La Georgia sta vivendo un momento di straordinaria prosperità economica e, grazie alla sua posizione strategica, ci sarebbero tutti i presupposti per un ulteriore sviluppo. Ma deve fare i conti con un vicino molto ingombrante: la Russia di Vladimir Putin…
In guerra, si sa, c’è chi vince e c’è chi perde. E chi ci guadagna. È il caso della Georgia, la piccola repubblica ex-sovietica situata nella regione montuosa euroasiatica del Caucaso che, nonostante il caro energia, l’inflazione e l’aumento delle materie prime, sta prosperando come non mai.
Secondo le previsioni del FMI, il Pil georgiano, nel 2022, crescerà del 10%. Il disavanzo pubblico per il 2022 dovrebbe essere di circa il 3% (in forte diminuzione rispetto al 6% nel 2021) e convergerà verso l’obiettivo della regola di bilancio, che richiede un disavanzo inferiore al 3% del Pil nel 2023. Il debito pubblico, che nel 2021 ammontava al 60%, nel 2022 scenderà al 49%. Nel periodo gennaio-agosto 2022 l’export di merci è aumentato del 37% nonostante il calo delle esportazioni verso la Russia. I ricavi del turismo sono aumentati del 156%. Gli Ide sono raddoppiati e ammontano a 923 milioni di dollari, con una crescita del 63% rispetto allo stesso periodo del 2019. La valuta locale, il lari georgiano, si sta costantemente rafforzando e, ad oggi, viene scambiato a circa 2,7 per dollaro rispetto a 3,1 prima della guerra.
Come si spiega questo miracolo economico?
Un ruolo importante è sicuramente svolto dall’arrivo nel paese di un gran numero di emigrati russi in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Non ci sono cifre ufficiali sul numero totale di coloro che sono venuti dalla Russia negli ultimi mesi ma, secondo i funzionari del governo georgiano, sono intorno ai 100.000, ovvero quasi il 3% della popolazione del paese. Anche se è difficile distinguere le cifre relative ai migranti da quelle relative ai turisti poiché le politiche di immigrazione della Georgia consentono ai cittadini russi di trascorrere un anno nel paese senza visto, quel che è certo è che gli effetti economici si sentono positivamente. Secondo la Banca Nazionale della Georgia, i cittadini russi e bielorussi che sono arrivati a causa della guerra contribuiranno con altri 500 milioni di dollari all’economia georgiana di quest’anno, circa il 15% di tutte le entrate connesse alla migrazione e al turismo. Più di 45.000 cittadini russi hanno aperto nuovi conti nelle banche della Georgia, mentre i depositi di cittadini russi sono quasi triplicati rispetto a prima della guerra, aumentando di circa 445 milioni di dollari (dati dell’Institute for Development of Freedom of Information). Inoltre, da marzo a settembre sono state registrate in Georgia 9.500 nuove società russe, dieci volte di più che in tutto il 2021.
Ma il fattore che certamente influisce più di ogni altro è la sua posizione strategica: lo sbocco sul Mar Nero e il passaggio della Via della Seta all’interno del suo territorio hanno da sempre favorito la Georgia nel commercio con diversi paesi. La guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali che prevedono il divieto di transito di merci via terra attraverso il territorio russo hanno ulteriormente accresciuto il ruolo della Georgia come Paese di transito chiave per il trasporto tra l’Europa e l’Asia. Nel periodo gennaio-agosto 2022, il traffico merci internazionale in Georgia è infatti cresciuto del 19%, attestandosi a 18 milioni di tonnellate.
La posizione strategica della Georgia le consente di giocare un ruolo geopolitico di vitale importanza anche in relazione alla politica di diversificazione energetica che L’Unione Europea sta cercando di mettere in atto per rendersi indipendente da Mosca. L’esito dell’accordo recentemente firmato tra Bruxelles e l’Azerbaijan sul raddoppio delle forniture di gas all’UE attraverso i gasdotti Trans-Anatolian Natural (TANAP) e Trans Adriatic (TAP), dipende infatti dal riorientamento dei corridoi di trasporto ed energetici dalla Russia verso il territorio georgiano. Senza sfruttare appieno il potenziale di transito della Georgia, l’accesso dell’Europa ai prodotti e alle risorse naturali dell’Asia centrale sarebbe notevolmente ridotto.
