Le politiche portate avanti dal giovanissimo cancelliere Sebastian Kurz alla guida di una coalizione di “ultra-destra” dal 2017 stanno producendo i primi effetti su crescita del Pil, conti pubblici e politiche migratorie.
Meno immigrati e più crescita. E’ cercando di rispettare questo semplicissimo schema che il governo Övp-Fpö (il Partito popolare guidato da Sebastian Kurz e quello nazional-populista guidato da Heinz-Christian Strache) sta conquistando la maggioranza degli elettori austriaci, particolarmente sensibili ai temi securitari. La svolta in tale direzione era stata chiara già dalla campagna elettorale che, nell’autunno del 2017, aveva visto trionfare il giovane politico austriaco nominato cancelliere il 18 dicembre 2017.
Quel che stupisce è che, ad oltre un anno dall’insediamento, la luna di miele fra Kurz ed i suoi elettori pare proseguire senza intoppi con il Partito popolare che pare rimanere su significativi livelli di consenso (vicini al 31,5% ottenuto alle ultime politiche). Gli elettori austriaci in effetti appaiono soddisfatti dell’approccio adottato dal governo Kurz in materia di immigrazione con l’approvazione di una serie di provvedimenti che prevedono rimpatri più rapidi, minore esborso pubblico di fondi per i richiedenti asilo e rafforzamento dei controlli alle frontiere. La grande attenzione intorno a tale tema deriva dal fatto che l’Austria rappresenta oggi uno dei Paesi che, in rapporto all’ampiezza della propria popolazione, accoglie il maggior numero di rifugiati a livello europeo. Conoscendo dunque la grande sensibilità di molti dei propri elettori, il cancelliere sta facendo sentire la propria voce a livello europeo per operare una redistribuzione dei migranti ed ha così deciso di non firmare il Global Compact sulle migrazioni dell’Onu, un recente accordo non vincolante che stabilisce i principi per trattare i rifugiati e i migranti. Il leader dell’ Övp è infatti convinto che tale documento possa di fatto condurre il Paese verso una limitazione della sovranità nazionale in materia di flussi migratori.
In particolare grande clamore (si parla anche di possibili sanzioni Ue) è stato suscitato dall’approvazione di una misura che ridurrà i sussidi per i familiari di lavoratori non residenti in Austria. In parole povere se un lavoratore straniero residente in Austria possiede dei membri della propria famiglia che risiedono in un altro Paese europeo, questi riceveranno un sussidio rapportato al costo della vita della nazione in cui vivono. Ciò significa che i familiari di molti immigrati provenienti da Paesi meno ricchi dell’Austria subiranno delle consistenti riduzioni nei sussidi erogati dallo stato austriaco.
L’azione del governo tuttavia non è stata improntata esclusivamente a contenere gli arrivi di nuovi migranti ma ha riguardato anche altri ambiti come il mercato del lavoro attraverso l’introduzione di una maggiore flessibilità in termini di orario di lavoro, ora estendibile fino a 12 ore al giorno e 60 ore alla settimana. Un ulteriore importante provvedimento ha invece coinvolto le famiglie con la creazione del “Familienbonus”, vale a dire un’esenzione dalle tasse di 1500 euro per ogni figlio.
Ma non è finita qui. In poco più di un anno infatti l’esecutivo Kurz è riuscito ad introdurre anche sostanziali agevolazioni a livello fiscale fra cui il taglio delle imposte sui contratti d’affitto, sul fatturato nel settore turistico, nei contributi per l’assicurazione per la disoccupazione e, dulcis in fundo, il dimezzamento delle tasse sui voli che ha di colpo reso più conveniente volare verso Vienna, nel tentativo di fornire un ulteriore spinta ad un settore come quello turistico che riveste già una grande importanza per l’Austria che nel 2018, con circa 25 milioni di visitatori, si è posizionata al 14esimo posto fra le nazioni più visitate su scala globale.
Inoltre la programmazione economica di Vienna, anche grazie alle misure approvate, prevede un interessante consolidamento dei conti pubblici con il rapporto debito/Pil che è già sceso di 4 punti percentuali (dal 78 al 74%) in soli 12 mesi e che dovrebbe arrivare al 68% già nel 2020. Il tutto senza dimenticare l’ambizioso (e piuttosto credibile) obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio già alle fine del 2019. In più, negli ultimi mesi buone notizie sono arrivate anche dal tasso di disoccupazione sceso di quasi un punto (dal 5,4 al 4,6%) fra dicembre 2017 e dicembre 2018.
Per tutte queste ragioni, sebbene la crescita del Pil dovrebbe ridursi dal 2,7% del 2018 al 2% del 2019 per arrivare fino all’1,6% nel 2020 a causa del rallentamento economico globale, l’economia austriaca conserva comunque performance di crescita che si pongono ben al di sopra la media Ue (+1,3%). Tuttavia il recente aggiornamento Ocse circa le previsioni di crescita della Germania, drasticamente tagliate dal +1,6 al +0,7%, hanno fatto suonare un campanello d’allarme visto a Vienna che Berlino rappresenta il più importante mercato di destinazione dell’export Made in Austria, contando per circa il 30% sul totale.
In generale comunque quella austriaca è considerata fra le economie più solide del Vecchio Continente perché supportata da una vivace dinamica dei consumi interni, da un’ottima rete di Pmi fortemente orientate all’esportazione e da politiche lungimiranti che hanno prodotto significativi investimenti in ricerca e sviluppo (circa il 3% del Pil), innovazione, digitale e green economy (oggi circa il 30% dell’energia utilizzata nel Paese è prodotta con fonti rinnovabili).
Opportunità per l’Italia
I rapporti economici fra Roma e Vienna sono buoni con un interscambio commerciale che, nel 2017, ha sfiorato i 19 miliardi di euro registrando un leggero surplus (circa 300 milioni) a favore del Belpaese. Anche i dati relativi ad i primi mesi del 2018 mostrano un andamento favorevole per l’export italiano con un aumento del 7,2%.
In sostanza il Made in Italy in Austria continua a “tirare” e sono davvero numerose le opportunità commerciali che le nostre Pmi possono cogliere su un mercato così “alto spendente” come dimostrato dalle previsioni Sace sull’andamento dell’export italiano fino al 2020 che stimano un incremento medio annuo superiore al 3%, con buone possibilità di essere rivisto al rialzo.
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Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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