dovuto alla sempre maggiore preferenza accordata ai prodotti provenienti dai mercati asiatici.

Prodotti più economici di provenienza cinese, spagnola e greca spopolano anche in Italia, dove si registra un aumento dell’import pari al 6,5%, rivelando un affaticamento delle aziende italiane che hanno prodotti di ottima fattura e qualità ma non alla portata di tutte le tasche.

Tra i punti critici anche le chiusure delle aziende manifatturiere in Italia, in particolare le pelliccerie: solo nel 2017 hanno chiuso 2.585 imprese provocando un preoccupante calo dell’11% dell’occupazione. “Un effetto - ha spiegato Albertalli - del mancato ricambio generazionale che porta i più giovani ad abbandonare il mestiere, ma anche del fatto che alcune imprese non hanno capito appieno i cambiamenti che stanno interessando il mercato, specie sul fronte distributivo”.

Fa ben sperare, invece, l’aumento dell’1,8% dei consumi interni, a 996 milioni di euro, dopo le flessioni ripetute dal 2012 al 2016.

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