La pandemia di Covid-19 non ha danneggiato l’export di due dei mercati agroalimentari nazionali più importanti: pasta e vino. Nonostante la crisi provocata dal Covid-19 e dalla conseguente chiusura di bar e ristoranti, il settore agroalimentare sta vivendo una fase di ripresa e crescita. Anche se i dati del lockdown sono stati pesanti, i primi mesi dell’anno lasciano intravedere per l’Italia segnali positivi e performance migliori rispetto agli altri paesi europei.
Il Coronavirus ha fatto riemergere la strategicità del settore agroalimentare: i consumi di cibo e bevande sono stati e continuano ad essere tra i pochi, che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici sulle altre filiere. Anche se non si è ancora conclusa la conta dei danni che l’emergenza Covid-19 ha provocato all’economia italiana e mondiale, arrivano i primi segnali positivi, a suggellare un percorso di ripresa. Non dobbiamo stupirci che questi dati arrivino dal comparto agroalimentare, il quale ha visto le imprese continuare a lavorare anche durante la fase di lockdown. I due alfieri del settore food & wine, da cui derivano i principali segni di ripresa, sono emblema della cucina italiana nel mondo: il vino e la pasta.
I dati relativi alla crescita nelle esportazioni per il vino e la pasta fanno ben sperare che il percorso di ripresa sia iniziato. Nei mesi dell’emergenza, la filiera produttiva ha risposto al boom della domanda interna, garantendo le forniture nonostante le difficoltà logistiche.
La pasta registra una crescita del +21% nel primo trimestre dell’anno
Sul fronte dell’export infatti, pasta e prodotti trasformati guidano la volata: per la pasta prosegue il trend di crescita che, nel 2019, l’aveva portata al record di esportazioni con 2,56 miliardi di euro ed un aumento del 21% nel primo trimestre (+97mila tonnellate), mentre gli altri prodotti hanno registrato un incremento di 37mila tonnellate (+15%). Bene anche il riso (+11mila tonnellate) e i mangimi a base di cereali (+4.300 tonnellate).
Metà della pasta prodotta in Italia va oltre confine, in quasi 200 Paesi, ma soprattutto in Germania (il mercato estero più importante per il settore, con numeri triplicati in 25 anni), Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Giappone. A fronte di questi risultati, è evidente, come un piatto di pasta su quattro mangiato nel mondo, venga prodotto da un pastificio italiano. Nel 2019, per la prima volta, si è raggiunto il record storico dell’export: 2 miliardi di chili.
Torna ad aumentare anche la produzione nazionale di grano duro, che rappresenta solo una piccola parte rispetto alla produzione complessiva di frumento, che include anche il grano tenero, e che si prospetta raggiungerà nel 2020, 766,1 milioni di tonnellate. Considerando l’Italia, la domanda industriale di frumento di qualità e di origine italiana continua a crescere grazie anche all’attenzione dei consumatori verso la provenienza della materia prima, prodotti di qualità, formati speciali e con più alto contenuto proteico. Il Bel Paese dovrebbe raggiungere quota 7,4 milioni di tonnellate, il 13,8% in più rispetto alla scorsa campagna, ma l’effetto più rilevante della pandemia è rappresentato dalle restrizioni all’export, definito con modalità differenti dai vari Paesi, al fine di stabilizzare i prezzi interni e proteggere la sicurezza alimentare.
Inaspettate e positive le performance del vino Italiano
Dato parziale ma positivo, anche se contro ogni aspettativa, il risultato messo a segno dal vino italiano nei mercati extra UE nel primo quadrimestre 2020 con un + 5,1% rispetto allo scorso anno. L’Osservatorio Vinitaly - Nomisma ha reso note le cifre relative al vino, sulla base delle informazioni doganali dei diversi paesi. Come primo mercato di sbocco ci sono gli Stati Uniti, seguiti dagli emergenti Canada, Russia, Giappone, Cina, Svizzera e Brasile.
Considerando gli Stati Uniti, la corsa ad acquisti e scorte da parte degli importatori, timorosi che potessero essere imposti dazi sulle etichette Made in Italy, ha permesso di registrare un +40% nel primo bimestre 2020; il trend si è mantenuto anche nei mesi più duri dell’emergenza.
«I dati – afferma il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini – parlano di un mercato che per il made in Italy, ovviamente, cala ad aprile ma nel quadrimestre sembra rispondere alla crisi in maniera più efficace dei propri competitor. Il mancato crollo nel mercato statunitense, complici i dazi aggiuntivi sulla Francia insieme all’ottimo risultato in Canada, rendono meno amaro il calice italiano in tempo di Covid-19». Un esito di notevole importanza, se confrontato con quello dei vini francesi (che nel complesso hanno perso il 10,1%) e con le difficoltà di un altro temibile competitor come l’Australia, a dimostrazione che l’Italia, pur in questo frangente di crisi, ha rafforzato le proprie quote di mercato.
Le ottime performance ottenute dalle etichette Italiane negli Stati Uniti, nonostante il periodo di pandemia, si devono principalmente alla maggiore presenza nella GDO statunitense rispetto ai francesi, che sono invece più esposti nella ristorazione, in gran parte ancora bloccata.
«È un momento decisivo per il futuro del vino italiano – commenta il dg di Veronafiere, Giovanni Mantovani – La crisi globale impone di fare ora scelte importanti che influiranno anche sul lungo periodo. Perciò Vinitaly ha moltiplicato i propri punti di osservazione e in questi mesi, che precedono il Wine2Wine Exhibition & Forum di novembre, condurrà sempre di più le aziende e le istituzioni in un percorso di lettura condivisa e multicanale delle dinamiche di mercato del nostro vino nel mondo».
Dunque, in accordo con tali statistiche e con il parere degli esperti, possiamo affermare con piacere che l’agroalimentare rappresentare un settore in crescita ormai da un decennio. Negli ultimi anni è stato capace di garantire da solo circa il 25% del fatturato complessivo sull’export e continuerà senza dubbio ad essere una delle aree di business trainanti della nostra economia.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Giulia Rocchetti, redazione@exportiamo.it
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