“Aiuto! Abbiamo un problema in India …”. A parte riecheggiare il noto film “Mamma, ho perso l’aereo!”, questo è esattamente il modo con cui i grandi gruppi multinazionali chiedono una soluzione di temporary management (di seguito TM) in uno dei Paesi esteri, anche remoto, in cui operano. Oltretutto, nella stragrande maggioranza chiedono una soluzione, leggi un temporary manager, da inserire entro i quattro/cinque giorni successivi!
A prescindere da questa modalità di contatto che può a prima vista apparire un pò folkloristica e poco coerente con contesti strutturati e organizzativamente ben definiti, negli ultimi anni è sensibilmente aumentato il ricorso al TM da parte di gruppi internazionali/multinazionali per operazioni cross border, ovvero pianificate e decise da un headquarter per essere poi implementate localmente in Paesi terzi in aziende controllate, in toto o in parte, o anche, in casi particolari, solamente partecipate.
Di fondo, secondo la logica di acquisto dei grandi gruppi, quello che si compra sono gradi di libertà: ovvero, il presidio e il governo di un dato problema con la massima rapidità (e qualità), ma tenendo al contempo aperte diverse opzioni possibili per quando l’intervento sarà terminato.
In questo senso, il TM rappresenta per queste aziende una soluzione per molti versi ottimale, in quanto consente, nell’arco di pochissimi giorni, di avvalersi di competenze manageriali di elevato spessore e seniority. Non solo: nel caso di operazioni cross border, si parla di manager locali (un indiano per restare sul titolo), decisamente più competitivi rispetto all’utilizzo di espatriati, in quanto molto più efficaci, data la conoscenza di “usi e costumi”, sistema giuridico, metodi di gestione, lingua e più rapidi nella presa di contatto con il problema e con la locale filiale. Senza dimenticare il sensibile vantaggio in termini di costi.
È possibile enucleare una serie di situazioni tipiche in cui si ha bisogno di un TM, rilevate sia nel caso di operazioni da parte di aziende a proprietà e controllo italiane e/o aziende italiane a controllo estero, ma a capo tipicamente di un’area geografica (EMEA, Sud Europa a seconda delle definizioni), verso Paesi terzi, sia da parte di aziende a proprietà e controllo straniero verso il nostro paese.
Iniziamo dalla fase di pre-acquisizione, ovvero di identificazione e selezione dei possibili target per un investimento diretto (IDE o FDI) o una JV.
L’utilizzo più frequente è nel caso di acquisizione di quote di controllo (e talvolta di minoranza qualificata) in aziende piccole e/o di matrice familiare in un altro paese. Attraverso manager esperti dello specifico settore è spesso più veloce la parte di identificazione dei possibili target, così come i primi contatti preliminari con la proprietà, anche su base anonima. Oltretutto, avvalendosi di un manager che ha conoscenza specifica del settore, risulta essere più efficace ed efficiente anche l’attività di assessment del management. Il contributo del Tman può limitarsi alla sola fase esplorativa e pre-negoziale, ma talvolta si estende alla fase negoziale vera e propria e alle prime fasi di gestione dopo la conclusione del deal, come soluzione ponte per preparare l’ingresso di un manager, sempre locale, su base permanente o semi-permanente.
In situazioni di post merger/post acquisition, l’azienda che realizza l’operazione spesso provvede da subito a mettere sotto controllo alcuni aspetti chiave della gestione (es. con un CFO temporary, con l’obiettivo di allineare le procedure contabili e amministrative a quelle della casa madre per poi procedere all’inserimento di un manager locale al quale avrà trasmesso un sistema ben affinato e messo a punto), piuttosto che l’area delle Operations (se presenti attività industriali).
Spesso però, specie nel caso di acquisizione di aziende piccole, l’acquirente decide di mantenere con ruoli operativi uno o più membri del gruppo familiare di controllo originario. La motivazione principale è quella di garantire una transizione soft verso la nuova proprietà, dando tempo a persone che hanno magari un’anzianità aziendale molto elevata e un rapporto fiduciario e personale con la proprietà di adattarsi a nuove logiche e a nuovi comportamenti.
