Il ripristino delle sanzioni statunitensi ha costituito un durissimo colpo per l’economia di Teheran che è entrata in una fase recessiva dagli aspetti inquietanti e per la quale si fatica ad intravedere una via d’uscita. Nonostante tutto però l’export italiano, fino ad oggi, ha “tenuto”. Vediamo perché.
L’otto maggio 2018 sull’economia dell’Iran è calata la notte. Come è noto la decisione unilaterale di Trump di ritirarsi dall’accordo sul nucleare del cosiddetto 5+1 ha già avuto degli effetti devastanti sull’economia di Teheran contribuendo a trascinarla in una spirale recessiva (Pil a -3,9% lo scorso anno – dato FMI) dalle prospettive angoscianti: fra gli osservatori internazionali è infatti opinione quasi unanime che le turbolenze economiche di Teheran aumenteranno la loro intensità nel 2019 con un’ulteriore caduta del Pil nazionale di almeno il 6 percento (dato FMI).
Quello che va specificato è che le sanzioni Usa sono così efficaci poiché non si applicano solo ad aziende e persone statunitensi, ma a tutti coloro che utilizzano dollari per effettuare transazioni. In questo modo tutte le imprese che vogliono continuare ad intrattenere rapporti commerciali con l’Iran non potranno accedere al mercato statunitense o utilizzarne la moneta.
La situazione, comunque, appare grave non solo per quel concerne i “freddi dati macroeconomici” ma soprattutto per gli effetti sulla vita quotidiana dei cittadini iraniani che devono fare i conti un’inflazione che ha toccato picchi del 40 percento nonostante la classe politica iraniana diffonda percentuali sensibilmente più basse.
Il problema principale è il crollo dell’export di greggio (già calato del 35% nel 2018) che adesso, dopo la decisione degli Usa – in vigore dal 2 maggio scorso – di eliminare le esenzioni che aveva concesso agli otto maggiori Paesi importatori di greggio iraniano (fra cui l’Italia) rischia di inaridire ulteriormente l’unica fonte di entrate capace di dare sollievo all’economia del Paese. Trump è infatti convinto che l’Iran sia uno stato sponsor del terrorismo e per questo intende azzerare l’export di petrolio del Paese espandendo la campagna di pressione economica contro l’Iran “per mettere fine all’attività destabilizzante del regime che minaccia gli Stati Uniti, i suoi partner ed alleati, e la sicurezza in Medio Oriente”.
Un muro contro muro durissimo in cui si stanno delineando alcuni schieramenti: Cina ed Turchia, ad esempio, hanno espresso la loro volontà di non rispettare le decisioni a stelle e strisce; Israele, invece, si è affrettato a dare il proprio appoggio al tycoon americano mentre gli alleati europei, pur scontenti, non sembrano voler alzare le barricate contro le decisioni Usa per non rischiare di aprire contenziosi con Washington. Più tiepida è stata invece la reazione indiana che si è limitata a dire che considera la decisione Usa come “non definitiva”.
Dal canto suo Rohani, pur vivendo un momento di difficoltà impressionate non sembra assolutamente voler chinare il capo di fronte alle pressioni americane che, in definitiva, sembrerebbero avere l’obiettivo di portare ad una rinegoziazione dei termini dell’accordo sul nucleare, pur essendo stato certificato il rispetto dei patti da parte di Teheran da un‘autorità indipendente come l’Aiea, l’agenzia dell’Onu che si occupa di promuovere l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare.
Rohani così ha deciso di rispondere a Trump per le rime dichiarando chiaramente di non accettare la diplomazia nelle attuali circostanze “perché la situazione odierna non è adatta al dialogo e la nostra unica scelta è la resistenza” ed annunciando, per giunta, di aver quadruplicato la produzione di uranio a basso arricchimento utilizzato come combustibile per i reattori nucleari senza però, per il momento, superare i limiti sanciti dall’accordo del 5+1.
Il problema è che, se la situazione dovesse proseguire su questa strada, per il presidente della Repubblica Islamica (in carica dall’estate del 2013) sarà complicatissimo continuare a finanziare quei programmi sociali che permettono di sopravvivere ad una gran parte degli 80 milioni di cittadini iraniani e che hanno sempre fornito discrete “dosi” di consenso. In effetti le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà non sono poi così numerose (18,7% - dato CIA) specialmente se si raffronta il dato con quello di economie più in salute ma una gran parte della popolazione vive a ridosso della soglia minima e, quindi, un’eventuale sforbiciata ai programmi assistenziali (che potrebbe rendersi necessaria per far quadrare il bilancio) potrebbe avere conseguenze sociali pesantissime. Inoltre l’Iran è costretto oggi a importare, a causa di alcuni disastri naturali, molti prodotti agroalimentari dall’estero con un moneta che, nell’ultimo anno ha perso oltre l’80% del proprio valore nei confronti del dollaro.
