L’export delle macchine agricole italiane è cresciuto a doppia cifra nell’ultimo decennio, ma i competitor europei, come Germania e Francia, esportano più di noi, e quelli emergenti, come Corea, India e Turchia, potrebbero presto superarci senza un’adeguata strategia di promozione del valore della meccanica made in Italy.

La vendita di trattori e macchine agricole all’estero ha raggiunto lo scorso anno i 6,5 miliardi di euro crescendo di 3,5 punti percentuali rispetto al 2021, che diventano 24,5 se si considera il quinquennio 2017/2022 e 37,6 prendendo in considerazione il decennio 2012/2022. Un dato sicuramente positivo, ma per certi versi al di sotto delle potenzialità, vista l’elevata propensione all’export dell’industria agro-meccanica che rappresenta il 70% della produzione e l’indubbia qualità dei prodotti.

“Proprio i dati relativi alle esportazioni degli ultimi dieci anni – ha commentato Alessandro Malavolti, presidente di FederUnacoma – indicano una crescita dell’export di macchine agricole pari al 38% a fronte di una crescita molto maggiore degli altri settori del made in Italy (+66%). Le macchine realizzate dalle nostre imprese debbono essere percepite come prodotti classici del ‘Made in Italy’, al pari dell’automotive di alta gamma, della moda, dell’agroalimentare, non soltanto sui mercati tradizionali dell’Europa o degli Stati uniti, ma anche su quelli emergenti dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa”.

Per analizzare più nel dettaglio lo stato di salute dell’export di macchinari agricoli è stato presentato uno studio di Nomisma limitato alle vendite dei soli trattori ma dai quali emergono elementi molto interessanti. Nel 2022 l’Italia ha esportato trattori per un valore complessivo di 1,8 miliardi di euro piazzandosi al quinto posto della classifica mondiale dietro a Germania (6,6 miliardi), Usa (3,6), Francia (2,1) e Giappone (2,0) e davanti a UK (1,69), India (1,4) e Corea (1,1). Sicuramente una posizione di prestigio ma che sicuramente potrebbe essere migliorata visto che la Francia, che ci precede, costruisce trattori di un certo livello solo in tre stabilimenti e che tra le prime cinque l’Italia è praticamente l’unica nazione a perdere in market share sul totale export mondiale di trattori nell’ultimo quinquennio (dall’8 al 6%).

Margine di crescita ancor più enfatizzato se si considera proprio l’incremento degli ultimi cinque anni. In questa speciale classifica il Bel Paese sprofonda al dodicesimo posto con un +33%, surclassata dalla Germania (+87%) al quarto posto e dalla solita la Francia (+60%) al sesto posto. A dominare la scena sono ovviamente in questo caso i cosiddetti paesi emergenti della meccanizzazione: Corea (+159%), India (+146%) e Turchia (+95%), tutti ancora dietro di noi a livello di esportazioni ma che stanno crescendo a doppia velocità. Il dato che più stupisce e preoccupa è il boom della Corea che, a differenza di India, Turchia e Cina (quest’ultima comunque più in basso nelle classifiche), realizza prodotti tecnologicamente avanzati e quindi destinati agli stessi mercati di riferimento dei costruttori Italiani.

In Europa chi esporta di più è ancora una volta la Germania, praticamente in testa con quote quasi imbarazzanti in tutti i principali mercati ma l’Italia si difende con il 10% di share in Francia che equivale al terzo posto, il 14% in Germania (terzo posto) e il 22% in Spagna (secondo posto). Oltreoceano la forbice è ancora più ampia; negli States che sono di gran lunga i primi importatori al mondo di trattori con un valore stimato nel 2022 di 7,3 miliardi di euro l’Italia si piazza al decimo posto con una quota del 3% contro il 25% della Germania, il 19% del Giappone e il 13% della Corea. In effetti negli ultimi cinque anni lo sbocco dei trattori made in Italy nei mercati extra-UE è calato in valore dal 47 al 43% ed è proprio in questa direzione che è necessario lavorare di più come peraltro indicato dal presidente Malavolti.

Il 57% del valore delle esportazioni italiane di trattori rimane entro i confini europei (dati 2022), il 14% è diretto verso Russia e Balcani e il 13% verso gli Stati Uniti e il Canada. Il resto del Pianeta è coperto con percentuali assai inferiori: il 4% in Centro e Sud America, il 5% in Africa, il 4% in Australia e Nuova Zelanda, il 2% nel Sud Est asiatico, l’1% in Medio Oriente e lo 0,1% nei Paesi dell’Asia Centrale. Secondo lo studio Nomisma saranno proprio le economie emergenti a offrire i maggiori sbocchi nei prossimi anni in virtù dell’aumento delle aree coltivate a cereale (spinte dal deficit russo-ucraino), dall’aumento del Pil e dalle politiche di incentivazione al potenziamento della meccanizzazione in agricoltura.

In definitiva la meccanica agricola italiana dovrà fronteggiare i tradizionali competitor europei ma anche la concorrenza sempre più agguerrita dei Paesi asiatici, che sfruttano soprattutto la leva del prezzo. Il made in Italy delle macchine agricole oggi non viene sufficientemente percepito come un valore aggiunto, a differenza di quanto accade invece per le tradizionali eccellenze italiane. Le strategie di promozione dell’industria italiana devono dunque tenere conto di tutte le variabili geopolitiche che condizionano il mercato, ma possono fare leva sul ruolo strategico che la meccanica agricola è chiamata a svolgere in questo momento storico, visto che l’agricoltura è diventata settore di punta per tutti i sistemi economici più importanti.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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