Il 2019 sarà un anno cruciale per il Giappone che dovrà affrontare l’abdicazione del proprio imperatore Akihito, ormai 85enne, senza trascurare l’andamento del Pil che, stando agli ultimi dati, potrebbe subire un consistente ridimensionamento.
Un anno ricco di emozioni: così si prefigura il 2019 per i cittadini giapponesi ansiosi di assistere all’insolito passaggio di consegne (l’ultimo avvenne due secoli fa) di un’ormai stanco Akihito a favore del figlio 58enne Naruhito, che assumerà la carica di imperatore il prossimo 1 maggio 2019. Si tratterà di un momento storico con una valenza non solo simbolica ma anche amministrativa ed economica: infatti, sebbene l’imperatore non detenga alcun potere politico, il cambio di “sovrano celeste” comporta degli effetti sulla vita quotidiana della popolazione dell’Arcipelago poiché implica il cambiamento di nome d’era.
Non tutti infatti sanno che i giapponesi datano l’anno in base al nome dell’era (“gengo”) e alla sua durata: nel 2019 dunque si chiuderà l’era Heisei (“Pace Ovunque”) entrata da qualche settimana nel suo 31esimo anno di vita. A testimonianza di quanto la questione sia delicata si sottolinea che la scelta degli ideogrammi che formeranno il nome del nuovo gengo è affidata a personale esperto che, a tal fine, realizza una approfondita analisi filologica dei classici.
Inoltre va detto che allo scopo di non creare disservizi o problemi alla vita quotidiana dei cittadini giapponesi il premier Shinzo Abe ha deciso di anticipare la comunicazione relativa al nome della nuova era al 1 aprile 2019 (normalmente viene comunicata dopo l’avvenuto passaggio di consegne) in modo da concedere il tempo necessario per effettuare l’aggiornamento di tutti gli apparati elettronici – diventati ormai parte integrante del vivere comune – alla nuova datazione.
Insomma il Giappone di prepara a vivere un evento di enorme portata che, almeno simbolicamente, produrrà un ringiovanimento in una società in difficoltà ormai da tempo a causa del rapido invecchiamento della popolazione. Tale trend infatti, se confermato, porterà il Paese, nel 2040, ad avere una percentuale di over 65 superiore al 35%. In più secondo le Nazioni Unite, da qui al 2050, il Sol Levante potrebbe perdere circa il 15% della propria popolazione rispetto ai dati registrati del 2015, scendendo a 108 milioni di abitanti.
E’ dunque urgente affrontare la questione del cosiddetto “inverno demografico giapponese” mettendo in campo delle politiche che possano quantomeno mitigare il trend in atto. Certo è che una delle soluzioni “naturali” al problema sarebbe quella di aprire le porte del Paese all’immigrazione, misura che però si pone in netto contrasto con la lunga tradizione isolazionista che ha sempre reso la vita difficile a chi volesse entrare e stabilirsi sul territorio nipponico come certificato dai dati ufficiali che segnalano la presenza di appena 2,5 milioni di cittadini stranieri sul territorio giapponese vale a dire circa il 2% sul totale.
A dirla tutta però qualche segnale di cambiamento inizia già a percepirsi in particolare per via della nuova legge sull’immigrazione, recentemente approvata, che prevede la possibilità di assumere circa 350 mila stranieri a medio-bassa qualificazione (ma con una conoscenza di base della lingua giapponese) come lavoratori temporanei (senza la possibilità di ricongiungimento familiare) in 14 settori fra cui edilizia, agricoltura, cantieri navali, infermieristica, hospitality e assistenza agli anziani. Tuttavia si tratta solo di un primo passo perché la normativa prevede che, dopo un periodo massimo di 5 anni, i lavoratori debbano tornare nei rispettivi Paesi di provenienza. Le legge però prevede anche di assumere circa 150 mila lavoratori qualificati con un visto rinnovabile, cui non sarà preclusa la strada per la residenza permanente dopo dieci anni o quella ancora più complessa per la cittadinanza giapponese.
Questi segnali d’apertura, per quanto timidi, tradiscono il maturare di una consapevolezza fondamentale per l’economia giapponese ovvero che il rapido invecchiamento e il bassissimo tasso di natalità stiano danneggiando pesantemente l’economia rischiando di abbassare radicalmente la produttività del Paese sempre meno in grado di reperire forza lavoro in un contesto occupazionale con numeri prossimi alla piena occupazione (tasso di disoccupazione sotto il 3%).
Inoltre il Paese sta soffrendo in maniera non trascurabile la politica protezionistica di Trump che sta producendo effetti nefasti sull’export giapponese (calato a gennaio dell’8,4%) a causa dall’indebolimento dell’economia cinese a cui Tokyo vende robot e componenti in grandi quantità. Trump, che contesta ai giapponesi un elevato surplus nella bilancia commerciale, sembra intenzionato ad apporre dazi al 25% sull’industria automotive nipponica: una misura che costituirebbe una vera e propria mazzata per il Sol Levante. Per questa ragione il premier giapponese sta cercando di rendere il Giappone un attore protagonista in materia di accordi di libero scambio così come avvenuto con l’entrata in vigore dell’Economic Partnership Agreement (EPA) e con la decisione di portare avanti le trattative per il Partenariato trans-Pacifico (TPP), anche in seguito alla defezione americana.
Tuttavia nonostante un evidente impegno anche sul lato della politica monetaria, con l’imponente acquisto di titoli di stato giapponese da parte della Bank of Japan (Boj) – che oggi detiene il 40 percento sul totale del debito pubblico – ed il mantenimento di tassi d’interesse vicini allo zero, che dura ormai dalla fine degli anni ‘90, l’economia giapponese fatica a rilanciarsi: il Fmi infatti prevede una crescita, per il 2019, pari ad appena l’1,1%. E come se non bastasse gli esperti concordano sul fatto che un peggioramento delle performance economiche di Tokyo sia possibile e costituisca uno dei principali pericoli per l’economia mondiale.
Opportunità per l’Italia
Italia e Giappone intrattengono relazioni commerciali e politiche ottime con un interscambio commerciale (dati 2017) non di molto inferiore agli 11 miliardi di euro che evidenzia, fra l’altro, un saldo ampiamente favorevole al Belpaese. In quest’ottica l’entrata in vigore dell’Epa si configura come un’imperdibile opportunità di rilancio – dopo il leggerissimo calo (-0,6%) delle vendite Made in Italy in Giappone registrato nei primi 10 mesi del 2018 – per le Pmi italiane interessate a fare business sul territorio nipponico. In questo senso si attende fiduciosi il nuovo aggiornamento Sace relativo all’andamento dell’export italiano fra il 2019 al 2022, nella convinzione che le nuove previsioni possano subire una revisione al rialzo dal rispetto all’incremento medio annuo (+4,5%) precedentemente stimato per il periodo 2018-2021.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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