L’agroalimentare italiano guarda con fiducia al futuro, con un export di 52 miliardi nel 2021 ed un balzo del +21,6% nel primo bimestre 2022. Ma anche con preoccupazione, perchè il tessuto imprenditoriale che genera la prima ricchezza del Paese, stimata in 575 miliardi di euro, rischia di perdere 1 impresa su 10 che è a rischio crack per l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.
Secondo i dati Istat analizzati da Coldiretti, in occasione di Cibus, con oltre 3.000 aziende pronte ad incontrare i buyer del mondo e presentare oltre 1.000 nuovi prodotti che rispecchiano i nuovi trend ricercati dai consumatori, dalla sostenibilità al “ready to cook”, dall’attenzione alla salute all’innovazione. Ovviamente, lo scenario di fondo è quello del conflitto tra Russia e Ucraina, raccontato anche l’indagine Coldiretti-Divulga “La guerra nel piatto” sugli effetti del conflitto sulla filiera agroalimentare.
“Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione”, sottolinea l’indagine Coldiretti. Che fotografa uno tsunami che si è abbattuto sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci. “Nelle campagne - continua la Coldiretti - si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi, al +129% per il gasolio con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, ma con punte oltre 47.000 euro per le stalle da latte e picchi fino a 99.000 euro per gli allevamenti di polli, secondo lo studio del Crea. L’impatto dell’impennata dei costi per l’insieme delle aziende agricole, supera i 9 miliardi di euro”.
In difficoltà è però l’intera filiera che si è trovata a fronteggiare aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi come il vetro, che costa oltre il 30% in più rispetto al 2021, ma si registra un incremento del 15% per il tetrapack, del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica, secondo l’analisi Coldiretti. “Ma i prezzi degli ordini cambiano ormai di settimana in settimana - aggiunge Coldiretti - rendendo peraltro impossibile una normale programmazione economica nei costi aziendali. Rincarato anche il trasporto su gomma del 25% al quale si aggiunge la preoccupante situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1000 %. In generale, secondo il global index Freightos, importante indice nel mercato delle spedizioni, l’attuale quotazione di un container è pari a 9.700 dollari contro 1.400 dollari di un anno fa”.
Sono gli effetti diretti ed indiretti del caro energia con la produzione agricola e quella alimentare che in Italia assorbono oltre il 11% dei consumi energetici industriali totali per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno. “I rincari dell’energia - sottolinea la Coldiretti - hanno, dunque, un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola. Nel sistema agricolo i consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e i trasporti mentre i consumi indiretti ci sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica (4,7 Mtep). Il comparto alimentare richiede invece - continua la Coldiretti - ingenti quantità di energia, soprattutto calore ed energia elettrica, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro (8,6 Mtep)”.
“Serve responsabilità da parte dell’intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione”, afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare “la necessità di risorse per sostenere il settore in un momento in cui si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare”. Le buone notizie, almeno fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e allo scoppio della guerra, sono arrivate soprattutto dall’estero. “Le esportazioni alimentari nazionali, a gennaio e febbraio 2022, sono in aumento del 21,6% sul record annuale di 52 miliardi fatto registrare nel 2021, con la Germania che è il principale mercato di sbocco in aumento, nel bimestre dell’11,1%, mentre gli Stati Uniti si classificano al secondo posto con una crescita del 21,9% e la Francia chiude il podio con +17,9%. Un vero boom si è verificato nel Regno Unito con un +39,5% nonostante la Brexit ma pesa il crollo del 29,5% in Cina dovuto probabilmente anche alle conseguenze della pandemia Covid”.
“L’appuntamento Cibus 2022 - afferma il presidente Confagricoltura Massimiliano Giansanti - serve a ribadire la centralità delle nostre aziende agroalimentari che, pur in condizioni sfavorevoli, continuano a produrre, a cercare nuove soluzioni, consapevoli del fatto che fermarsi non è possibile. E rimetterà il cibo al centro del dibattito sociale ed economico, mostrando gli scenari e il suo ruolo imprescindibile all’interno della nostra società, in linea con un modello di sviluppo coerente alle istanze del consumatore, delle comunità, dell’ambiente e delle imprese, sempre più orientate a comportamenti virtuosi”.
