Donne e Lavoro: l'Italia Cresce, ma l'Europa Corre più Veloce. E il Gender Gap Frena la Crescita

Donne e Lavoro: l'Italia Cresce, ma l'Europa Corre più Veloce. E il Gender Gap Frena la Crescita

23 Febbraio 2024 Categoria: Management & Servizi

Nonostante i recenti progressi, l’Italia si trova ancora fanalino di coda in Europa in termini di parità di genere nel mondo del lavoro. Le donne, pur rappresentando una forza lavoro sempre più istruita e qualificata, si scontrano con ostacoli strutturali che ne limitano l’accesso a posizioni di leadership e a salari equi. E il divario di genere rischia di diventare una zavorra per la crescita economica del Paese, soprattutto in vista delle sfide legate alla doppia transizione digitale ed ecologica.

Il report “Gender Gap e lavoro in Italia” realizzato dalla Rome Business School evidenzia un preoccupante divario di competenze tra uomini e donne in relazione alle nuove professionalità richieste dalle transizioni in corso. Le donne, infatti, risultano ancora sottorappresentate nei settori STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e in quelli ad alta digitalizzazione, dove si concentreranno i posti di lavoro del futuro.

Le cause di questo divario sono molteplici e complesse, e affondano le radici in stereotipi di genere, disparità di accesso all’istruzione e alla formazione, carichi di cura familiari che gravano ancora prevalentemente sulle donne.

I dati riporti nel report dipingono un quadro in miglioramento sotto diversi aspetti, ma la strada per il raggiungimento della piena parità di genere rimane ancora lunga e insidiosa.

Più donne al vertice, ma ancora lontane dalla parità

In Italia, nel 2023, le donne ai vertici aziendali (ruolo di CEO) sono salite al 24% (dal 20% del 2022), così come quelle con ruoli nel senior management (34% rispetto al 30% dell’anno precedente). Anche a livello globale, rispetto al 2022, si registra un aumento del numero di donne in posizione di senior leadership (32,4%, con uno 0,5% in più), di CEO donne, ora al 28%, di CFO donne (38%) e di COO donne (25%). In continuità con questa tendenza, le posizioni di senior management occupate da donne arriveranno al 34% nel 2025 e al 36,5% nel 2030.

Nonostante le donne rappresentino il 41,9% della forza lavoro mondiale, nel 2023, secondo dati LinkedIn, la presenza femminile in posizioni di leadership, come ruoli C-Suite, direttrici o vicepresidenti, è stata del 32,3%, con un divario di quasi 10 punti percentuali rispetto agli uomini. Singapore e Filippine (49%) e Sud Africa (41%) sono le nazioni con la maggiore presenza femminile ai vertici. Per quanto riguarda i settori, quelli dell’Oil & Gas (39%), dell’Healthcare (38%) e dei Servizi Finanziari (38%) sono quelli con il maggior numero di donne in posizioni di leadership, mentre Utilities (25%), Trasporti e Real estate (29%) presentano la percentuale più bassa.

Occupazione femminile in crescita, ma l’Italia è fanalino di coda in Europa

L’Italia è passata da un tasso di occupazione femminile del 46,2% nel 2009 ad un tasso del 52,2% nel 2023, con un aumento di 6,1 punti percentuali (EUROSTAT). Negli anni 2009-2023 il tasso di occupazione maschile è cresciuto solo del 2,5%.

L’Unione Europea e l’Italia viaggiano però a velocità ben diverse: nello stesso periodo infatti l’UE ha aumentato la sua quota di occupazione femminile di ben 9 punti percentuali, dal 56,7% del 2009 al 65,7% del 2023.

“Una crescita più lenta in termini di PIL dell’Italia rispetto alla media UE è uno tra i fattori di rallentamento e di ostacolo nella creazione di nuovi posti di lavoro sia per gli uomini che per le donne. Segnali incoraggianti sono, tuttavia, rilevati dalla maggiore velocità di crescita registrata dal tasso di occupazione femminile rispetto a quello maschile, aumentato del 15,1% nel periodo 2004-2023”, afferma Francesco Baldi, tra gli autori del report.

Prendendo in considerazione i dati 2004 in paragone al terzo trimestre del 2023, infatti, si evidenzia come l’occupazione maschile si sia attestata al 70,9%, segnando un aumento di 1,9 punti rispetto al 2004. Seppur ancora distante, nello stesso periodo, il tasso di occupazione femminile è passato da un modesto 45,4% nel 2004 al 52,2% nel terzo trimestre del 2023. Un dato sicuramente positivo ma che rimane allarmante, soprattutto se paragonato agli altri Paesi europei.

La zavorra sulle spalle delle donne resta quella del peso dei lavori di cura. Il rapporto tra tempo dedicato dalle donne di età compresa tra 25 e 44 anni al lavoro familiare e tempo dedicato allo stesso da entrambi i partner è costantemente diminuito dal 2014 al 2021, passando da 67 a 62,6. Ma resta pur sempre il fatto che il carico rimane maggiormente sulle donne nelle coppie, soprattutto in presenza di figli.

Donne e istruzione

Le analisi mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne. Secondo dati ISTAT, nel 2021, la percentuale di donne laureate era pari al 57,2%, con picchi importanti in alcune regioni come la Valle d’Aosta (74%) e la Sardegna (63,5%). È interessante notare anche come le regioni della costa adriatico-ionica, presentino in media percentuali di laureate maggiori rispetto alle altre regioni: Abruzzo (61,8%), Sicilia (61,7%), Basilicata e Puglia (61,5%), Molise (61,4%) e Marche (61,2%).

