Domenica scorsa si sono svolte in Germania le elezioni parlamentari che consegneranno al Paese il nome del nuovo Cancelliere. Sono molte e complesse le sfide che dovrà affrontare, ma probabilmente la più impegnativa sarà raccogliere la pesante eredità lasciata da Angela Merkel.
Si è definitivamente conclusa un’era, quella che per la Germania, l’Europa ed il mondo intero porta l’ingombrante nome di Angela Merkel. Quando nel 2000 venne eletta alla guida della CDU nessuno avrebbe scommesso su di lei. Nel 2005 il congresso la scelse come candidata alla Cancelleria contro il socialdemocratico Gerhard Schroder ed in molti la considerarono una missione suicida. Angela Merkel vinse quelle elezioni di stretto margine. Schroeder provò a sostenere che lui avrebbe dovuto guidare la Grande Coalizione, una donna non ne sarebbe stata capace. La storia lo ha smentito: dopo 16 anni al vertice del potere, Angela Merkel è stata la più longeva Cancelliera dopo Otto von Bismarck ed Helmut Kohl, e la protagonista indiscussa della scena politica europea e mondiale dell’ultimo ventennio.
Convinta sostenitrice dell’Unione Europea, Angela Merkel ha saputo fare da “collante” tra le diverse anime che la compongono, mediando, negoziando e indicando la strada per il rinnovamento a un progetto che mai come negli ultimi tempi aveva mostrato crepe e divisioni. Nei mesi più difficili della pandemia ha avuto il coraggio di superare il tabù del debito comune spianando la strada per il Recovery Fund e negli anni burrascosi di Brexit ha insistito nel negoziato con Londra anche quando sembrava che ogni possibilità di raggiungere un accordo fosse perduta.
Grazie ad Angela Merkel, la Germania si è rapidamente trasformata da “malato” a “locomotiva” d’Europa. Con lei, il Paese ha superato tre gravissime crisi economiche: quella finanziaria del 2008, quella dell’Euro e quella innescata dalla pandemia. Le rigide regole fiscali, infatti, hanno garantito alla Germania conti pubblici sostenibili e la possibilità di affrontare la pandemia con una “potenza di fuoco” economica che altri Stati membri non avevano a disposizione. La Germania, tra il 2005 e il 2020 è stata tra i grandi Paesi europei quello che è cresciuto di più: il reddito reale pro capite dei tedeschi è aumentato del 18% sotto i quattro governi Merkel, perfino più degli Stati Uniti. Il boom economico della Germania è guidato senza dubbio da un elemento fondamentale: l’export. Con Angela Merkel, la Germania si è affermata come il terzo esportatore più grande al mondo, ed è leader internazionale nei ricchi mercati delle automobili, della componentistica di veicoli e dei medicinali confezionati, confermando il ruolo del Made in Germany come sinonimo di qualità e affidabilità in tutto il mondo.
Non stupisce, quindi, che Angela Merkel sia una delle leader più amate di sempre in Germania. Le sue posizioni centriste e moderate le hanno garantito l’appoggio di una gran parte dei cittadini tedeschi, anche quelli che non si riconoscevano nei valori della CDU/CSU. Secondo una stima, circa un elettore su tre che ha votato per i cristiano-democratici nel 2017 lo ha fatto per sostenere Merkel più che il partito alle sue spalle.
Ma la leadership di Merkel non è apprezzata solo all’interno dei confini della Germania. È una tra la leader più popolari al mondo: secondo un recente sondaggio del Pew Research Centre, gode infatti dell’80% della fiducia degli intervistati a livello mondiale e Forbes l’ha eletta come donna più potente del mondo nel 2020.
Questo lascia facilmente intuire che non sarà facile sostituirla, anche se la sua lunga carriera è costellata sì da tanti successi, ma accanto alle luci sono molte anche le ombre e i nodi rimasti irrisolti.
Per esempio, la liberalizzazione dei lavoretti, i cosiddetti minijob, del 2003, che ha permesso la creazione di milioni di posti di lavoro ha fatto anche esplodere l’occupazione a basso salario e part-time, più frequente in Germania che nel resto dell’UE. Inoltre, la povertà non è diminuita negli ultimi 16 anni, nonostante l’aumento medio del reddito. E la ritrosia nei confronti della spesa e degli investimenti pubblici (il Paese per 6 anni ha perfino chiuso il bilancio in positivo) ha comportato un invecchiamento delle infrastrutture. Molti economisti, addirittura, considerano l’eccesso di risparmio tedesco una delle cause della crisi del debito sovrano nell’eurozona. Inoltre, Merkel lascia in eredità un Paese che, non avendo investito a sufficienza nella transizione digitale e in quella ecologica, figura tra i meno digitalizzati d’Europa (la Germania è agli ultimi posti per la diffusione di connessioni Internet in fibra ottica, costo di giga mobili e copertura digitale del territorio) e manca di infrastrutture resistenti ai disastri ambientali, come dimostrato dall’alluvione del luglio 2021.
