Oggi si celebra la Festa dei Lavoratori. Ma perché si festeggia il primo maggio? E quali sono gli effetti di oltre un anno di pandemia sul mondo del lavoro? Scopriamolo insieme. 

La festa dei lavoratori si festeggia il primo maggio in molti Paesi del mondo tra cui Italia, Cuba, Russia, Cina, Messico, Brasile, Turchia e diversi Stati dell’Unione Europea.

Le origini della Festa dei Lavoratori

L’episodio che ha ispirato la scelta di questa data avvenne negli Usa, a Chicago, il 1° maggio del 1886. Quel giorno era stato indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro. “8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire” era infatti lo slogan coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte dei movimenti sindacali poiché a metà Ottocento una giornata di lavoro durava dalle 12 alle 16 ore, la sicurezza non era contemplata e i morti sul lavoro non venivano neppure conteggiati.

La protesta andò avanti per tre giorni e il 4 maggio culminò con una e propria vera battaglia tra i lavoratori in sciopero e la polizia di Chicago: undici persone persero la vita in quello che sarebbe passato alla storia come il massacro di Haymarket.

Sette persone collegate con le proteste furono arrestate quello stesso giorno anche se non c’erano prove contro di loro. Nonostante ciò la giuria emise verdetti di colpevolezza per tutti gli imputati che furono condannati a morte per impiccagione. L’esito del processo indignò gli operai di tutto il mondo e i condannati diventarono i Martiri di Chicago. E portarono all’attenzione del mondo la necessità di intervenire sui diritti e la tutela dei lavoratori.

Ecco perché i rappresentanti dei partiti socialisti e laburisti europei, riunitisi a Parigi il 20 luglio del 1889 per il congresso della Seconda Internazionale socialista, scelsero il primo maggio come data della Festa dei Lavoratori.

Curiosamente non lo è negli Stati Uniti, il Paese da cui, in un certo senso, tutto cominciò. Negli Usa, infatti, si celebra una festa dei lavoratori il primo lunedì di settembre.

Il lavoro dopo il Coronavirus

Molti dei diritti per i quali alla fine dell’Ottocento si battevano i lavoratori di tutto il mondo sono adesso, per fortuna, dati per acquisiti, ma oggi non possiamo non approfittare del primo maggio per riflettere sulle condizioni attuali del mondo del lavoro e su come questo dovrà cambiare per rispondere alla grave crisi economica determinata dalla pandemia.

Infatti, le statistiche globali, europee e nazionali mostrano come sia aumentata la disoccupazione, così come il gender gap, e come molti lavoratori precari siano ancora più sfruttati, in città come in campagna.

L’ultimo rapporto presentato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, mette in evidenza, nella settima edizione della “Nota Ilo e mondo del lavoro“, come in primo luogo siano diminuite le ore lavorate. Circa l’8,8% a livello mondiale è andato perso, se si fa il confronto con il primo trimestre del 2019. Una perdita che corrisponde a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno che non esistono più. Per fare un paragone con una crisi del passato, le ore lavorate andate perse nel 2020 sono circa quattro volte superiori rispetto a quanto accaduto nel 2008.

Lo stesso report mette in evidenza anche come siano aumentate sia la disoccupazione che l’inattività. Nel 2020 le perdite occupazionali si sono tradotte principalmente in un aumento dell’inattività piuttosto che della disoccupazione, che sono comunque i due effetti principali del Covid-19. Le persone sono uscite dal mercato perché non erano in grado di lavorare a causa delle restrizioni causate dalla pandemia o perché, più semplicemente, hanno smesso di cercare lavoro. Circa 81 milioni di persone sono passate all’inattività rispetto a 33 milioni di disoccupati. Di conseguenza, il tasso di partecipazione della forza lavoro globale è sceso del 2,2% a causa della crisi. C’è da dire che solo nei Paesi ad alto reddito la disoccupazione è aumentata più dell’inattività. Per il resto l’inattività pesa tantissimo e su questo hanno avuto una particolare influenza le chiusure forzate. Il 93% dei lavoratori, infatti, risiede in Paesi in cui sono state adottate o sono ancora in vigore forme di chiusura dei luoghi di lavoro che, per alcune aree geografiche e per settori economici ben specifici, sono diventate la norma durante la pandemia.