Per sfruttare al meglio questa opportunità, il governo georgiano sta facendo di tutto per cercare di attivare ulteriormente la Trans-Caspian International Transport Route (TITR, o “Corridoio centrale”) , ma nella realtà dei fatti l’esecutivo di Tbilisi deve fare i conti con un vicino ingombrante, la Russia di Vladimir Putin, che difficilmente lascerà alla Georgia le mani libere per realizzare questi piani.
Per comprendere le dinamiche in atto nella regione bisogna fare però un salto nel passato…
La Georgia è un Paese relativamente giovane, essendo divenuto indipendente nel 1991, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Durante gli anni ’90, questa piccola repubblica del Caucaso meridionale era sulla via del tracollo, come molti dei suoi vicini ex-sovietici. La guerra e la corruzione continuavano ad ostacolare gli sforzi della classe dirigente per avviare un’economia di mercato funzionante.
Per sua fortuna, nel 2003, la cosiddetta “Rivoluzione delle Rose” consegnò le redini del potere ad una nuova classe politica più orientata al mercato che intraprese una serie di riforme progressiste, inclusi sforzi anticorruzione, riforme dei codici del lavoro e fiscali, miglioramenti alle infrastrutture essenziali, creazione di un ambiente business friendly (basti pensare che ci vogliono solo due giorni per registrare una nuova attività, il cui costo si aggira intorno ai 40 dollari). La combinazione di regolamenti semplificati, burocrazia minima, regime fiscale uniforme e conveniente e manodopera poco costosa, fanno sì che la Georgia sia un posto attraente per gli investitori, in particolare per chi investe nel settore dei servizi.
Complice questo clima riformista, la popolazione di questa nazione si è fortemente schierata su posizioni filoeuropee e filo-atlantiche, ma negli ultimi dieci anni il clima politico è nuovamente mutato. La sconfitta del governo Saakashvili alle elezioni del 2011 ha portato al potere Sogno Georgiano, un partito guidato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili che, nel corso degli anni, ha spostato il suo orientamento politico verso Mosca. Tbilisi ha faticato a condannare l’annessione della Crimea nel 2014, ha impedito ai volontari georgiani di prendere parte al conflitto nel Donbas, ha favorito la scarcerazione di alcuni funzionari filorussi e ha dato libero accesso, senza visto, ai cittadini russi intenzionati a visitare la Georgia. L’opposizione politica è stata oggetto di persecuzioni e le riforme interne, con grande dispiacere di Bruxelles, sono entrate in una fase di stallo problematico.
Ivanishvili è l’oligarca più potente della Georgia e il partito da lui fondato governa il Paese da dieci anni. L’oligarca, che ha abbandonato ogni incarico pubblico e istituzionale, è considerato l’eminenza grigia del potere in Georgia e, secondo gli analisti dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, sarebbe in grado di nominare e revocare premier, ministri oltre che guidare il corso della politica estera del Paese. Il governo georgiano, per esempio, ha deciso di non imporre sanzioni alla Russia e, negli ultimi mesi, ha rilasciato dichiarazioni che lo pongono in conflitto con Kiev e con i partner occidentali. Lo stesso Ivanishvili avrebbe importanti interessi economici nella Federazione Russa.
La Russia, dal canto suo, considera la Georgia come parte integrante della sua sfera di influenza, tanto più che ne occupa circa il 22% del territorio in seguito alla guerra lampo scoppiata nel 2008 e conclusasi con la vittoria del Cremlino. In quell’occasione, che per alcuni versi ricorda le vicende dell’Ucraina, le truppe russe invasero la Georgia e occuparono due regioni separatiste russofone, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud.
Se quindi, da quando ha riconquistato l’indipendenza, la Georgia ha commercializzato con successo il suo valore strategico come partner di transito indispensabile nella regione, è vero anche che il suo potenziale di transito rimane vulnerabile a causa dell’instabilità politica, delle sfide economiche e delle minacce militari. I sogni di Tbilisi potrebbero dunque infrangersi sul muro della realpolitik, perché del territorio occupato dalla Russia fa parte anche una sezione di oltre 600 metri dell’oleodotto strategico Baku-Supsa, ed esiste il pericolo concreto che la maggior parte dell’oleodotto venga a trovarsi nella zona di occupazione se la Russia dovesse continuare a spostare il “confine” con l’Ossezia del Sud separatista più in profondità nel territorio georgiano.
Emanciparsi dalla Russia non è affatto facile per la piccola Georgia, che di fatto vive un rapporto di amore-odio con Mosca, ma l’esito della guerra in Ucraina potrebbe scrivere una nuova pagina della storia di Tbilisi.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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