Nonostante sia bollata da diversi osservatori come “l’ultima dittatura d’Europa”, la Bielorussia –dal 1994 ad oggi – è riuscita a migliorare radicalmente le proprie condizioni economiche, diventando oggetto di “contesa” fra Mosca e Bruxelles ed attraendo anche l’interesse di Pechino. Le buone prospettive di crescita dell’ex Paese sovietico (+2% annuo fra il 2019-2023 ), unite ad una posizione geografica privilegiata, hanno inoltre catturato l’attenzione delle PMI italiane che non intendono lasciarsi scappare le opportunità offerte dal mercato bielorusso.
Solidità e sicurezza. E’ all’insegna di queste due parole chiave che, il controverso Presidente bielorusso, Aleksandr Lukašenko ha improntato la propria azione politica da quando, all’indomani dell’indipendenza ottenuta dall’ex Unione Sovietica, la Bielorussia si trovò costretta a camminare con le proprie gambe. La solidità bielorussa di oggi è immediatamente riscontrabile scorrendo alcuni indicatori economici di cui Lukašenko può andar fiero, soprattutto se paragonati a quelli di altre ex repubbliche sovietiche, come Moldavia ed Ucraina, che versano in gravi difficoltà.
La Bielorussia, infatti, ha deciso di impostare le proprie politiche di sviluppo adottando un modello socialista e rifiutando le ricette neoliberiste scelte in altri Paesi, a tal punto da esser definita dall’Economist “la Cuba d’Europa” poiché il governo nazionale continua a controllare circa l’80% delle attività economiche. I risultati, in termini puramente economici, sono lusinghieri con un Pil pro capite, a parità di potere d’acquisto, arrivato a toccare i 18.900 dollari, un tasso di disoccupazione praticamente inesistente (0,8%), una percentuale di cittadini costretti a vivere sotto la soglia di povertà molto modesta (poco più del 5%) ed un debito pubblico leggermente superiore il 50 percento del Pil (dati CIA 2017).
Inoltre dall’indipendenza ad oggi, nonostante la crisi economica globale iniziata nel 2008 non abbia risparmiato Minsk, l’economia bielorussa è mediamente cresciuta del 5% e, per 4 anni, il Pil ha sprintato superando addirittura il 10%.
Gli ottimi dati dell’economia però sono accompagnati da un contesto politico tutt’altro che democratico ed in cui fare opposizione politica può costar carissimo: nel corso degli anni sono stati chiusi numerosi giornali, gli omosessuali hanno subito persecuzioni ed alcuni prigionieri politici sono stati incarcerati e, talvolta, condannati a morte. La Bielorussia rimane infatti l’unico Paese del Vecchio Continente in cui vige ancora la pena di morte ed è considerata da osservatori ed esperti internazionali una “dittatura post-sovietica”.
Il legame fra Minsk e Mosca è ancora fortissimo, soprattutto se si considera che circa il 60% del Pil bielorusso è generato dalle vendite estere e che la Russia assorbe oggi oltre il 40% dell’export annuo di Made in Belarus. In grande crescita sono anche le relazioni con Bruxelles, a cui piacerebbe innescare un cambiamento nel Paese dell’Est sostituendo Lukašenko con un governo democratico e, possibilmente, filo-europeista che possa lentamente affrancarsi da Mosca iniziando, nel contempo, ad abbattere la propria quota di debito estero, pari a circa 40 miliardi di euro. L’Ue ed il Fmi sarebbero infatti molto ben disposti a concedere al Paese maggiore supporto finanziario (di cui Minsk si è resa conto di aver bisogno soprattutto quando Mosca è entrata in recessione, tra il 2013 ed il 2016) in cambio dell’adozione concreta di riforme strutturali che possano costituire la base sulla quale costruire la Bielorussia del futuro.