Tutto questo ha accentuato ancora di più le disparità già esistenti. Come evidenzia il report annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani,  le misure che i governi hanno adottato in risposta alla pandemia hanno influito notevolmente sui mezzi di sussistenza delle persone e, a cascata, sul loro diritto ad avere un alloggio adeguato. In molti, infatti, si sono trovati senza la possibilità di pagare un mutuo o un affitto. E per i lavoratori domestici questo non ha comportato solo la perdita di lavoro, ma anche dell’abitazione, visto che per molti le due cose coincidono.

Anche il lavoro domestico “informale” ha subito una battuta d’arresto. Stando al rapporto dell’Osservatorio Domina sul lavoro domestico nel 2020, le difficoltà economiche delle famiglie e i decreti che in Italia prevedevano che qualsiasi spostamento venisse giustificato, hanno portato a una situazione difficile per badanti e babysitter. Visto che molti di questi lavoratori domestici non hanno un contratto regolare, non è stato possibile spostarsi per andare dal datore di lavoro. Si parla del 75% a livello mondiale, secondo le stime dell’Ilo, e di quasi il 60% in Italia (dati Istat). E in queste situazioni, naturalmente, bonus e ammortizzatori sociali sono serviti a poco e niente.

Tra chi ha subito l’impatto più pesante della pandemia ci sono senz’altro le donne. A livello globale, sempre secondo le stime dell’ILO, hanno subito la perdita di lavoro il 5% in più rispetto agli uomini. La situazione non migliora per quel che riguarda l’Europa. Secondo il rapporto Eurostat del 2020, l’84% delle donne lavoratrici tra i 15 e i 64 anni è stato il più colpito dalla crisi. Secondo la pubblicazione di Eurofound “Le donne e l’uguaglianza nel mercato del lavoro: la pandemia di COVID-19 ha annullato le recenti conquiste?”, pubblicato nel dicembre scorso, il tasso di disoccupazione all’interno della Ue è cresciuto in particolare per le donne, aumentando così il divario di genere: 9% contro 8 per cento. Per chi, poi, ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni la probabilità di perdere del lavoro è dell’11% rispetto al 9% degli uomini della stessa età. Ma non solo: su questo, stando al sondaggio, influisce il fatto che le donne sono più “portate” ad abbandonare il lavoro perché hanno una quota di maggiore responsabilità nella cura della famiglia che le conduce a scoraggiarsi e distaccarsi dal mercato. Nel panorama europeo, i dati Eurofound dimostrano che tra coloro che hanno lavorato prima dello scoppio della pandemia e subito dopo hanno perso il loro lavoro, il 4% delle donne è diventato inattivo, contro l’1% degli uomini. La situazione non migliora guardando al nostro Paese: secondo il rapporto “Il mercato del lavoro 2020″, frutto del lavoro congiunto del Gruppo di lavoro tecnico e del Comitato d’Indirizzo dell’Accordo tra ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, si evidenzia come il gap sul tasso di occupazione tra donne e uomini è passato da 17,8 punti a 18,3 in favore di questi ultimi.

Anche i giovani hanno subito i pesanti effetti della pandemia. Stando ai dati Istat comunicati il 6 aprile, infatti, la crisi la crisi sanitaria ha portato la disoccupazione giovanile in Italia al 31,6 %. Stando ancora al rapporto sul mercato del lavoro citato in precedenza, inoltre, è aumentato il gap di genere sul tasso di occupazione: quello degli under 35, nel caso specifico, è di 21 punti più basso rispetto a quello degli over 50 (era 19,3 nel 2019). E questo anche in virtù del fatto che, come dice lo stesso rapporto, i settori che segnalano un calo maggiore delle assunzioni sono alberghi e ristorazione, industria in senso stretto, commercio, attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese, per i quali la riduzione riguarda soprattutto i più giovani.

La pandemia ha influito notevolmente anche sui lavori stagionali, in particolare sui braccianti stranieri. Assenza di screening e contenimento del virus, mancanza d’informazione sul Covid-19 e su come prevenirlo e contenerlo, così come mancanza di sostegno al reddito (nessuna cassa integrazione, per esempio), hanno contribuito a rendere nel complesso inefficaci le poche misure sanitarie adottate.

Oggi dunque, forse non sia parla più di 8 ore di lavoro, ma sicuramente non mancano le tematiche su cui occorre interrogarsi per garantire il benessere economico, sociale e psicologico dei lavoratori.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pubblicità
  • Digital Export manager
  • Missione Commerciale in Sud Africa
  • Yes Connect

Hai un progetto Export? Compila il Form

Pubblicità
  • Servizi Digital Export
  • Exportiamo Academy
  • Esportare in Canada
  • Uffici negli USA
  • Missione Commerciale in Sud Africa
  • Vuoi esportare in sudafrica?