In molti, inoltre, le rimproverano di essere stata, in molte occasioni, soprattutto sulla scena europea ed internazionale, eccessivamente cauta e temporeggiatrice.
Eppure, nonostante tutto, non sarà per niente facile rimpiazzare Angela Merkel. E non solo perché nessuno dei candidati alla Cancelleria gode della sua popolarità, ma anche perché lo scenario restituito dalle elezioni di domenica scorsa, 26 settembre, è più che mai frammentato.
Visto il sistema elettorale tedesco, è da sempre molto difficile che una forza politica possa ottenere da sola una maggioranza assoluta al Bundestag. Appare così scontato il ricorso a una coalizione di governo, con il Cancelliere che di norma è il candidato designato del partito, facente parte della maggioranza, che ha ricevuto più voti.
Quindi, anche se il partito socialdemocratico (SDP) ha ricevuto più voti degli altri, circa il 25,8%, e avrà la maggioranza relativa dei parlamentari, come non succedeva dal 2002, per il leader Olaf Scholz non sarà semplice dare vita a una maggioranza di governo.
Sonora sconfitta invece per la CDU-CSU, il partito di centrodestra di Angela Merkel, che ha ottenuto il 24,1% e per la prima volta da quasi vent’anni non esprimerà la maggioranza relativa dei parlamentari (e potrebbe rimanere al di fuori del prossimo governo). Crollata di quasi 9 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2017, la CDU-CSU ha incassato il peggior risultato di sempre. Mentre la popolarità di Merkel ha mantenuto unito il fronte cristiano-democratico, l’uscita di scena della Cancelliera ha rafforzato la spaccatura interna al partito. Dopo una serrata sfida interna, nonostante la minor popolarità rispetto al bavarese Markus Söder alla fine l’alleanza CDU-CSU ha indicato come proprio candidato Armin Laschet, che ha così raccolto l’ingombrante testimone da Angela Merkel, dimostrando però di non esserne all’altezza. Senza un’erede in grado di tenere unite le diverse anime della CDU, l’emorragia di voti verso altri partiti (come l’SPD di Olaf Scholz) è stata inevitabile.
I Verdi, col 14,8%, hanno quasi raddoppiato i voti rispetto alle ultime elezioni del 2017, ma sono andati decisamente peggio rispetto alle aspettative di inizio campagna elettorale.
Nei prossimi giorni inizieranno le trattative per cercare di formare una maggioranza di governo, che possono durare molti mesi: nel frattempo Merkel rimarrà in carica per gli affari correnti. Quasi sicuramente la significativa frammentazione del voto complicherà le trattative per formare un governo.
Negli ultimi mandati aveva prevalso la formula già rodata della Große Koalition centrista fra il tandem CDU-CSU e i socialdemocratici, a sostegno di un governo dove lo stesso Scholz ricopriva l’incarico di vice-Cancelliere e ministro delle Finanze. Un’ipotesi di questo tipo sembra la meno probabile.
Sul piatto sembrano invece esserci soprattutto due ipotesi di coalizione, ventilate già alla vigilia del voto. La prima, a favore di Scholz, è la cosiddetta coalizione “semaforo”, soprannominata così per la combinazione fra il rosso dei Socialdemocratici (forti del 25,8% dei consensi), il Verde dei Grünen (14,8%) e il giallo del Freie Demokratische Partei, il partito liberal democratico (11,5%).
La seconda, a sostegno di Laschet, sarebbe la coalizione “Giamaica” fra la CDU-CSU, reduce dal 24,1% dei consensi, e ancora Verdi e Liberali. Scholz parte avvantaggiato dal risultato delle urne e ha già rivendicato il ruolo, ma Laschet è disposto a mettersi in gioco e tentare la via di un’intesa.
L’ago della bilancia diventano i Verdi e, soprattutto, i Liberali. I Die Grünen hanno dovuto ridimensionare le proprie aspettative, dopo che i sondaggi di qualche mese fa erano arrivati a proiettarli fino a picchi di oltre il 25%, ma ottengono comunque quasi il 15% dei consensi e possono decidere la sorte di una coalizione. Anche i liberali si fermano sotto le attese, sia pure in maniera meno drastica, ma centrano un bottino di voti (11,5%) che garantisce una forza negoziale inedita.
A ciò bisogna aggiungere che nell’Unione Europea sta per aprirsi una stagione di riflessioni profonde e la posizione di Berlino sarà determinante per deciderne l’orientamento: si va dalla revisione del Patto di stabilità, il dossier più scottante e delicato, alle politiche ambientali e la transizione energetica, il rapporto con gli Stati Uniti, le relazioni con Cina e Russia solo per citarne alcune. Senza dimenticare questioni interne che finiranno inevitabilmente con l’influenzare anche il resto del continente: la politica fiscale, il salario minimo, la sicurezza.
Le sfide che attendono il prossimo Cancelliere tedesco, chiunque esso sarà, sono dunque molte e complesse, ed in uno scenario di profonda incertezza l’unico punto fermo è che sostituire Frau Angela Merkel sarà forse il più arduo dei compiti.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA