Il Paese dell’Africa orientale esprime ottime valori di crescita del Pil nonostante rimanga afflitto da una serie di problematiche non di poco conto. E intanto la fascia di ultra-ricchi continua a crescere…
Economia
Corruzione dilagante, divisioni etniche e gap infrastrutturale sembrano non arrestare l’avanzata dell’economia del Kenya che quest’anno dovrebbe crescere del +5,5%, in sensibile miglioramento rispetto al +4,8% registrato l’anno precedente. Ciò che preoccupa invece è il dato relativo all’inflazione attestatosi sull’8% nel 2017, ormai da anni molto elevato se si pensa che, nel periodo 2005-2015, il tasso medio di crescita dei prezzi in Kenya è stato del 10,7%.
Nel 2018, a dir la verità, tale indice è rimasto al di sotto del 5% fino allo scorso settembre quando è salito al 5,7%. L’obiettivo dell’esecutivo rimane quello di contenerne il più possibile l’esplosione per evitare il paradosso che, ad una crescita del Pil nazionale, si accompagni una contrazione del potere d’acquisto della popolazione locale.
Gli altri problemi del Paese dell’Africa orientale sono noti: pessimo servizio sanitario, scarso welfare e diffuso clientelismo con uno stato che, al fine di aggregare consenso, continua ad elargire posti di lavoro pubblici ad una larga fetta della popolazione, pratica dannosa comune a molti Paesi del “Continente Nero”.
Nonostante tutto però Nairobi, capitale del Paese, è in grado di esercitare un certo appeal sugli investitori internazionali ed è oggi considerata - dopo Johannesburg, Città del Capo e Lagos – il quarto centro urbano migliore dove investire di tutta l’Africa. Va quindi evidenziato che Nairobi è ormai diventata un polo regionale dell’industria finanziaria ed il prossimo anno la sua skyline potrà esibire il grattacielo più alto d’Africa, The Pinnacle, in via di completamento.
Le potenzialità, dunque, ci sono tutte: bisogna capire se il progressivo avvento di nuove tecnologie nel Paese ed il discreto sistema educativo nazionale saranno sufficienti a promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile negli anni a venire dal momento che oggi il 36% dei kenioti vive ancora al di sotto della soglia di povertà.
Politica
Le ultime elezioni politiche hanno confermato alla guida del Paese Uhuru Kenyatta del Kenya African National Union (KANU), partito d’ispirazione conservatrice. Il processo elettorale tuttavia è stato attraversato da fortissime tensioni che hanno portato la Corte costituzionale keniota ad invalidare l’esito delle elezioni tenutesi ad agosto 2017, fissando una nuova tornata per ottobre 2017.
L’unico vero sfidante di Kenyatta, Raila Odinga, ha però deciso di boicottare il voto di ottobre aizzando i propri sostenitori (ciò ha provocato scontri che hanno portato ad alcuni morti e decine di feriti) che, in massa, hanno deciso di non presentarsi alle urne. Il dato sulla percentuale degli aventi diritto che hanno esercitato il proprio diritto al voto è stato infatti bassissimo e non ha raggiunto neanche il 40%. In ogni caso dopo le iniziali difficoltà l’esecutivo è riuscito a partire, trovando un parziale equilibrio fra le 54 (!) etnie presenti nel Paese, anche perché la maggior parte dei kenioti è stanca delle violenze e dell’instabilità e desidera solamente un’economia più forte.
Nonostante tutto quindi “Un Kenya migliore è possibile”, come ha twittato qualche settimana fa Kenyatta per salutare l’approvazione di un ddl che introduce una imposta dell’8% sul carburante ed una tassa sul gioco d’azzardo, misure che nascono al fine di ridurre il deficit di bilancio nazionale che, nel 2017, è stato stimato in quasi il 12 percento del PIL.
Tuttavia, senza dubbio, la battaglia più importante che la classe dirigente locale dovrebbe impegnarsi a combattere è quella della lotta alla corruzione, fenomeno dilagante in tutto il Paese come dimostrato dal Corruption Perception Index (CPI) dello scorso anno che posiziona il Kenya al 143esimo su 180 nazioni considerate.
In ogni caso comunque il Paese africano si sta muovendo in modo intelligente per affrontare un altro dei grandi nodi irrisolti per il suo sviluppo, vale a dire sostenere la crescita delle infrastrutture locali. A tal fine infatti si sta studiando la fusione di tre istituzioni finanziarie governative, la Industrial and Commercial Development Corporation (ICDC), la IDB Capital e il Tourism Finance Corporation (TFC), per riuscire a disporre dei capitali necessari per accedere a prestiti a lungo termine dalle istituzioni finanziarie internazionali. Il protagonista di quest’operazione è il ministero del Tesoro che ha recentemente istituito una task force per mettere a punto i dettagli del progetto.
Opportunità per il Made in Italy
I rapporti commerciali fra Roma e Nairobi non sono particolarmente sviluppati come ben rappresentato dal dato sull’interscambio commerciale pari a 236 milioni di euro. Nel 2017 l’export di prodotti Made in Italy è calato del 13,7% rispetto all’anno precedente attestandosi su 182 milioni di euro.
Tuttavia Sace prevede una crescita delle vendite dei prodotti italiani in Kenya già dall’anno in corso, con un tasso di incremento medio che supererà il 3% nel periodo 2018-2021, soprattutto grazie all’atteso rilancio di progetti infrastrutturali ed al rimbalzo della domanda interna. Fra i comparti che dovrebbero registrare gli andamenti migliori spiccano chimica (+7,4%), meccanica strumentale (+6,7%), food&beverage (+5,8%) e tessile-abbigliamento (+5,5%).
In generale comunque si rileva che il Belpaese vende in Kenya principalmente macchinari industriali, prodotti chimici, elettrodomestici e prodotti alimentari ed il mercato locale che dimostra una buona percezione del prodotto italiano, nonostante l’agguerrita concorrenza delle Pmi turche e cinesi.
In generale si segnala che oggi, in Kenya, meno di 200mila persone possono essere considerate ricche (reddito medio di 200mila dollari annui) e solo 1,6 milioni di persone hanno redditi annui che arrivano a 17mila dollari. Ciò vuol dire che lo spazio per la penetrazione di prodotti italiani di fascia premium non è amplissimo anche se va sottolineato che il Kenya è il quarto Paese al mondo e il più grande in Africa per crescita economica più rapida della popolazione di ultra-ricchi.
In conclusione ottime notizie potrebbero presto giungere anche sul lato trasporti perché sembra che due importanti compagnie low-cost come Ryanair e Easyjet stiano seriamente valutando la possibilità di lanciare voli diretti Europa-Kenya, evento che renderebbe molto più economico volare a Nairobi.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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