Il settore del biologico è in continua crescita, non solo in Italia ma anche all’estero. Un elemento che ha contribuito tantissimo alla sua diffusione è la marca del distributore.
In questi ultimi due anni i consumatori hanno sviluppato una maggiore sensibilità per l’ecosostenibilità ed il mangiare più sano, contribuendo allo sviluppo del settore biologico. In Italia, il fatturato dei prodotti bio è in costante crescita ammontando nel 2020 a 4,6 miliardi di euro. Lo sviluppo del biologico in Italia è stato crescente anche negli e-commerce dedicati che hanno registrato nel 2020 un aumento del +46%, a discapito invece dei negozi biologici fisici che hanno registrato un calo del 4%.
La penetrazione nelle famiglie italiane è aumentata di molto, dallo 0,5% al 5%, anche se rimaniamo molto al di sotto della media rispetto a Paesi come Germania e Francia. Infatti, la Francia, ad esempio, registra un consumo per famiglia annuo di circa 170 milioni di euro, mentre in Italia è solo di 60 milioni.
Vantiamo però un altro primato: l’Italia è il secondo Paese esportatore di prodotti bio al mondo dopo gli Stati Uniti. Tuttavia, la variegatura di piccole imprese italiane attive nella produzione del biologico ancora non ci permette di offrire sul mercato un assortimento tale da competere con quello estero. Grazie alla marca del distributore è possibile ovviare a questo problema, poiché la diffusione di prodotti biologici nella GDO permette anche agli imprenditori più piccoli di raggiungere canali di distribuzione importanti con contratti della durata minima di 5 anni ma in media di 10 anni.
La marca del distributore ad oggi corrisponde al 47% dei prodotti e la stessa permette uno sviluppo maggiore della sensibilità bio delle famiglie, in quanto “trasforma” i prodotti bio da beni di nicchia a beni di più largo consumo. La marca del distributore costituisce una sorta di “garanzia” della qualità del prodotto, rispetto ad un marchio di minore rilevanza e agli occhi della maggioranza sconosciuto. Per questo la marca del distributore risulta essere la preferita dai consumatori della GDO.
Da non sottovalutare è il packaging bio. Infatti, sarebbe contraddittorio vendere un prodotto biologico anche eccellente ma con un packaging di plastica usa e getta. Al momento, i prodotti biologici risultano avere un packaging omogeneo, che permette a colpo d’occhio di identificare che un determinato bene appartiene alla categoria biologica. Tuttavia, la sostanziale uniformità della confezione, non permette una differenziazione del visual e crea una difficoltà di distinzione tra una marca e l’altra.
Legato al mondo del packaging troviamo un altro aspetto molto importante: l’etichettatura dei prodotti. La tabella con i valori nutrizionali come la LCA (Life Cycle Assessment) sono ormai omologati globalmente. Tuttavia, dal 2022 entrerà in vigore all’interno dell’Unione Europea il Nutriscore, già adottato da Germania e Francia. Il Nutriscore mira a creare un sistema uniforme di etichettatura all’interno dell’Unione Europea che promuova uno stile di vita sano. La nuova etichettatura prevede dei semafori che vanno dal verde per i cibi più salutari al rosso per i prodotti che lo sono di meno. I marchi DOP, IGP e STG saranno comunque esclusi dall’applicazione del Nutriscore, in quanto quest’ultima potrebbe creare confusione nel consumatore non facendogli riconoscere il marchio di qualità.
Il settore biologico rappresenta per le aziende italiane un potenziale elevatissimo, in particolare se si rivolgono all’estero. Tuttavia, per sopravvivere alla spietata concorrenza straniera e alle dimensioni dei mercati esteri, la marca del distributore può essere la soluzione vincente per esporsi il meno possibile ai rischi di una esportazione diretta.
Da non dimenticare infine l’importanza dell’etichettatura congrua alla legislazione di destinazione e tutte le regolamentazioni ivi presenti, le quali potrebbero rendere la nostra esperienza di commercio all’estero estremamente deleteria!
Fonte: a cura di Exportiamo, di Ambra Quadri, redazione@exportiamo.it
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