Il mercato degli spirits (o distillati) rappresenta per gli States un settore fiorente e in continua crescita, con un 2021 che ha segnato il 12 anno di crescita consecutivo con vendite che hanno raggiunto i 35.8 miliardi di dollari. Negli ultimi anni, infatti, i distillati sono arrivati a rappresentare più di un terzo del totale delle vendite di bevande alcoliche negli Stati Uniti e il tasso di crescita annuo stimato per il periodo 2022-2025 è tra l’8% e il 10%.
Come per tutti gli ambiti, la pandemia di Covid-19 ha influenzato anche questo settore, ma in maniera singolare rispetto ad altri. Infatti, pur soffrendo delle ovvie influenze negative dello sconvolgimento delle filiere di approvvigionamento, il settore degli spirits ha visto un incremento nei consumi “off-premise”, ovvero gli acquisti da negozi di alcolici e rivenditori – in pratica tutto quello che non è ristorante o bar. Questo, oltre a compensare un po’ per il mancato business di ristoranti e locali, ha dato un impulso per lo sviluppo di strategie omnicanale in questo settore che, se confrontato con il settore food, era sempre rimasto a delle forme distributive piuttosto tradizionali. Ora si sono sviluppate diverse piattaforme online che sono, senza dubbio, destinate a moltiplicarsi.
Questo settore resta un segmento decisamente interessante per chi voglia investire o inserirsi nell’ambito del beverage negli Stati Uniti, ma, come vedremo più avanti, pone anche delle sfide importanti.
In questo articolo intervistiamo il Dottor Marco Todoerti, che dal 2017 negli USA riveste il ruolo di COO (Chief Operating Officer) per Distillerie Bonollo Umberto (Padova), un colosso nel settore dei distillati italiani, soprattutto grazie ai loro prodotti (specialmente grappe e amari) e all’innovazione del loro metodo di distillazione e dei loro impianti produttivi.
Il Dottor Todoerti, nato e cresciuto nella provincia di Venezia si è laureato presso l’Università Ca’ Foscari in Commercio Estero. Grazie al business di famiglia ha sempre avuto un forte interesse per il mondo wine&spirit, passione che ha sempre continuato a coltivare. Ed è proprio questo interesse, combinato ai suoi studi, che lo porta a lasciare l’Italia nel 2011 e ad approdare negli Stati Uniti, a Miami, dove entra a far parte del Team Marketing di Zonin, azienda nella quale resterà per 3 anni. Dopo un’esperienza nello sviluppo di due start-up nel settore dell’hospitality, nel 2017 assume l’incarico di COO per Distillerie Bonollo Umberto, che ricopre tutt’ora.
Da quanti anni opera sul mercato Americano? Com’è entrato nel mondo degli spirits?
Opero sul mercato americano dal 2011. Inizialmente con Zonin, nel loro Team Marketing, in cui ho lavorato dapprima allo sviluppo del brand per poi occuparmi del PAD (Prestige Account Division), un progetto molto interessante che stabiliva un ponte tra le attività di marketing e quelle commerciali al fine di rendere efficaci commercialmente gli sforzi di marketing e comunicazione. Nel 2014 ho lasciato Zonin e per circa due anni mi sono dedicato allo sviluppo di due start-up, una nel settore della ristorazione e una nel settore delle forniture per ristoranti e bar. Grazie a queste attività ho potuto sedermi dall’altra parte del tavolo e avere una prospettiva opposta rispetto a quella che avevo in Zonin, capendo e conoscendo le dinamiche e criticità di questo settore dal punto di vista di chi acquista. Questa esperienza si è rivelata essere fondamentale per me oggi nello sviluppo delle strategie di mercato per Distillerie Bonollo Umberto. La mia effettiva entrata nel mondo degli spirits è avvenuta quindi con Distillerie Bonollo, per il quale ho in mano la gestione nazionale del brand a tutto tondo: dalle strategie di marketing, a quelle commerciali fino alla macro-gestione amministrativa. Sono entrato in contatto con l’azienda tramite il network che mi ero creato negli anni della mia permanenza a Miami, e sicuramente anche grazie alle mie esperienze precedenti, specialmente grazie al mio ruolo in un colosso industriale nel settore vino come Zonin, di cui Distillerie Bonollo è la controparte nel settore spirits.
Come descriverebbe il mercato a stelle e strisce? C’è ancora spazio per lo spirits Italiano?
Il mercato americano in questo settore sta subendo un forte cambiamento.
