Cresce l’Export di Servizi Italiani, ma il Passo è Ancora Lento

Cresce l’Export di Servizi Italiani, ma il Passo è Ancora Lento

27 Gennaio 2023 Categoria: Management & Servizi

L’export di servizi cresce in tutto il mondo, ma l’Italia ha accumulato un forte ritardo rispetto ai principali partner europei. Da cosa dipende questo gap e cosa si può fare per colmarlo? A queste dmande cerca di rispondere l’ultimo Report dell’Osservatorio Terziario di Manageritalia, in collaborazione con Sace.

Il settore dei servizi è talvolta trascurato nelle discussioni sul commercio internazionale, che tendono a concentrarsi sui flussi di beni riflettendo una realtà storica in cui gli scambi tra Paesi avvenivano sostanzialmente in mercati di beni fisici.

Tale preponderanza dello scambio di prodotti nel commercio globale si è progressivamente attenuata negli ultimi decenni poiché una quota crescente di servizi è ormai integrata all’interno dei prodotti e/o parte del processo di distribuzione e vendita. L’Organizzazione mondiale del Commercio (World Trade Organization, Wto) infatti dichiara:“Dalle comunicazioni ai trasporti, alla finanza, all’istruzione, al turismo e ai servizi ambientali, il settore dei servizi è diventato la spina dorsale dell’economia globale e la componente più dinamica del commercio internazionale. I recenti progressi tecnologici hanno facilitato la fornitura di servizi transfrontalieri, aprendo così nuove opportunità per le economie nazionali e per i singoli”.

L’ultimo Report dell’Osservatorio Terziario di Manageritalia, in collaborazione con Sace, dal titolo “I servizi nel mondo di oggi e di domani: un treno che non si può perdere” si concentra proprio sull’impatto del terziario nell’export di beni e servizi, che è la componente più dinamica del commercio a livello globale.

Dal Report emerge che nel decennio precedente la pandemia, tra il 2010 e il 2019, l’export dei servizi è aumentato del 56%, più del doppio rispetto al commercio dei beni, fino a rappresentare il 25% dell’export totale e il 50% del suo valore aggiunto.

Nel 2021 se da un lato si è assistito a un forte rimbalzo degli scambi di beni, tale da generare un ritorno ai livelli pre-pandemia, così non è stato per i servizi, che pur segnando una crescita elevata (+17%), non sono riusciti a registrare il pieno recupero dei livelli del 2019.

L’Italia è in ritardo rispetto ai partner europei

A livello europeo si conferma la dinamica globale, mentre restringendo la lente sull’Italia la performance è stata peggiore: a partire dal nuovo millennio l’export di servizi del nostro Paese ha iniziato ad accumulare ritardo rispetto alla media europea e, soprattutto, ai principali partner.

Tra il 2011 e il 2019, l’export di servizi è cresciuto a un tasso medio annuo del 4,1% – in linea con quello dei beni e inferiore a quello mondiale dei servizi –, ma se consideriamo anche l’ultimo biennio, questo tasso scende all’1,1%. Dopo aver raggiunto il massimo storico nel 2019 con €109,4 miliardi, nel 2021 il Terziario italiano ha registrato un valore esportato pari a €86,6 miliardi. Nei primi dieci mesi del 2022, le esportazioni hanno segnato una crescita del 37,7% rispetto allo stesso periodo del 2021, e secondo le stime, questo trend positivo dovrebbe perdurare anche nel 2023, con un +2,6%, e nel triennio successivo (+3,6%, in media l’anno) quando si sfioreranno i €135 miliardi.

Secondo i dati del Report, i servizi definibili “ad alta tecnologia” – architettura, ingegneria, consulenza professionale e manageriale, ricerca e sviluppo – guidano l’export italiano di servizi nel 2021 (26,2 miliardi di euro, con una incidenza sul totale pari al 30%), assumendo una certa rilevanza a seguito della pandemia e superando il turismo (21,7 miliardi, pari al 25%). Segue l’export di trasporti e logistica, con una quota dell’11% circa, in calo di quasi un terzo sul pre-crisi ma in crescita del 12% sul 2020.