Che i risultati economici dei prossimi anni saranno fondamentali per la Bielorussia che verrà ne è pienamente consapevole anche Lukašenko che ha recentemente dichiarato come eventuali “risultati economici insoddisfacenti possono portare alla perdita dell’indipendenza del Paese” e che, per questo, “l’unica ragione per non raggiungere gli obiettivi fissati, è la morte”.
Frasi durissime che lasciano trapelare la forte preoccupazione del “padre-padrone” di perdere il controllo politico del Paese e la volontà di risvegliare l’orgoglio nazionale agitando lo spauracchio di un’interferenza straniera (pur senza specificare a quale stato si riferisse): “Se falliremo dovremo entrare nella compagine di qualche altro stato, oppure si puliranno le scarpe con il nostro Paese. Peggio ancora: dio non voglia, scateneranno una guerra, come in Ucraina”.
Rapporti con l’estero
La Bielorussia, per tutte le ragioni sopra-elencate, ha quindi la necessità di diventare sempre più attrattiva nei confronti degli investitori internazionali che, probabilmente, rimarranno restii a puntare con forza sul Paese fino a quando non vi sarà almeno certezza del rispetto dei fondamentali diritti umani. Per questo, il rapporto privilegiato con Putin – salvo colpi di scena – sembra destinato a continuare ancora a lungo. Nel frattempo però lo sforzo di operare una maggiore apertura del Paese nei confronti dell’estero è dimostrato, dall’ampliamento della misura del 2018 che permetteva ai turisti di recarsi in Bielorussia senza visto trattenendosi fino a 5 giorni: dal 2019 i cittadini Ue potranno rimanere nel Paese dell’Est Europa fino a 30 giorni senza avere l’obbligo di munirsi di visto turistico.
Molto interessante anche il progetto di riqualificazione dell’area contaminata dall’incidente di Chernobyl del 1986 che, fino a poco tempo fa, fatta eccezione per il museo, era totalmente inutilizzata. Il governo ha infatti deciso di usarla per dare vita ad un importante progetto di ricerca scientifica, con l’obiettivo di farla diventare – in partnership con la Nato – il più importante polo europeo per lo studio del nucleare. In più, l’area sarà sfruttata anche a fini turistici con il potenziamento del museo esistente, la creazione di una struttura d’accoglienza, l’organizzazione di visite guidate fra i resti dei 98 villaggi evacuati e l’opportunità di dedicarsi persino al bison-watching (l’osservazione degli ultimi bisonti europei).
Rapporti con l’Italia
Per quel che riguarda invece i rapporti fra Roma e Minsk si segnala, nel 2018, la presenza di un interscambio modesto, che vale appena 600 milioni di euro, ben lontano dal picco registrato nel 2014 pari a circa 2 miliardi di euro. Tuttavia, a quanto sembra, le PMI italiane si sono rese conto delle opportunità derivanti dalla creazione delle Free Economic Zone (FEZ) che offrono importanti agevolazioni economiche, logistiche e burocratiche per operare in Bielorussia. Per di più va detto che le imprese tricolori potrebbero fornire una grossa mano al settore industriale bielorusso, che necessita di una seria modernizzazione, attraverso trasferimento di know-how, vendita di impianti e di servizi ad alto valore aggiunto. Anche secondo Sace fra Roma e Minsk potrebbe instaurarsi, nei prossimi anni, una collaborazione sempre più intensa con l’export italiano che dovrebbe crescere entro il 2022 ad un ritmo annuo pari al 5,85%, sostanzialmente in linea con il dato del 2018 (+6,4%) ma decisamente meno rispetto all’exploit del 2017 (+31%). I margini di miglioramento delle nostre performance commerciali verso il mercato bielorusso sembrano evidenti, alle nostre imprese il compito di raggiungere e migliorare le previsioni di crescita attese.
Vuoi approfondire le opportunità che la Russia, la Turchia e i Paesi CSI offrono alla tua impresa? Compila il form su questa pagina ed entra in contatto con uno dei nostri esperti.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA