Tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) previsti nell’Agenda 2030 sottoscritta dai Paesi membri ONU, figura al decimo posto la riduzione dell’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni in termini di ricchezza. Anche se gli Stati firmatari hanno a disposizione ancora del tempo per adempiere alla loro missione, analizzare l’attuale stato dell’arte permette di comprendere se si sta andando nella giusta direzione o se invece è necessario impegnarsi di più.
Le Nazioni Unite parlano chiaro: la disuguaglianza dei redditi è in aumento ed è determinata dalla ineguale proprietà del capitale. Il 10% più ricco del mondo detiene, infatti, il 40% del reddito globale, mentre il 10% più povero guadagna solo dal 2% al 7%.
Il caso degli influencer è emblematico. Secondo la Instagram Rich List 2018 di hopper, un solo post della prima influencer del mondo, Kylie Jenner, modella e ora imprenditrice nel settore della cosmesi, vale 1 milione di dollari. Oggi Kylie Jenner è la miliardaria più giovane del mondo, avendo raggiunto tale traguardo a soli 21 anni superando niente meno che Mark Zuckerberg.
A livello mondiale, uno studio di Oxfam del 2018 ha rivelato che tra il 2017 e il 2018 i miliardari sono aumentati al ritmo di uno ogni due giorni ma il dato che preoccupa è che la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi eletti. Consideriamo ad esempio Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, il cui patrimonio ammonta a 112 miliardi di dollari. Per avere un’idea di quanto sia concentrata la sua ricchezza basta pensare che appena l’1% del suo capitale equivale quasi all’intero budget sanitario dell’Etiopia, un Paese con 105 milioni di abitanti. Inoltre, come se non bastasse, gli individui più ricchi del mondo e le società di cui sono proprietari godono anche di livelli di imposizione fiscale tra i più bassi degli ultimi decenni: solo 4 centesimi per ogni dollaro di gettito fiscale provengono da imposte patrimoniali.
Sul fronte europeo invece, a mostrare le stime aggiornate sulla distribuzione del reddito nazionale, ci ha pensato una ricerca pubblicata dal World Inequality Database. Si evince chiaramente come le disuguaglianze siano aumentate, anzi l’economia europea odierna è più disuguale di quanto non lo fosse 40 anni fa. Tra il 1980 e il 2017, infatti, l’1% della popolazione più ricca ha visto accrescere il suo reddito 2 volte più velocemente del 50% della popolazione più povera guadagnando nell’ultimo anno circa l’11% del reddito europeo.
In Italia gli andamenti sono simili alle altre grandi economie europee (come Francia, Germania, Spagna), e forse l’Italia è anche meno disuguale, ma comunque il quadro generale resta preoccupante. Ad esempio, mentre il 10% più ricco, (cioè circa 5 milioni di adulti) ha aumentato la sua quota di reddito nazionale guadagnando il 30% del reddito totale, la metà più povera degli italiani guadagna una quota sempre minore, circa il 24% del reddito italiano.
D’altra parte dallo studio sono emerse anche considerazioni positive:
- sebbene in Europa le disuguaglianze siano aumentate, siamo riusciti meglio degli Stati Uniti a creare una crescita inclusiva. Infatti, in Europa, la metà più povera della popolazione ha comunque visto salire il suo reddito medio del 40% mentre negli Stati Uniti, i più poveri, hanno sostanzialmente lo stesso reddito di 30 anni fa;
- dal 2000 in poi, la maggior parte degli stati europei è riuscita ad assicurare una crescita significativa dei redditi della popolazione più povera.
Alla luce di quanto esaminato finora, verrebbe da chiedersi se sia davvero possibile raggiungere l’obiettivo di una effettiva riduzione delle disuguaglianze economiche.
Per il Forum Disuguaglianze e Diversità composto da molti ricercatori, professori, associazioni, e membri della società civile, c’è ancora speranza. Molte sono state le proposte avanzate che mirano in diversi modi e sotto vari aspetti a ridurre le disuguaglianze, non solo di reddito e di ricchezza, ma anche disuguaglianze di opportunità, di decisione e di controllo.
Tra tutte, tre proposte meritano un approfondimento.
La prima prevede di assegnare missioni strategiche di medio-lungo termine nelle imprese pubbliche per orientare le scelte aziendali verso obiettivi non solo di competitività ma anche ambientali e sociali.
La seconda invece consiste nell’imposizione di minimi salariali orari, a favore soprattutto delle fasce di reddito più povere, a 10 euro in tutta Italia e il rafforzamento dell’efficacia delle organizzazioni sindacali estendendo a tutti i lavoratori di ogni settore i contratti firmati tra sindacati e imprese.
Infine l’ultima proposta prevede una “eredità universale” pari a 15mila euro da versare ad ogni ragazzo o ragazza al compimento della maggiore età, finanziata da una tassazione progressiva sulla somma di tutte le eredità e donazioni ricevute durante l’arco di vita con una soglia di esenzione di 500mila euro. Questo intervento, come calcolato nello studio, avrebbe un importante effetto per aumentare indistintamente le opportunità dei giovani che con questa donazione iniziale potrebbero avere diverse possibilità, tra cui studiare in una città diversa da quella dei genitori, iniziare una propria attività imprenditoriale, viaggiare o anche acquistare una macchina per poter lavorare nel paese vicino.
Lo sapevate che…
l’anno scorso soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone. Nel 2017 queste fortune erano concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile e soprattutto non tocca soltanto i paesi in via di sviluppo. Bisogna quindi affrettare il passo, perché il 2030 non è poi così lontano.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca Simonelli, redazione@exportiamo.it
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