Lombardia e Lazio rappresentano le regioni trainanti (26,5 e 15 miliardi di euro di servizi esportati, rispettivamente, nel 2021), seguite da Piemonte (5,2 miliardi), Veneto (4,5 miliardi) ed Emilia-Romagna (4,3 miliardi); in termini di incidenza rispetto alle vendite estere complessive si evidenzia il dato della Calabria (40%). Nel 2021 il 51% per cento dell’export italiano si è concentrato nell’Unione Europea, cui seguono Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito e Cina.

“L’Italia è un Paese ad alta vocazione all’export di beni, grazie alla contraddistinta capacità manifatturiera, e ci sono sicuramente dei margini di miglioramento nella fornitura di servizi all’estero - dichiara Alessandro Terzulli, Chief Economist di Sace -. C’è da dire che la pandemia ne ha arrestato la crescita e l’export di servizi è passato dal rappresentare quasi il 19% del totale vendite estere nazionali nel 2019 a poco più del 14% nel 2021. Il turismo è stato per anni il traino delle esportazioni italiane nel settore terziario e, dopo il forte impatto subito a causa della pandemia, ha registrato importanti segnali di ripresa già nel 2021 e una maggiore accelerazione lo scorso anno. Su ordini di grandezza minori si sta dimostrando altresì particolarmente dinamico l’export di servizi informatici, di ricerca e sviluppo, di architettura e ingegneria e compensi per l’uso della proprietà intellettuale, afferenti la bilancia della tecnologia italiana”.

Le cause del ritardo

Secondo un’analisi Constant Market Share (CMS), il ritardo di crescita accumulato nell’export di servizi italiano è da ricondursi in primis al basso livello di competitività della maggior parte del Terziario italiano. Le cause sono individuabili nei bassi livelli di produttività di quasi tutti i comparti del terziario (come già analizzato nel rapporto di giugno 2022 dell’Osservatorio), composizione forza lavoro per gender e dalla presenza di barriere al commercio.

“Dai dati del Report, è evidente che l’Italia ha bisogno di una forte spinta per recuperare il gap su competitività e produttività dei servizi accumulato in questi anni – afferma Emilio Rossi, direttore dell’Osservatorio del Terziario e senior advisor Oxford Economics. In questo contesto, il Pnrr gioca un ruolo cruciale. Sono necessari investimenti mirati e riforme specifiche, occorre intervenire su educazione/formazione, digitalizzazione e apertura dei mercati nella maggioranza dei comparti del terziario per portarci in linea con gli altri paesi avanzati. E sia chiaro, gli investimenti pubblici di sostegno a 4.0 e digitalizzazione devono comprendere il terziario, come dimostrano inequivocabilmente i dati e il peso di questo settore sempre più sinergico all’industria”.

Il Pnrr, infatti, prevede un’importante riforma di questi settori, che potrebbe rilanciare il sistema educativo ed il livello di competenze italiano ed avere un impatto positivo sulla competitività del terziario in particolare. Secondo le stime Mef riportate nel Def 2022, l’impatto di questa riforma aumenterebbe di ben 0,5% il Pil italiano nel giro di soli tre anni.

“Nella situazione attuale di incertezza e in una prospettiva di medio-lungo termine segnata da una certa “fiacchezza” – dice Mario Mantovani, presidente Manageritalia – è più che mai urgente attuare in modo rapido e mirato i progetti del Pnrr. Il coordinamento e il rafforzamento degli obiettivi e delle riforme previste negli accordi con la Ue saranno passaggi chiave per la modernizzazione e la crescita della produttività del nostro Paese. In questo è determinante, come emerge dai gap evidenziati nel report rispetto ai concorrenti europei, anche un forte aumento di competenze e presenza manageriale nelle nostre imprese”.

Fonte: a cura della redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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