Il 2022 segna un nuovo record per le esportazioni agroalimentari italiane che hanno sfiorato 61 miliardi di euro, in crescita del 14,8% rispetto al 2021: è quanto emerge dall’ultimo rapporto ISMEA curato nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale sul tema dell’internazionalizzazione e presentato ieri durante il webinar “Le sfide globali del made in Italy agroalimentare”.
Bilancia commerciale: esportazioni, importazioni e saldo
Negli ultimi dieci anni il valore delle esportazioni di cibi e bevande è quasi raddoppiato (+81%), passando dai 33,5 miliardi del 2013 a 60,7 miliardi del 2022. In pratica, le spedizioni di prodotti agroalimentari sono aumentate in valore al ritmo di quasi il 7% all’anno, a fronte di un incremento più contenuto delle esportazioni complessive (+5,4%), incrementando parallelamente anche il loro peso sulle esportazioni totali di oltre 2 punti percentuali, dall’8% circa a più del 10%.
Oltre ad aver visto crescere il suo peso sulle esportazioni nazionali complessive, l’export di cibi e bevande made in Italy guadagna terreno anche negli scambi globali del settore. Il market share dell’Italia è cresciuto da dieci anni a questa parte portandosi al 3,25% nel 2021, dopo il livello minimo di 2,8% nel 2012. Un aumento solo apparentemente modesto, trattandosi del peso di un singolo paese sugli scambi alimentari di tutto il mondo e che cela dietro pochi punti decimali di crescita un progresso di tutto rilievo, frutto di aumenti consistenti dei flussi delle nostre esportazioni in valore assoluto.
Il settore non solo si è rivelato più dinamico, ma anche più resiliente quando, nel 2020, con lo scoppio della pandemia, le relative restrizioni sanitarie e l’interruzione delle catene di fornitura globali, è riuscito comunque a mettere a segno una crescita (+3,2%), in controtendenza rispetto al resto dell’economia (-9,1% la contrazione dei flussi in uscita complessivi).
La bilancia commerciale italiana del settore agroalimentare, da sempre strutturalmente deficitaria, è risultata in costante miglioramento nell’ultimo decennio, tanto da invertire il segno nel biennio 2020-2021, generando un surplus di 3,1 miliardi di euro nel 2020 e di 3,9 miliardi nel 2021. Nel 2022 il saldo commerciale è tornato, invece, a essere negativo (-1,6 miliardi di euro) a causa della forte crescita delle importazioni (+27,2% per 62,4 miliardi di euro), che spinta dai rincari delle commodity agricole, è risultata maggiore di quella – pur consistente – osservata per le esportazioni.
Sia per le esportazioni che per le importazioni è soprattutto l’”effetto prezzo” a pesare, con tassi di crescita dei flussi in valore che in entrambi i casi risultano molto più consistenti di quelli in volume.
I comparti di punta del made in Italy agroalimentare
Una caratteristica delle esportazioni agroalimentari italiane è la loro concentrazione merceologica: dei 24 principali comparti che compongono i flussi di scambio complessivi, appena sei di essi (bevande, derivati dei cereali, latte e derivati, preparazioni di ortaggi e frutta, frutta, e altre preparazioni alimentari) catturano più di due terzi del valore complessivo e pesano singolarmente più del 5% sulle esportazioni totali. Quelli che nel periodo 2017-21 sono cresciuti di più sono: altre preparazioni alimentari (+9,1% medio annuo); derivati dei cereali (+7,8%); latte e derivati (+8,2%). Inferiore alla media è stata invece la crescita di frutta (+1,2%), ortaggi (+4,1%) derivati ortofrutticoli (+4,9%) e carni (+2,5%).
A un livello più disaggregato, un gruppo di venti prodotti distintivi del made in Italy, con quasi 28 miliardi di euro, rappresenta il 53% del valore totale dell’export agroalimentare nel 2021. I primi cinque in termini di valore sono vini in bottiglia, paste alimentari secche, tabacco lavorato, formaggi stagionati e prodotti della panetteria e pasticceria (specificamente rappresentati soprattutto dai dolci da ricorrenza e dalle pizze).
I dati dell’ultimo biennio forniscono indicazioni interessanti e in parte inattese. Nel 2020, nonostante la chiusura quasi completa dei canali Horeca in tutto il mondo, le esportazioni di alcuni prodotti agroalimentari nazionali sono cresciute moltissimo rispetto all’anno precedente: le variazioni della pasta, del riso, delle passate di pomodoro e delle polpe, ma anche dell’olio e dei formaggi freschi, dimostrano che il consumo all’estero del cibo made in Italy non è solo legato alle occasioni speciali e ai pasti fuori casa, ma ormai fa parte delle abitudini quotidiane in molte aree del mondo. Più legate alle sorti dell’Horeca e alle occasioni conviviali, e quindi penalizzate nel 2020, sono state le esportazioni di vini in bottiglia, spumanti, formaggi stagionati, acque minerali, caffè e in misura minore i prodotti della panetteria e pasticceria, ma tutte nel 2021 hanno recuperato la perdita dell’anno precedente.
