Tunisia: la democratizzazione non aiuta l’economia

Tunisia: la democratizzazione non aiuta l’economia

21 Gennaio 2019 Categoria: Focus Paese Paese:  Tunisia

Otto anni dopo l’inizio della primavera araba, che portò nel Paese una ventata di speranza ed entusiasmo, le condizioni economiche tunisine preoccupano gli osservatori internazionali ed il Belpaese, che si trova costretto ad accogliere un numero crescente di tunisini in cerca di un futuro migliore.

Politica

Quando a dicembre 2010 il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco perché esasperato da una situazione economica insostenibile sembrò esserci una ricompensa per un gesto così estremo: da quel momento infatti il popolo tunisino decise di ribellarsi e riuscì, nel giro di pochi giorni, a far fuggire all’estero Ben Alì, il dittatore che aveva tenuto in pugno il Paese nordafricano per oltre 23 anni.

In molti quindi pensarono che fosse finalmente giunta l’ora del riscatto per un Paese per troppo tempo tenuto in ostaggio da una dittatura miope ma, otto anni dopo, la situazione tunisina è ancora molto ingarbugliata ed il Paese – nonostante l’indubbia buona volontà – non è ancora riuscito a trovare la sua strada, mettendo la popolazione in condizione di vivere una vita migliore.

Sebbene i progressi in termini di diritti politici e di pluralismo politico non siano solo sulla carta (a gennaio 2014 è stata approvata una nuova Costituzione) ma una realtà ormai assodata la Tunisia continua ad avere enormi problemi economici che, paradossalmente, derivano anche da un pluralismo politico che ha mostrato quanto non sia semplice gestire il potere in un regime democratico.

I due principali partiti del Paese – il partito di ispirazione islamica Ennahda e la formazione laica Nida Tounes, – sono infatti costretti a governare in coalizione, in quanto nessuno dei due è riuscito a conquistare alle urne una solida maggioranza. Tutto ciò purtroppo sta provocando enormi rallentamenti al processo decisionale, che è spesso frutto di compromessi, e che deve di tanto in tanto fermarsi di fronte a veti incrociati e rimpasti di governo necessari per trovare nuovi equilibri politici. Paradossalmente quindi sembra proprio la “stabilità democratica” il principale ostacolo al decollo economico tunisino ed in questo senso le elezioni presidenziali previste per l’inverno del 2019 sono viste come una tappa fondamentale per il futuro del Paese. Tuttavia le indicazioni giunte dalle elezioni locali svoltesi a maggio 2018 non lasciano ben sperare perché i trend dominanti sono stati un forte incremento nel consenso dei partiti indipendenti ed un bassissimo livello di partecipazione (hanno votato solo il 35% degli aventi diritto), indici di una profonda frattura fra la popolazione locale e la classe dirigente del Paese, colpevole di non esser riuscita ad incidere positivamente sulla vita quotidiana dei cittadini.

Ciò ha portato alla formazione di consistenti movimenti di protesta anche violenta che dimostrano la preoccupante radicalizzazione di una parte della popolazione tunisina, fatto che sottopone il Paese alla costante minaccia di attentati terroristici e che potrebbe avere drammatiche conseguenze anche dal punto di vista economico, dal momento che il turismo rimane uno dei settori chiave per l’economia nordafricana.

Economia

Economia appunto che stenta a decollare come dimostrato dai dati sulla crescita del Pil che, anche nel 2018, non hanno soddisfatto le aspettative del governo attestandosi su un +2,4% rispetto al +3% inizialmente previsto. Nonostante tutto però la crescita dovrebbe rafforzarsi nel 2019, arrivando a toccare quota +2,9%.

Certo è che sarebbe davvero importante riuscire a modernizzare l’economia del Paese, ancora troppo legata al settore primario (rappresenta il 10% del Pil) dando delle chances reali alle fasce di più giovani della popolazione che, nonostante possiedano un livello culturale di buon livello, non vedono aprirsi dignitose opportunità occupazionali. Uno dei drammi del Paese africano è infatti un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 35% mentre quello generale, anche nel 2018, è rimasto al di sopra del 15%, confermandosi il più elevato nell’area nordafricana.

Che la situazione non sia cambiata otto anni dopo la “Rivoluzione dei gelsomini” lo dimostra anche un episodio emblematico del 24 dicembre scorso quando Abderrazak Zorgui, cameraman 32enne precario, si è dato fuoco per protestare contro la disoccupazione.

Oltre alla mancanza di prospettive e di lavoro a rendere la situazione allarmante è anche l’esplosione del debito pubblico tunisino passato dal 35 al 70% in meno di un decennio. Tutto ciò nonostante gli aiuti del Fmi, che ha già erogato alla Tunisia ben 5 miliardi di dollari, vincolandoli però all’adozione di politiche d’austerità malviste dalla popolazione, già vessata dal rincaro dei beni di prima necessità determinato dalla continua svalutazione del dinaro tunisino.

Inoltre le difficoltà economiche del Paese stanno avendo pesanti ripercussioni anche in materia d’immigrazione con la forte ripresa dei flussi migratori di cittadini tunisini verso le coste del Belpaese come indicato dai dati del Ministero degli Interni italiano che ha registrato l’arrivo di ben 4000 tunisini nei primi 9 mesi del 2018. Per questo lo scorso settembre Matteo Salvini è volato nel Paese africano con l’intenzione di “capire come fare per aiutarli a crescere, dare lavoro e controllare meglio le loro coste”.

Anche l’Europa quindi, principale partner commerciale tunisino (il 65% dell’interscambio commerciale di Tunisi è con Bruxelles), guarda l’evolversi della situazione con occhio interessato allarmata da alcuni segnali come la scarsa capacità di Tunisi di attrarre finanziamenti e l’enorme mole di debito denominato in valuta estera, arrivato a toccare l’80% del Pil nazionale e registrato in continua espansione per via della svalutazione del dinaro.

Opportunità per l’Italia

L’interscambio fra Roma e Tunisia fra i due Paesi, nel 2017, è stato pari a 5,6 miliardi di euro con un saldo commerciale largamente favorevole alla Penisola (quasi 1 miliardo di euro). Inoltre il Belpaese è in assoluto il secondo partner commerciale di Tunisi ed il primo Paese fornitore con un export che, secondo i dati parziali, si dimostra in continua ascesa anche al 2018 con una crescita pari all’8,5% registrata nei primi nove mesi dello scorso anno.

Le vendite italiane nel Paese africano hanno una composizione settoriale abbastanza variegata con prodotti per l’industria estrattiva in testa (21%) seguiti da tessile e abbigliamento (15%), metalli (14%) e meccanica strumentale (11%). Inoltre, secondo Sace, l’export italiano è destinato a crescere ad un ritmo medio vicino al 3% annuo da qui al 2021.

Dunque nonostante la situazione economica sia critica la Tunisia rimane un mercato assai promettente per le imprese italiane ed il fatto che se ne contino oltre 800 già attive sul territorio tunisino dimostra quanto il sistema economico e produttivo italiano conservi una certa considerazione delle opportunità offerte dal Paese africano.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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