Dunque i tempi della speranza, coincisi con il secondo mandato di Obama, che avevano portato alla rimozione delle sanzioni internazionali sembrano ormai lontani anni luce dall’attuale situazione esplosiva. La crescita del 2016 (+12,5% - dato CIA) e del 2017 (+3,7% - dato CIA) sembravano aver finalmente aperto nuove opportunità di sviluppo per quella che rimane, comunque, la 18esima economia più grande su scala globale. Gli scenari odierni, invece, sono radicalmente cambiati e, ad oggi, solo la mancata rielezione di Trump nel 2020 e l’eventuale cambio di atteggiamento da parte di un eventuale nuovo inquilino della Casa Bianca possono far sperare Teheran di non continuare a sprofondare nelle sabbie mobili di una recessione che potrebbe durare davvero a lungo.
Comunque, nell’attesa che a Washington cambi qualcosa, Rohani non può rimanere con le mani in mano ed anzi è costretto a trovare un modo per frenare l’emorragia di consensi proveniente dal ceto medio, che ha sempre meno fiducia nel Presidente. In primis Rohani dovrà trovare il modo di tenere a bada un’inflazione diventata insostenibile, successivamente dovrà implementare una sostanziale riforma del sistema bancario (molte banche iraniane sono tecnicamente fallite) che sgravi lo stato dall’onere di immettere miliardi di dollari di fondi pubblici per rimborsare i numerosi risparmiatori che, da un giorno all’altro, hanno visto sparire i soldi versati sui propri conti correnti. Infine un’altra azione importantissima sarebbe quella di procedere ad una diversificazione dell’economia con investimenti mirati in settori non petroliferi che possano rendere in futuro il Paese meno vulnerabile rispetto all’andamento del settore Oil&Gas.
Rapporti con l’Italia
Nonostante le condizioni economiche di Teheran siano seriamente a rischio i rapporti fra Italia e Iran continuano ad essere buoni con un interscambio che, seppure in diminuzione da 5,1 a 4,6 miliardi di euro dal 2017 al 2018 (dato ISTAT), sembra reggere l’urto della recessione in atto nel Paese asiatico. Fra i due Paesi infatti ci sono ottimi rapporti consolidatisi nel tempo e l’Italia, non a caso, rappresenta il primo partner economico iraniano nel Vecchio Continente.
Particolarmente apprezzati sono macchinari, componenti, prodotti semilavorati e prodotti chimici Made in Italy seguiti da prodotti metallurgici, apparecchi elettrici, materiali da costruzione, farmaci e prodotti agroalimentari. Nel 2018 l’export italiano in Iran è stato di circa 1,69 miliardi di euro in diminuzione del 2,7% rispetto al 2017 (dato ISTAT), una flessione tutto sommato contenuta se si considera il contesto complessivo.
Il sistema produttivo italiano, inoltre, manifesta da anni un forte interesse nei confronti di un mercato giovane (età media inferiore ai 30 anni), mediamente istruito, dotato di buone infrastrutture e posizionato strategicamente fra Oriente ed Occidente e, per questo, ha spesso dimostrato la propria disponibilità al trasferimento di tecnologie e know-how all’imprenditoria locale. Inevitabilmente però se la situazione di tensione con Washington dovesse persistere o addirittura aggravarsi i flussi di merci Made in Italy verso Teheran potrebbero subire una brusca frenata.
La principale criticità, per le aziende italiane che lavorano con l’Iran o che hanno intenzione di farlo nel prossimo futuro, è proprio quella relativa alle modalità di pagamento da utilizzare. Per approfondire il tema si consiglia di cliccare qui.
Infine per le aziende che desiderano analizzare la loro situazione individuale, che pianificano un accesso sul mercato o che sono già presenti in Iran è possibile rivolgersi all’Iranian Desk di IBS ITALIA scrivendo a m.mahmoodi@ibsitalia.biz oppure chiamando il numero 06-5919749.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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