Nella realtà abbiamo però spesso riscontrato che tutti gli elementi appena citati funzionano al contrario: gli esponenti della vecchia proprietà finiscono per continuare a gestire l’azienda come se fosse la loro, con una serie di ricadute decisamente poco gradevoli per il nuovo entrante.
I dipendenti continuano pertanto a riconoscere “solo” la vecchia proprietà, facendo quasi finta di non vedere i nuovi proprietari, proprio perché abituati a parlare con l’imprenditore per dieci/vent’anni.
I vecchi proprietari continuano de facto a gestire l’azienda come se fosse la loro: testuale da un cliente francese che aveva fatto un’acquisizione in centro Italia: “il vecchio continua a fare il signore con i nostri soldi …”.
Una soluzione possibile? Inserire un temporary manager in ruoli di CEO/DG con i seguenti obiettivi:
• spezzare la catena con la vecchia proprietà e la precedente gestione;
• mettere al contempo in sicurezza l’azienda, ovvero impedire che parti di attività possano essere sottratte e trattenere le risorse chiave che in caso di forzature eccessive potrebbero decidere di lasciare l’azienda;
• inglobare definitivamente l’azienda acquisita nell’ambito della controllante e dei suoi processi operativi (abbiamo lavorato nelle due direzioni: da estero verso Italia, ma anche da Italia verso estero, ad esempio Francia, Svizzera tedesca, Germania, USA, UAE).
Nella realtà, il problema di “rompere” potentati locali ci si è presentato diverse volte in altra forma nel caso di filiali di multinazionali in cui, per diversi motivi, si era venuta consolidandosi una sorta di monarchia assoluta su base locale.
In grandi gruppi con un elevato grado di presenza internazionale in diversi Paesi, può succedere (e succede!) che in alcuni si verifichi la presenza di un management molto bravo, ma anche molto forte e di fatto molto indipendente, capace di portare per anni grandi risultati, ma di restare molto poco penetrabile nei suoi meccanismi di gestione alle diverse aree funzionali della casa madre. In altre parole, si può assistere alla crescita e allo sviluppo di potentati locali, in cui la loyalty del management, e quindi dei collaboratori, va al monarca locale e non al gruppo internazionale di appartenenza, visto quasi come un elemento di disturbo, come un “ospite di riguardo” nel caso di visite alla controllata, ma che poca visibilità ha sui processi interni e su quanto realmente accade.
Finché i risultati tengono, a livello di casa madre queste situazioni vengono spesso tollerate e accettate: in fin dei conti, perché andare a disturbare un business che va bene e che porta lustro e risultati alla controllante e ai suoi manager che gestiscono le attività internazionali?
Il problema nasce nel momento in cui i risultati iniziano a traballare e a non dare più lustro ad alcuno: proprio in quei frangenti ci si rende conto di non riuscire a capire cosa succede nel tal paese, proprio perché di quanto accade al suo interno poco o nulla si sa.
Sono questi i momenti di decisioni ultrarapide, magari un po’ troppo umorali ed emozionali, che portano ad operazioni che definisco in stile “Mossad” per la rapidità con cui vengono condotte: rimozione del management locale nell’arco di pochissimi giorni e sostituzione dello stesso con un temporary manager e/o una squadra di temporary manager che ha esattamente gli obiettivi di cui sopra nel caso di “rimozione” della vecchia proprietà.
Da ultimo, si ricorre al TM per specifiche tematiche legate alla gestione corrente (es. roll out internazionale di un sistema ERP, ottimizzazione di alcune funzioni chiave, tipicamente Finance, HR e Operations) o ad operazioni straordinarie (es. turnaround e special situation, chiusure e liquidazioni societarie).
Fonte: a cura di Exportiamo, di dott. Maurizio Quarta – Temporary Management & Capital Advisors, redazione@exportiamo.it
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