L’export del nostro Paese, ribadisce Confagricoltura, è ripartito nel 2021, e lo stesso ha fatto l’agroalimentare, che ha registrato una crescita del +14,7% sul 2019. Ed è sempre forte la domanda di prodotti italiani nel mondo. “Basta scorrere le statistiche dell’export dell’industria alimentare: Usa +14,3%, Cina +32,7%, Corea del Sud +30,7%, Cile +50,5%, Sud Africa +21,2%, Polonia +21,4%, Spagna +19,6%, Germania +6,7%, Francia +7,1%, (dati Federalimentare elaborati su base Istat, gennaio/novembre 2021)”. A trainare la crescita, sostiene la Coldiretti, ci sono infatti prodotti come il vino, che guida la classifica dei prodotti made in Italy più esportati, seguito dall’ortofrutta fresca. “A preoccupare - aggiunge l’organizzazione agricola - sono gli effetti diretti ed indiretti della guerra con la chiusura dei mercati nei Paesi più direttamente coinvolti come la Russia che aveva messo a segno nel bimestre un aumento del 29% e dove sono scattate sanzioni che colpiscono le esportazioni di alcune specialità oltre il valore di 300 euro come tartufi, vini top e caviale si aggiungono le difficoltà all’export per i pagamenti”.
A confermare le performance all’estero, oltre al dato del vino che, dopo il record di oltre 7 miliardi di euro esportati nel 2021, è partito, a gennaio, con un +22% sullo stesso periodo dello scorso anno, anche quello di uno dei prodotti simbolo del made in Italy, il Parmigiano Reggiano. Secondo i dati del consorzio, dopo un record, anche in questo caso, del giro d’affari al consumo nel 2021, pari a 2,7 miliari di euro, il primo trimestre 2022 hanno registrato un incremento delle vendite totali pari al 3,6% (33.341 tonnellate), trascinato dai mercati internazionali che crescono del 6,9% (14.546 tonnellate). Stabili le vendite nel mercato italiano, grazie alla crescita del canale della ristorazione, che compensa il lieve calo dei consumi domestici.
Primo nello sviluppo, il mercato americano (+21,1%), che sarà strategico per il conseguimento degli obiettivi di crescita della domanda di Parmigiano Reggiano, ma bene anche Regno Unito (+7,3%) e Francia (+11,2%). In sofferenza la Germania (-16,3% con 2.230 tonnellate vs 2664), da sempre mercato più sensibile ai prezzi.
In ogni caso, ribadisce Coldiretti, “il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore di 575 miliardi di euro nel 2021, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente nonostante le difficoltà legate alla pandemia”. Il made in Italy a tavola, dunque, vale oggi quasi un quarto del Pil nazionale e, dal campo alla tavola, vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari, oltre 330.000 realtà della ristorazione e 230.000 punti vendita al dettaglio. Una rete diffusa lungo tutto il territorio che viene quotidianamente rifornisce i consumatori italiani ai quali i prodotti alimentari non sono mai mancati nonostante le difficoltà della pandemia e la guerra.
“Alla base del successo del made in Italy - evidenzia la Coldiretti - c’è un’agricoltura che è diventata la più green d’Europa, con la leadership Ue nel biologico, con 80.000 operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 526 vini Dop/Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali e con Campagna Amica la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. Il Belpaese è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne”. L’Italia però è anche un Paese deficitario che importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, ed il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi Coldiretti.
“L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati” afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini, nel sottolineare l’importanza di intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro. “Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali ma è necessario investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici. Ma occorre anche avversare - conclude Prandini - ogni tentativo di ridurre gli standard di sicurezza, a partire da pericolose deroghe ai prodotti contaminati con principi chimici vietati perché pericolosi. A questo proposito preoccupa il fatto che in Italia sia stato consentito di non indicare nelle etichette degli alimenti la provenienza degli olii di semi indicati, mettendo a rischio la trasparenza dell’informazione ai consumatori”.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Alessio Gambino, redazione@exportiamo.it
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