L’8 marzo ricorrerà la Giornata internazionale della donna in cui si celebrano i progressi in ambito economico, politico e culturale raggiunti dalle donne in tutto il mondo.

La strada verso l’emancipazione femminile parte da lontano, verso la fine del 1800 con il primo movimento femminista incarnato dalle suffragette inglesi per rivendicare il diritto di partecipare alla dimensione pubblica. Da allora molti passi in avanti sono stati compiuti, dal diritto allo studio al diritto di accedere a quei lavori prima accessibili solo agli uomini. Tuttavia, nonostante le battaglie femministe abbiano permesso di raggiungere questi importanti traguardi, c’è ancora molta strada da fare, soprattutto in ottica di parità salariale e nel ricoprire ruoli manageriali o di alto livello.

Nel Global Gender Gap Report 2018 del WEF si riscontra come, al livello globale, solo il 34% dei dirigenti siano donne. La presenza di quest’ultime in ruoli dirigenziali è oggi uno dei principali ostacoli da superare, sia nel settore pubblico che privato, al fine di raggiungere la piena parità di genere economica.

A livello europeo, sul fronte occupazionale, in tutti gli Stati membri si riscontrano tassi di occupazione femminili inferiori a quelli degli uomini: in media si parla di un tasso di occupazione maschile del 78 % contro il 66,5 % femminile. Stesso discorso vale per la retribuzione salariale: sebbene siano più istruite degli uomini, le donne europee continuano a guadagnare in media il 16% in meno rispetto agli uomini in tutta l’UE.

Tuttavia bisogna puntualizzare che esistono Paesi più virtuosi e Paesi meno.

Tra i primi si ritrovano la Lituania, seguita da Finlandia, Svezia, Danimarca, Lettonia e Olanda, economie queste, caratterizzate da minime differenze occupazionali di genere. Tra i Paesi meno virtuosi si annoverano invece Malta, Italia e Grecia.

Quali azioni dovrebbero essere messe in campo per cambiare questa situazione?

Un punto di partenza potrebbe essere guardare all’esempio dei Paesi più virtuosi. Analizziamo il modello scandinavo: la risposta non sta solamente nelle politiche sulle parità di genere, ma soprattutto in quelle sociali. Ecco perché le politiche del mercato del lavoro scandinave sono sempre state esaminate e messe in linea con quelle sulla famiglia, principalmente perchè il fatto di creare un bilanciamento lavoro/famiglia è basilare. I congedi parentali obbligatori per entrambi i partner, ne sono un esempio. E ancora, per la fase successiva alla nascita, il sistema svedese ha previsto un’assistenza statale per quanto riguarda le indennità per i figli e gli asili nidi, di modo che la coppia sia libera di organizzarsi tra famiglia e lavoro. Soluzioni intelligenti per le famiglie e l’appoggio dello stato hanno garantito le basi per far sì che la parità tra donne e uomini potesse prosperare.

Affinchè questo sistema possa essere adottato anche dagli altri Paesi meno virtuosi, è necessario attivare un rinnovamento culturale in merito alla distribuzione del lavoro domestico tra uomini e donne. Fortunatamente nelle nuove generazioni si sta assistendo ad un bilanciamento dei ruoli nella coppia creando così i presupposti di un reale cambiamento.

Una volta attuata la “rivoluzione” culturale, sarà compito degli Stati affermare la parità di opportunità attraverso politiche, come è stato detto, volte ad ottenere un certo equilibrio tra responsabilità familiari e lavorative nonché una distribuzione più efficace di tali responsabilità tra i due sessi. In quest’ottica bisognerebbe dare priorità alle misure concernenti l’organizzazione dell’orario di lavoro, la creazione di infrastrutture per la cura dei figli e la reintegrazione dei lavoratori nel mercato occupazionale dopo periodi di congedo parentale.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca Simonelli, redazione@exportiamo.it

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