Il Mercato USA e le Proteine Alternative

Il Mercato USA e le Proteine Alternative

02 Agosto 2021 Categoria: Food & Beverage Paese:  USA

Il settore del plant-based, quello delle cosiddette “proteine alternative”, è in continua crescita negli Stati Uniti, trainato da una domanda in costante aumento. Ma molte sono anche le sfide da affrontare. Scopriamo insieme quali.

Le aziende che producono sia prodotti “tradizionali” che vegetali, testimoniano un tasso di crescita del vegan a due cifre negli ultimi anni (2018-2020: +43%). Ecco perché queste aziende prevedono di allocare un budget sempre maggiore allo sviluppo dei loro segmenti plant-based.

Tuttavia, per lo meno nel futuro prossimo, il prodotto 100% vegetale non sostituirà del tutto quello d’origine animale ma ci sarà piuttosto uno sviluppo parallelo a quello dei prodotti tradizionali, con i quali divideranno il mercato.

Quest’ultima previsione deriva dall’osservazione del comportamento del consumatore-tipo americano nei confronti dei prodotti plant-based. Nonostante infatti l’impulso iniziale per lo sviluppo di questo mercato sia scaturito da chi segue una dieta 100% vegetale, ad oggi è il cosiddetto “flexitarian” ad acquistare la maggior parte dei prodotti vegani.

Cosa significa Flexitarian?

Questo termine fa riferimento a chi, pur continuando a mangiare alcuni prodotti di origine animale, preferisce diminuirne il consumo, prediligendo le alternative vegetali, specialmente in alcune categorie.

L’elemento che ha caratterizzato il settore plant-based negli ultimi anni è senza dubbio il suo aspetto innovativo, evidente soprattutto nei nuovi risultati dal punto di vista delle caratteristiche sensoriali dei prodotti. Mentre fino a qualche anno fa le proteine alternative non facevano di sapore e consistenza i loro punti forti, focalizzandosi più su aspetti quali salubrità e sostenibilità, i prodotti a base vegetale di oggi sono sempre più simili alle loro controparti d’origine animale.

Impossible Food, azienda USA concorrente di Beyond Meat nel mercato della carne vegetale, vede una tale evoluzione nella qualità della sua categoria da arrivare a sostenere che la “carne vegana” sostituirà del tutto quella normale nel giro di 15 anni. Nonostante questa prospettiva sia decisamente ottimistica da parte loro, è innegabile che le meat alternative siano sempre più competitive nel mercato della carne, aiutate non solo da una crescente attenzione del consumatore a elementi quali la sostenibilità ambientale ed il benessere animale, ma anche ai costanti investimenti che entrano nel settore.

Il crescente livello di investimenti in questo ambito favorisce l’innovazione stessa, attraverso le attività di ricerca e sviluppo. E proprio queste attività sono al centro delle prossime sfide dell’industria. Non solo la ricerca verso un gusto ed una consistenza ancora migliori è destinata a continuare, ma ci sono anche altri elementi che sono sempre più centrali per il consumatore statunitense. Una fra tutte la questione nutrizionale. Molti prodotti vegetali, ad esempio, sono a base di soia, che è però tra gli allergeni più comuni. Per ovviare a questo problema è sempre più comune l’utilizzo della proteina del pisello, giudicata migliore per la salute, consumabile da chi è allergico alla soia, ed è anche molto versatile a livello di utilizzo.

Un altro elemento incredibilmente innovativo del settore è la cultured meat (la carne prodotta “in laboratorio”). Ne parliamo anche se non rientra propriamente nel settore plant-based, trattandosi di una tecnica innovativa in grado di fare “crescere” in laboratorio la carne (con pratiche simili a quelle rigenerative in medicina). Il risultato è lo stesso prodotto a cui siamo abituati, ma presenta due vantaggi fondamentali:

- il primo è quello di essere incredibilmente sostenibile perché, in assenza dell’animale, non ci sarà bisogno di input come l’uso intensivo del terreno, la necessità di cibo per gli animali, e la quantità di acqua utilizzata nel processo è molto inferiore.

- il secondo vantaggio risiede nel fatto che, non essendoci l’animale di mezzo, viene meno il bisogno di utilizzare medicinali e antibiotici su di esso (negli Stati Uniti il livello di antibiotici e medicinali concessi è molto alto), restituendo un prodotto più sano.

Demograficamente la descrizione del consumatore-tipo di questi prodotti è in espansione. Come già visto, mentre in un momento iniziale si faceva riferimento solo ai “vegani”, oggi il consumatore flexitarian rappresenta una grossa fetta del mercato plant-based.

È interessante notare come gli studi del mercato plant-based in USA evidenziano che il flexitarian non è più un consumatore isolato, ma questo regime alimentare diventa una tendenza a livello domestico, con i prodotti 100% vegetali che entrano a far parte della dieta familiare di base, normalizzando il consumo di questi soprattutto per le generazioni più giovani. La definizione demografica del consumatore varia anche al variare del segmento merceologico. Ad esempio, il mercato del latte vegetale negli Stati Uniti rappresenta il 15% dell’intero mercato del latte, comprendendo un profilo demografico molto ampio. Il mercato del formaggio vegano invece, rappresenta solo l’1% del mercato US dei formaggi, identificando un tipo di consumatore più “fedele” al prodotto vegetale o più incline alle novità e le innovazioni nel food.

La sostenibilità ambientale è uno dei driver primari di questo mercato, non solo dal punto di vista del consumatore, ma anche dal punto di vista del produttore. La produzione vegetale consuma molte meno risorse (soprattutto e solitamente in termini di acqua) rispetto a quella di origine animale. Ecco che allora anche le aziende sono più incentivate a favorire lo sviluppo di un prodotto plant-based piuttosto che di un prodotto tradizionale, potendo capitalizzare sul risparmio in fase produttiva. Per le aziende poi, il guadagno è anche d’immagine: comunicare l’impegno ad utilizzare meno risorse ed immettere sul mercato prodotti sostenibili, risponde perfettamente alle richieste attuali del consumatore USA. Basti pensare che per queste ragioni il colosso Danone North America, conosciuto per prodotti derivati del latte, dichiara che il 10% del suo giro d’affari globale è rappresentato dalla categoria plant-based.

Quali sono le sfide per questi prodotti?

In primis, quella di essere percepiti come cibo altamente trasformato, e quindi poco naturale. Per sormontare questo problema le aziende cercano da un lato di lavorare con R&D per essere in grado di semplificare le loro ricette, e dall’altro di produrre delle etichette che siano il più possibile chiare e di facile comprensione.

Un altro ostacolo è il prezzo, spesso molto elevato. Con lo sviluppo e la crescente diffusione di questi prodotti e l’acquisizione crescente di economie di scala, tuttavia, la diminuzione dei prezzi è garantita. Un numero crescente di consumatori e di produttori contribuiscono a questo “nuovo” mercato, ormai già definito mainstream da alcuni, che negli Stati Uniti rappresenta sicuramente un segmento promettente.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marianna Niero, redazione@exportiamo.it

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