I principali prodotti esportati nel 2022
Nel 2022 si evidenzia una performance positiva per tutti i principali comparti e categorie, con le uniche eccezioni, tra i primi 20 prodotti esportati, di mele e uva da tavola. I vini in bottiglia raggiungono 5,2 miliardi di euro di export (+6,6%), grazie all’aumento dei valori medi unitari che compensa largamente la riduzione dei volumi (-2,3%); le esportazioni in valore delle paste alimentari aumentano del 38,4% rispetto al 2021 e quelle dei vini spumanti del 19,4%; crescono in misura consistente anche le esportazioni di caffè torrefatto e di prodotti da forno. Il dettaglio merceologico delle importazioni, in coerenza con il ruolo dell’Italia di paese trasformatore in campo agroalimentare, riguarda in larga parte materie prime non trasformate e prodotti semilavorati. In particolare, caffè non torrefatto, mais, olio extravergine di oliva, bovini vivi, frumento tenero, soia, olio di palma raffinato e olio greggio di girasole sono stati i prodotti maggiormente importati, tutti in consistente crescita.
La penetrazione dei prodotti più rappresentativi del made in Italy
Nell’ultimo quinquennio è aumentato il grado di penetrazione dei prodotti italiani nei primi 20 mercati di riferimento a livello globale, sebbene ci sia stato un calo sul mercato cinese, che è il principale importatore mondiale. Più nel dettaglio il made in Italy agroalimentare può contare su una penetrazione più elevata (oltre l’8% nel 2021) nei mercati dei tradizionali partner europei, e a seguire nel Regno Unito, in Polonia e in Spagna. Uno share superiore alla media (3,25%) si registra nel 2021 anche in Giappone, Belgio, Russia e Stati Uniti, a fronte di un livello di penetrazione ancora molto basso nei paesi asiatici, soprattutto Cina, Indonesia, Vietnam e India, dove non arriviamo allo 0,5%, così come in Messico.
Se invece spostiamo il focus sui 20 prodotti più rappresentativi del paniere del made in Italy, le quote di mercato dell’Italia sono in tutti i casi elevate, talvolta molto elevate: si va da prodotti come pelati e polpe di pomodoro e pasta, per i quali l’Italia è leader mondiale assoluto, soddisfacendo rispettivamente l’85% e il 46% della domanda mondiale, a prodotti per i quali il nostro Paese è tra i leader mondiali, con quote tra il 20% e il 40% come paste alimentari.
La mappa dei paesi clienti del made in Italy agroalimentare
Le esportazioni agroalimentari italiane evidenziano una spiccata concentrazione anche sul fronte geografico, con i primi 20 paesi di sbocco che assorbono più dell’80% delle nostre vendite all’estero e con circa la metà di questa quota dovuta ai primi tre “clienti”: Germania, Francia e Stati Uniti, che assorbono congiuntamente più del 37% dell’export nazionale. Il principale mercato di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani rimane l’UE che, con 34,9 miliardi di euro, nel 2022 assorbe circa il 57% delle nostre esportazioni, ma la domanda da parte dei paesi fuori dal continente europeo si fa sempre più dinamica, con USA, Giappone, Canada, Russia, Cina e Australia che insieme concentrano oggi quasi il 21% del valore del nostro export agroalimentare.
È da segnalare anche il forte incremento delle esportazioni verso Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, mentre risultano in controtendenza solo le spedizioni verso Giappone e Russia (in quest’ultimo caso, per l’irrigidimento delle relazioni commerciali conseguenti alla situazione geopolitica).
Per tutti i principali mercati di sbocco, comunque, tra il 2017 e il 2021 si sono registrati tassi di crescita significativi, a due cifre.
In maggiore dettaglio, le esportazioni agroalimentari italiane in Germania, primo paese di destinazione in assoluto, hanno raggiunto nel 2022 i 9,4 miliardi di euro, in aumento del 10% su base annua, con vino, pasta e prodotti della panetteria e pasticceria che guidano saldamente la classifica degli alimenti italiani maggiormente acquistati. Al secondo posto si collocano gli Stati Uniti, che con acquisti per circa 6,6 miliardi di euro (+18%) superano quelli della Francia, pari a 6,5 miliardi di euro e che crescono comunque del 13%. Per gli Stati Uniti il vino italiano si conferma il prodotto più apprezzato (vini fermi e spumanti rappresentano insieme il 28% del valore dell’export agroalimentare destinato a questo mercato), seguito dall’olio vergine ed extravergine d’oliva e dalla pasta. Per la Francia la composizione del paniere di prodotti acquistati dall’Italia è più variegata, e comprende soprattutto formaggi freschi, prodotti della panetteria e pasticceria, cioccolata e pasta. Tra gli altri paesi di destinazione spicca la Polonia, già in aumento nel 2021, che segna un +28,7% annuo, arrivando a sfiorare 1,7 miliardi di euro nel 2022. I prodotti che hanno mostrato dinamiche più significative sul mercato polacco sono caffè torrefatto, prodotti della panetteria e pasticceria, tutti comunque superati dai derivati del tabacco destinati all’inalazione1 , le cui esportazioni hanno raggiunto un valore di 233 milioni di euro nel 2022. È da osservare, inoltre, il risultato molto positivo delle nostre esportazioni verso il Regno Unito, cresciute nel 2022 del 13,6% per un valore pari a 4,2 miliardi di euro, con una ripresa sia in valore che in volume delle principali voci (pasta, trasformati di pomodoro, formaggi freschi ecc.); nel caso dei vini in bottiglia e degli spumanti, che rappresentano il 20% circa in valore delle esportazioni agroalimentari nazionali verso il Regno Unito, l’incremento è stato solo in valore mentre i volumi si sono lievemente contratti.