La distribuzione, per esempio, sta cambiando radicalmente perché i distributori danno sempre più attenzione a quei brand che sono rappresentati da grandi fornitori e che hanno grossi budget. Questo perché tali aziende possono solitamente partecipare economicamente alla co-costruzione del mercato. Il risultato però è un sempre minor interesse per i brand emergenti se non sono supportati da strutture di appoggio con idee e strategie forti e chiare.
C’è inoltre una forte saturazione di mercato, la competitività cresce e ogni brand di scontra con categorie di appartenenza sempre più strutturate e impenetrabili. Spiccare rispetto ad un concorrente agli occhi di un buyer significa operare grossi investimenti in termini di personale che possa avere una presenza costante e di contatto con i player del settore e di educazione del mercato.
Ci sarà sempre spazio per lo spirits italiano, ma i brand devono considerare che è di vitale importanza per loro avere una programmazione e una strategia chiara per poter investire in maniera intelligente in un mercato dispendioso come quello americano. Dalla struttura prezzi alle negoziazioni commerciali, la conoscenza del mercato e delle sue regole (scritte e non scritte) è critica per la creazione e lo sviluppo economicamente sostenibile di un marchio ed un prodotto di successo.
Quali sono i passi da compiere per non sbagliare?
Il primo passo, e cosa da tenere sempre in mente, anche se fa strano dirlo, è quello di conservare una certa umiltà. È normale stravedere per il proprio prodotto o per il proprio progetto e pensarlo come il migliore su piazza. Tuttavia, quando ci si affaccia ad un mercato come quello USA, la competizione è tanta cosi come le idee e l’innovazione, e affrontarlo con eccessiva sicurezza o arroganza può giocare quasi sicuramente contro. Rimettersi in gioco in questo mercato è essenziale, abbandonando le certezze che possono venire dal proprio mercato di origine perché ogni mercato ha le sue regole.
Un altro elemento su cui puntare è la narrativa. Tutti hanno una loro storia, ma capita spesso di ritrovare la stessa trama, modificata un po’ qua e la. Una narrativa originale ma autentica è sicuramente un elemento importante per il successo di un brand.
Infine, come ho già accennato, è di vitale importanza fare una programmazione chiara e precisa, scegliendo i partner giusti, così come preventivare un budget importante perché il mercato USA può regalare grandi soddisfazioni ma è anche incredibilmente dispendioso in termini economici e di tempo.
Quali sono i trend del mercato e su cosa le aziende Italiane dovrebbero puntare?
Alcuni dei trend più in voga al momento sono:
- Il low abv quindi i prodotti il cui grado alcolico è più basso rispetto a quello dei classici distillati, il che rende più facile per questa categoria incontrare un pubblico più ampio, anche di non esperti o dei non-amanti dei superalcolici;
- I distillati non alcolici, facendo eco ad una domanda crescente di persone che per scelta o per necessità non possono assumere alcolici ma non vogliono rinunciare al piacere di un cocktail;
- Gli aperitivi (bitter, aperitif, etc) e gli amari.
Quest’ultimo trend è di forte interesse per i produttori ed i brand italiani che da sempre hanno questo tipo di prodotti nella loro storia e nella loro cultura.
Altri elementi su cui gli spirits italiani dovrebbero puntare sono senza dubbio le botaniche locali: scegliere ingredienti non solo italiani ma addirittura regionali, che si integrino in una narrativa di località e autenticità. Riguardo alla scelta degli ingredienti è sempre più vitale puntare su ingredienti e botaniche sostenibili anche a livello ambientale, un elemento ormai importante sia a livello di credibilità del prodotto che di comunicazione.
Ha un ultimo consiglio per i brand Italiani che vogliono approcciarsi a questo settore in USA?
Le opportunità che offre il mercato americano sono sempre ed ancora enormi, con numeri che sono difficilmente replicabili in altri mercati. L’America fa sempre gola ma può rivelarsi facilmente un’arma a doppio taglio. I nuovi marchi, accecati dallo scintillio delle promesse del mercato USA infatti potrebbero incorrere nel rischio di essere frettolosi, facendo una programmazione troppo approssimativa e scegliendo dei partner non adatti a loro a causa di una scarsa ricerca. Il mio consiglio è quello di non ricercare da subito l’attenzione dei grandi importatori e distributori, ma di partire piano, con una pianificazione sostenibile e impegnandosi per riuscire a dimostrare la validità del proprio prodotto nel settore e la sua trazione sul mercato. La crescita, anche esponenziale, può avvenire in ogni momento ma perché sia sostenibile ha bisogno di fondamenta solide.
Fonte: a cura di Exportiamo, Dott.ssa Marianna Niero, m.niero@ibsna.us
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