Dai ristoranti ai prodotti agroalimentari, nel mondo impazza il fenomeno del “Mafia Marketing”, con milioni di euro di giro d’affari generati da imprese che strizzano l’occhio ai cliché della criminalità organizzata danneggiando l’immagine dell’Italia e del made in Italy.
Un passo oltre l’Italian Sounding c’è il “Mafia Sounding”, che si è scoperto essere un vero e proprio calderone sommerso - ma non troppo - di attività che utilizzano nomi e rimandi alla mafia come vere e proprie strategie di marketing.
L’allarme è stato lanciato dalla Coldiretti che, conducendo un’analisi sulla banca dati del sito di consigli di viaggio Tripadvisor, ha individuato in tutto il mondo almeno 300 ristoranti che si richiamano alla mafia nel nome.
In Spagna è possibile mangiare da “El padrino”, da “La dolce vita del padrino” e da “Baciamo le mani” – spiega la Coldiretti -, e anche nella martoriata Ucraina c’è una catena di locali “Mafia” dove servono pizza e altri piatti della cucina internazionale e persino un “Karaoke bar mafia”. Il richiamo a Cosa Nostra è, infatti, assolutamente trasversale a culture e piatti di tutto il mondo e se negli Stati Uniti troviamo i locali “Felafel mafia” e “Sushi mafia”, in Germania ci sono i “Burger mafia”, in Indonesia “Nasi goreng mafia”, in Egitto “Mafia pizza” e in Brasile “Al Capone Pizza di Mafia”. In Austria c’è il ristorante “Mafiosi”, in Finlandia si mangia da “Don Corleone” e in Francia da “Cosa nostra”. E non mancano divagazione sul tema, se è vero che in Russia c’è un ristorante chiamato “Camorra”.
Nella classifica dei Paesi con più locali ispirati al “Mafia Sounding” si piazza la Spagna con 63 ristoranti, grazie soprattutto alla catena “La Mafia se sienta a la mesa” (La Mafia si siede a tavola) diffusa in tutto il territorio nazionale che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone, mentre al secondo – rileva Coldiretti – si piazza l’Ucraina (38 tra ristoranti, bar e pizzerie) davanti al Brasile (28). Seguono Indonesia (23), Russia (19), India (16), Giappone (15), Polonia (11), Usa (8), Portogallo e Australia che chiudono la top ten a pari merito con 5 casi. Ma attività che richiamano Cosa Nostra si trovano ormai dappertutto, dalla Germania alla Thailandia, dal Messico alla Corea del Sud, da Panama alla Moldavia, fino a Giordania, Malesia, Sri Lanka, Taiwan, Vietnam e Canada, solo per citarne alcuni, e spesso l’immagine richiamata nell’insegna o nel logo del locale è lo stereotipo del mafioso con la coppola o il gangster italo-americano degli anni Venti con il mitra in mano.
C’è poi un altro fenomeno denunciato sempre da Coldiretti: è quello dei prodotti alimentari che, come i ristoranti, hanno nomi che si ispirano alla mafia. Gli esempi sono tanti: c’è un whisky scozzese, contenuto in una bottiglia a forma di mitra, che si chiama Cosa Nostra. In Germania c’è il Fernet Mafiosi, la cui bottiglia è vestita ad hoc, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola. Ma c’è anche il vino Syrah “Il Padrino” prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentirsi). In Portogallo c’è un cartone da tre litri di vino rosso che si chiama Talha Mafia Pistol, e ha una macchia di sangue stilizzata sull’etichetta. In Inghilterra ci sono gli snack Chilli Mafia ed in Bulgaria invece è in vendita il caffè Mafiozzo. C’è poi tutto il capitolo delle salse: un condimento per la carne prodotto in Germania si chiama Mafia Coffee Rub Don Marco’s mentre in Finlandia una salsa ha il nome di Pork Mafia Texas Gold. In Belgio esistono le salse Sauce Maffia e Sauce Maffioso; negli Stati Uniti è in vendita la Wicked Cosa Nostra. Su internet è poi possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook”, comprare caramelle sul portale Candymafia o ricevere i consigli di Mamamafiosa, con sottofondo musicale a tema e storia dell’autrice del blog che racconta di come non sapesse di essere la moglie di un mafioso e di aver gestito con lui per anni un ristorante prima che il consorte venisse ucciso da un killer.
Un business milionario, quindi, con ramificazioni tentacolari, che banalizza, fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto il paese, apportando, anche se fra lazzi e battute che sembrano divertenti, un danno d’immagine notevole al made in Italy, forse anche più subdolo e profondo di quello dei prodotti falsi.
Per queste ragioni il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha chiesto all’Unione Europea di “fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore”.
Alcune iniziative c’erano già state in passato. Nel 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva sancito che il franchising spagnolo “La Mafia se sienta a la mesa” non potesse utilizzare il marchio perché “banalizza l’organizzazione criminale italiana” ed è “contrario all’ordine pubblico”. Loro si erano sempre difesi sostenendo che l’uso di una rosa, e non una pistola, nel logo dimostrava come la loro non fosse un’apologia della violenza ma un’operazione meramente commerciale. Risultato: i ristoranti della catena si chiamano ancora così, in tutta la Spagna. Dunque, se nemmeno una sentenza dell’Unione Europea sembra aver cambiato nulla, possiamo davvero aspettarci un cambio di sensibilità da parte di ristoratori e consumatori?
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it
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