Il divario è particolarmente pesante a scapito delle donne, invece, nelle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e informatica), che sono anche quelle che aprono le porte dei lavori di domani: solo il 23,8% dei giovani adulti con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche. La quota sale al 34,5% tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 16,6% tra le donne (una laureata su sei) (dati 2022). Un divario che si riflette nel mondo del lavoro, dove le donne sono impiegate ancora per lo più in lavori di cura.

Gender Pay Gap

Tra l’altro, questa è una delle cause che acuisce ancora di più il gender pay gap, ossia le disparità salariali. Come evidenziato da Francesco Baldi, infatti: “La finanza e le professioni STEM sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all’ora che arriva a 5 euro nei servizi finanziari”.

Più in generale, nel report viene evidenziato come nel 2014 la retribuzione lorda dei lavoratori dipendenti italiani di genere maschile  fosse pari a € 11,9/all’ora, € 1,1 in più rispetto alla retribuzione mediana dei dipendenti di genere femminile (€ 10,8/all’ora). Da allora il divario salariale è rimasto pressoché invariato come emerge dai dati 2021: le donne, in base agli ultimi dati Istat disponibili, ricevono una retribuzione con un valore mediano di € 11,4/ all’ora, mentre il genere maschile guadagna fino a € 12,5/all’ora.

Se non c’è corrispondenza fra preparazione e formazione delle donne e loro partecipazione al mondo del lavoro, quindi, ce n’è ancor meno fra le loro competenze e la retribuzione, tanto che il gender pay gap continua a persistere in ogni ambito, anche se più attenuato in ambito pubblico rispetto al privato.

Donne e innovazione

La crescita della componente femminile è auspicabile anche fra gli imprenditori e gli startupper, anche se al momento i dati restano ancora desolanti non solo in Italia, ma a livello internazionale. La media globale delle donne startupper, infatti, sfiora il 5%, e se negli Usa arriva al 5,8%, in Europa ci si attesta addirittura sotto la soglia con un 3,8% (dati Commissione UE, 2023).

Il vero nodo è ancora una volta da ricercare nella formazione: i dati sulla parità di genere nell’ambito delle competenze prettamente tecnologiche, che rientrano tra le prime 10 competenze delle quali si prevede una forte crescita, sono il punto debole con l’alfabetizzazione digitale che si attesta a un livello di parità del 43,7% e le conoscenze su intelligenza artificiale e big data che raggiungono il 33,7% di parità. Nonostante sia in aumento il numero di donne che sceglie facoltà scientifiche, poi, l’occupazione femminile in questi ambiti si attesta attorno al 30% (dati WEF 2023). Nelle professioni non STEM invece, la percentuale di donne occupate è quasi la metà, con un 49,3%.

Se si guarda all’Italia, le risorse previste dal PNRR per interventi mirati alle donne o che potrebbero avere riflessi positivi, anche indiretti, nella riduzione dei divari attualmente presenti, rappresentano oltre il 20% del totale (circa 38,5 miliardi totali). Nonostante però la presenza di molte opportunità di finanziamento e di obiettivi specifici del PNRR, tra le start up le imprese a prevalenza femminile sono cresciute molto poco dal 2021 al 2023, passando solo dal 13,17% al 13,71, come messo in evidenza dal report.

Sembra, invece, essere soprattutto l’e-commerce il vero motore di crescita delle aziende al femminile, con un numero di imprese attive pari al 26,8% del totale.

La parità di genere è un vantaggio competitivo (per le imprese e per l’economia)

Sono diversi gli studi che hanno dimostrato come una maggiore diversità, non solo di genere, porti effetti positivi anche a livello di bilancio. Secondo il Boston Consulting Group, le aziende con almeno 3 dirigenti donne hanno un aumento mediano del ROE superiore di 11 punti percentuali in cinque anni rispetto a quello delle aziende senza dirigenti donne. E le aziende con almeno il 30% dei dirigenti donne hanno un aumento del 15% della redditività rispetto a quelle senza dirigenti donne. Basta una sola donna in più nella leadership per aumentare il rendimento di un’azienda da 8 a 13 punti base.

Non solo. Secondo i dati del World Economic Forum (2023), l’inclusione delle donne nelle aziende potrebbe aumentare il PIL mondiale fino al 35%. Guardando invece all’economia UE, ridurre il gender gap potrebbe portare a una crescita del PIL pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6% entro il 2050 (Istituto Europeo per la parità di genere).

Come sottolinea Valerio Mancini, un altro dei curatori del report “È tempo che le aziende cambino passo, concretamente, rispetto al tema del gender gap. Non si tratta soltanto di un tema legato all’eguaglianza negata, sono innumerevoli gli studi di settore che testimoniano come l’inclusione e le pari opportunità̀ delle donne aumentino il benessere e la produttività̀ aziendale. La gender equality rappresenta un aspetto a cui nessuna impresa dovrebbe rinunciare, non solo da un punto di vista etico ma anche di business”.

Le aziende, le istituzioni e la società nel suo complesso devono impegnarsi per colmare il divario di genere e valorizzare il talento femminile. Occorre investire in formazione mirata, promuovere la flessibilità lavorativa, contrastare gli stereotipi di genere e incentivare la partecipazione delle donne ai settori STEM. La parità di genere, infatti, non è solo una questione di giustizia sociale, ma è anche un fattore chiave per lo sviluppo economico e la competitività del nostro Paese.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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