Il Paese africano, dopo il ventennio targato Abdulaziz Bouteflika, sembra finalmente obbligato ad intraprendere una nuova strada. Tuttavia le premesse lasciano pensare che non sarà facile che si realizzi quel cambiamento auspicato da una larga parte dei cittadini algerini.
Quando nel 1962 l’Algeria dichiarò la propria indipendenza dalla Francia c’erano tutti i presupposti perché l’affrancamento dal colonizzatore transalpino si tramutasse in un’occasione per sviluppare autonomamente la propria economia ed il proprio benessere. In effetti il Paese partiva da una solida base infrastrutturale (comprendente strade, ferrovie, rete telefonica e telegrafica, ospedali, università e vasti quartieri residenziali) già presente sul territorio algerino e che avrebbe potuto costituire il volano per una crescita economica solida ed equilibrata. Tuttavia, all’indomani dell’indipendenza, furono compiute scelte economiche poco assennate che portarono all’implementazione di politiche economiche di stampo socialista, con l’obiettivo primario di sviluppare l’industria pesante algerina. Così, enormi somme di denaro furono “sprecate” per ingenti spese militari e pratiche corruttive mentre, a livello politico, i governi “comprarono” il consenso dei cittadini elargendo enormi regalie che, inevitabilmente, produssero effetti nefasti sul bilancio algerino.
Il Paese in effetti dovette affrontare degli anni buissimi, soprattutto nel periodo a cavallo fra la fine degli anni 80 e i primi anni novanta, quando si trovò ad affrontare – quasi contestualmente – default economico ed inizio di una terribile guerra civile che, fra il 1991 ed il 1995, produsse oltre 150mila morti. Fra i protagonisti indiscussi di questa situazione figurano senza dubbio anche i vertici militari algerini che, nel 1999, decisero di sostenere il candidato indipendente – Abdlulaziz Bouteflika – eletto “ufficialmente” con il 74% dei consensi.
Da allora il politico algerino ha governato il Paese, in maniera assolutamente autoritaria, fino allo scorso 2 aprile 2019 giorno in cui, l’ormai ex presidente della Repubblica algerina ha rassegnato le proprie dimissioni. La decisione è scaturita dalle feroci proteste di piazza (durate circa 90 giorni) nate in seguito all’annuncio di Bouteflika di volersi ricandidare per il quinto mandato unite alle forti pressioni compiute dai vertici militari su Bouteflika (resisi conto che era arrivato il momento di avallare un cambiamento). Quanto avvenuto pochi giorni fa è comunque la naturale conseguenza di una situazione difficilmente sostenibile: era infatti ormai da tempo che il leader algerino versava in condizioni d’invalidità totale, costretto a passare le sue giornate all’interno di in una clinica svizzera.
Così, nei giorni scorsi, si è formato un nuovo governo guidato da un nuovo primo ministro, Noureddine Bedoui (succeduto a Ahmed Ouyahia) e caratterizzato dalla presenza del potente generale Ahmed Gaid Salah, capo di stato maggiore e viceministro della Difesa. Proprio Salah ha avuto un ruolo dirimente nelle dimissioni di Bouteflika proponendo l’attuazione di meccanismi costituzionali (articolo 102 della costituzione) che lo dichiarassero inadatto a governare, causandone la rimozione dal potere e la nomina – ad interim – di Abdelkader Bensalah come nuovo Presidente della Repubblica Algerina.
I nuovi vertici istituzionali dovrebbero accompagnare il Paese a nuove elezioni (rinviate rispetto alla data originaria del 18 aprile 2019) nell’arco dei prossimi novanta giorni ma, sebbene nelle piazze del Paese africano più grande per estensione territoriale si respiri un misto di allegria e speranza per il futuro, al momento appare difficile che Algeri possa trasformarsi in una repubblica presidenziale finalmente democratica.
Fra gli ostacoli principali affinché in Algeria si produca un vero cambiamento c’è soprattutto l’assenza di un serio e strutturato movimento di opposizione che possa aggregare consenso incanalando la rabbia sociale. E, nel frattempo, l’economia sembra giunta sull’orlo del baratro: le riserve valutarie internazionali sono in forte calo mentre è solo la vendita delle riserve auree a garantire i consumi vitali alla popolazione.
Non bisogna infatti dimenticare che l’Algeria è costretta ad importare praticamente tutte le materie prime vitali perché non ha realizzato una sostanziosa diversificazione economica che invece sarebbe fondamentale per costruire un futuro più prospero. Oggi, dunque, un nuovo default potrebbe avere conseguenze sociali drammatiche visto e considerato che gli introiti derivanti dalla vendita delle uniche due materie prime di cui il Paese dispone – petrolio e gas naturale – non bastano a coprire il fabbisogno della popolazione algerina. Pensare, dunque, che la situazione possa risolversi in maniera pacifica sembra quasi utopico mentre rimane d’attualità lo scenario dell’instaurazione di una dittatura di tipo militare. Infine va detto che anche la ricetta del Fondo Monetario Internazionale per la situazione algerina (Fmi) sembra più palliativa che risolutiva: svalutare gradualmente il dinaro algerino ed aprire l’economia a maggiori investimenti internazionali non sembrano infatti misure sufficienti a produrre un vero e proprio cambiamento.
Rapporti con l’Italia
Le relazioni economiche fra Roma ed Algeri sono buone in considerazione del fatto che il Belpaese è il principale cliente dell’Algeria e, insieme alla Spagna, uno dei principali importatori di gas metano algerino. L’interscambio commerciale fra i due Paesi del 2017 è stato pari a poco meno di 10 miliardi di euro, con un saldo commerciale (circa +3,5 miliardi) fortemente sbilanciato a favore del Paese africano. Come è noto l’Italia conserva significativi interessi economici in Algeria sia per l’importante presenza di un colosso come Eni sia per il cospicuo export di macchinari ed apparecchiature italiane verso Algeri.
In generale, comunque, l’Algeria è un Paese che desta l’interesse di diversi Paesi del “Vecchio Continente” dal momento che rappresenta il terzo fornitore di gas in Europa e che anche il 60% del petrolio algerino viene acquistato da Paesi Ue, soprattutto Francia e Gran Bretagna. Insomma una interruzione delle forniture energetiche potrebbe provocare alcuni contraccolpi sul mercato Ue anche se, secondo gli analisti di Petromatrix, il fatto che l’esercito algerino abbia innescato le dimissioni di Bouteflika indica che, i prossimi mesi, dovrebbero essere caratterizzati da un certo livello di stabilità.
In ogni caso al momento petrolio e gas rappresentano oltre il 90% dell’export algerino e circa 1/3 delle entrate del governo e solamente se i nuovi vertici istituzionali decidessero di porre in essere un serio piano per rendere il Paese meno dipendente dal settore Oil&Gas si potrebbero aprire interessanti scenari per le imprese italiane decise a puntare su questo mercato. Infine si segnala che l’eventuale precipitare della situazione algerina potrebbe produrre effetti anche sui flussi migratori verso il Vecchio Continente che – fino ad adesso – sono rimasti ampiamente sotto controllo. E questo è stato sicuramente un elemento dirimente nel determinare un atteggiamento tutto sommato poco critico dei governi delle principali economie Ue nei confronti del regime di Bouteflika.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA