Corea del Sud, la “tigre stanca” strizza l’occhio al Made in Italy

Corea del Sud, la “tigre stanca” strizza l’occhio al Made in Italy

06 Maggio 2019 Categoria: Focus Paese Paese:  Corea del Sud

La quarta potenza del continente asiatico vive una fase di trasformazione ed attende con trepidazione gli sviluppi della politica di distensione con Pyongyang, indissolubilmente legata alle decisioni di Trump. Nel frattempo sull’economia di Seul, che pure continua a mostrare dei fondamentali invidiabili, si addensa qualche nube.

Con un’economia in crescita ad un ritmo vicino al 3%, un tasso di disoccupazione di poco superiore al 4% ed investimenti diretti esteri in significativa espansione per la Corea del Sud ci dovrebbero essere ben poche ragioni per non dormire sonni tranquilli. Invece, nel Paese asiatico, si intercettano sentimenti contrastanti derivanti da una situazione d’incertezza che potrebbe incidere in misura non trascurabile sul futuro di Seul.

In particolare a tenere col fiato sospeso i coreani c’è la delicata questione della riappacificazione con la Corea del Nord: un tema molto divisivo e sul quale, negli ultimi mesi, si sono registrati numerosi stop and go. In effetti proprio ora che è finalmente iniziata la graduale opera di smilitarizzazione del confine fra le due Coree (dopo 66 anni!), primo passo verso la firma di un accordo di pace, si è registrata una frenata nella trattative fra Washington e Pyongyang che sembravano ben avviate.

Donald Trump infatti, dopo aver compiuto passi da gigante verso una normalizzazione dei rapporti con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, sembra aver alzato un po’ troppo la posta chiedendo l’eliminazione simultanea di rete missilistica, nucleare e delle strutture di Pyongyang per la guerra chimica in cambio del solo blocco delle sanzioni economiche statunitensi. Richieste inaccettabili per Kim che certamente non aiutano la distensione nella Penisola coreana: finché infatti gli States non decideranno di allentare le sanzioni sarà molto complicato per Seul riprendere relazioni normali con l’altra Corea.

Ad essere scettici nei confronti di un’eventuale riunificazione delle due Coree comunque non sono solamente osservatori internazionali ma anche parte dei cittadini sudcoreani preoccupati delle conseguenze economiche di un’apertura delle frontiere e del ritorno a casa dei circa 600.000 militari americani che proteggono Seul da eventuali invasioni da parte di Pyongyang. Una eventualità fortemente caldeggiata da Pechino che sarebbe assai lieta di vedere le forze armate a stelle e strisce abbandonare la Penisola coreana dal momento che il “colosso dai piedi d’argilla” mantiene notevoli interessi economici in Corea. Oggi infatti la Cina rappresenta il principale partner commerciale della Corea del Sud, davanti proprio agli Stati Uniti e, per queste ragioni, secondo il ministro delle Finanze sudcoreano Kim Dong-yeon “la situazione economica può peggiorare se l’ansia nel commercio globale e mercati finanziari si diffondono a causa del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina e se il sentimento del mercato e delle imprese non migliora”. Proprio a causa della disputa fra Washington e Pechino, la Corea del Sud ha già subito pesanti ripercussioni in termini di export, con un calo significativo delle vendite estere che rappresentano una voce importantissima del Pil nazionale (poco meno del 30% del totale).

Inoltre le politiche economiche messe in campo dal 65enne Moon Jae-in, capo dello Stato (in un sistema semi-presidenziale) da maggio 2017 non sembrano – per il momento – aver sortito gli effetti sperati. Grandissime polemiche, nello specifico, si sono sollevate dinanzi al corposo aumento del salario minimo fortemente voluto dal presidente della repubblica (+17% nel 2018), che ha messo sul piede di guerra migliaia di commercianti ed imprenditori. Le ferventi proteste sembrano aver così congelato l’ulteriore aumento dell’11% previsto per il 2019 dal momento che l’incremento del salario minimo dello scorso anno pare aver contribuito ad un incremento della disoccupazione (+0,5% in soli dodici mesi) e ad un rallentamento della crescita del Pil nel 2018, inizialmente prevista intorno al 3%, che invece si è fermata al +2,7%.

In parole povere un ulteriore aumento del salario minimo potrebbe gravare sulla crescita economica sudcoreana che già deve fare i conti con l’incombente minaccia dei prodotti Made in China, sempre più competitivi. Inoltre, il gigante asiatico intende diventare leader mondiale in campo tecnologico entro il 2025 e per Seul sarà molto complicato opporsi a tale processo affidandosi semplicemente ai chaebol, grandi conglomerati industriali gestiti a livello familiare assai diffusi, che pensano più al loro tornaconto economico che a migliorare la competitività del Paese. Per questo una mossa importante potrebbe rivelarsi quella di introdurre una serie di misure a favore di start-up e aziende di medie dimensioni che possano fornire il loro valore aggiunto d’innovazione al tessuto imprenditoriale locale.

Un ulteriore tema molto delicato riguarda la socialità dei cittadini sudcoreani, spesso sacrificata in ragione di orari di lavoro incredibilmente stressanti. Seul ha storicamente sofferto la propria condizione di “gambero fra le due balene”, vivendo male il fatto di essere schiacciata fra le due potenze continentali: Cina e Giappone (che li dominò fra il 1910 ed il 1945).

Così dopo la fine della seconda guerra mondiale i cittadini coreani si trovarono ad affrontare una devastante guerra civile e decisero di rimboccarsi le maniche e lavorare sodo in cerca del riscatto. Un riscatto che effettivamente si è poi concretizzato se si pensa che oggi la Corea del Sud è la 11esima potenza su scala globale. Tuttavia fra la popolazione si è radicata una quasi morbosa etica del lavoro (in molti arrivano a lavorare fra le 14 e le 16 ore al giorno) e, di conseguenza, una sensibile incapacità nel godere in modo sano del proprio tempo libero. A tal proposito Moon Jae-In ha deciso di lanciare una campagna di diritto al riposo sforbiciando le ore lavorative settimanali da 68 a 52 e dando ordine di spegnere tutti i computer al massimo alle ore 19.

Rapporti con l’Italia

I rapporti commerciali fra Roma e Seul sono ottimi e si sono progressivamente consolidati nel corso degli ultimi anni raggiungendo, nel 2018, un valore di 9,6 miliardi di euro. In più, lo scorso anno, l’export italiano in Corea del Sud ha registrato un notevole incremento, crescendo del 10,7% ed attestandosi così a 4,57 miliardi di euro. Fra i prodotti che hanno realizzato gli incrementi maggiormente significativi spiccano componentistica aeronautica (+77%), prodotti in ferro e acciaio (+46%), cuoio (+23%), prodotti chimici organici (+23%) e calzature (+21%).

Tuttavia la principale voce dell’export italiano in Corea rimane quella della meccanica strumentale (circa il 25% del totale) con i nostri macchinari che però continuano ad essere percepiti qualitativamente inferiori rispetto a quelli Made in Japan. Grande apprezzamento anche per il nostro settore moda con l’Italia che si posiziona al 1° posto tra i principali Paesi fornitori di pelletteria della Corea.

Il Made in Italy quindi è molto apprezzato dagli stanchi consumatori sudcoreani che, anche in ragione di un potere d’acquisto tutt’altro che modesto (40mila dollari annui) continueranno ad acquistare prodotti del Belpaese anche nel prossimo futuro come confermato da Sace che prevede un incremento dell’export italiano verso Seul di circa il 6 percento annuo da qui al 2021.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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