Cina: vendere nel mercato più grande del mondo. Storie di imprenditori coraggiosi

Cina: vendere nel mercato più grande del mondo. Storie di imprenditori coraggiosi

26 Settembre 2018 Categoria: Un'Italia da Export Paese:  Cina

La Cina sta gradualmente evolvendo da economia basata sugli investimenti in economia trainata dai consumi interni, spinta principalmente da una crescente urbanizzazione e da un incremento del reddito medio. Ma le opportunità per le aziende straniere che commercializzano beni di consumo non sono sempre così semplici da cogliere.

Come è noto il mercato cinese attrae molte Pmi, italiane e straniere, specialmente quelle operanti nel settore dei beni di consumo, comparto in costante crescita. Tuttavia la Cina non è semplicemente un eldorado di opportunità che molti immaginano dal momento che vi sono anche dei comparti in sofferenza per la continua pressione sui prezzi in un’economia con una concorrenza spietata. La Cina soffre infatti di una sorta di sovraccapacità endemica che condiziona molti settori, tra i quali spiccano ristorazione, vendita al dettaglio e tessile, ma anche settori industriali, dell’acciaio e così via.

I marchi stranieri conquistano i consumatori

Ad ogni modo, mentre i marchi locali soffrono, il mercato è sempre più popolato da marchi stranieri, spesso considerati, o semplicemente percepiti, di migliore qualità e alla moda da una nuova orda di consumatori che fino a ieri doveva accontentarsi di sole marche locali spesso caratterizzate da un livello di qualità inferiore. Nuovi modelli di business basati sulla vendita online (E-commerce), raggiungono i consumatori più facilmente mentre i bassi costi di logistica danno spazio a nuove opportunità. Se a questo aggiungiamo un generale abbassamento delle tariffe di importazione e qualche significativa apertura del mercato in settori merceologici prima non permessi, le opportunità diventano estremamente tangibili.

Secondo Giovanni Gallina, General Manager della sussidiaria cinese di Tucano, e residente nel Paese da molti anni, “Questa nuova tendenza, fa riferimento ad un potere di acquisto cresciuto stabilmente negli ultimi dieci anni ed associato ad una crescita culturale, specialmente nelle città primarie come Pechino, Shanghai, Shenzhen, Guangzhou, Chengdu, e cosi via, che apre la strada a nuove opportunità di mercato per brand europei di consolidata visibilità internazionale”.

È interessante notare come, oltre alle varie ondate di arrivo dei grandi marchi, questo mercato sta oggi attraendo anche alcune coraggiose piccole attività e un gruppo molto determinato di imprenditori alla ricerca di nuovi mercati in espansione.

Saverio Paolillo è un trentenne di Torre del Greco, una cittadina sul litorale del Golfo di Napoli nota per la produzione di gioielli in corallo fin dal diciassettesimo secolo. Saverio appartiene alla quarta generazione di una famiglia di commercianti di corallo e, insieme al padre e tre fratelli, gestisce un’attività che vende corallo in tre continenti. Quattro anni fa, Saverio si trasferì a Guangzhou, il principale centro nel settore dei gioielli in Cina, per affrontare un mercato che lui stesso definisce “sbalorditivo per i numeri, folle per il modo in cui si compiono decisioni sugli acquisti… e di così difficile lettura da rappresentare una sfida costante”.
Gli affari sono andati molto bene per i primi tre anni, “talmente bene che non avevo nemmeno la possibilità di lasciare Guangzhou“, aggiunge Saverio. Tuttavia, negli ultimi sei mesi qualcosa è cambiato e Saverio e Gioia, un’adorabile giovane donna cinese con una perfetta padronanza della lingua italiana e un forte accento napoletano, hanno cominciato a guardarsi attorno alla ricerca di nuove opportunità in altre principali città della Cina, quali Pechino e Shanghai.

Penso che sarebbe interessante vivere in Cina ancora per qualche anno e costituire dei solidi canali di vendita. È complicato dato che ci sono diversi concorrenti e svariati prodotti falsi qui intorno, ma i clienti stanno diventando raffinati. Il corallo in Cina è conosciuto ed apprezzato da secoli, soprattutto per il suo colore rosso… la nostra varietà di corallo (coral rubrum) è anche autorizzata dalla CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione), mentre la maggior parte del corallo venduto in Asia non lo è“, conclude Saverio.

La classe media emergente cinese alimenta il consumo

In un recente studio Paese, la società di consulenza strategica McKinsey, analizza il fenomeno della crescente classe media cinese. Secondo questa ricerca, i dati sulla spesa dei consumatori cinesi non possono essere considerati un indicatore affidabile di benessere e l’economia cinese è oggi troppo complicata e falsata perche questo unico fattore possa essere rilevante; ciò che conta realmente, per McKinsey, è il reddito famigliare. La Cina ha una classe media emergente con un reddito medio famigliare più alto rispetto a Paesi con struttura economica simile, e consumi in costante aumento. Inoltre, l’ammontare dell’incremento del reddito medio famigliare cinese è superiore ad altri mercati emergenti, il che rende la Cina un fenomeno unico e senza precedenti.

Lo studio prevede una crescita pari o superiore al 6% fino al 2020 negli acquisti di beni di media necessità quali vestiario, prodotti per la casa e altre categorie discrezionali di prodotti come trasporti e svago. Partendo inoltre dal presupposto che una gran parte del reddito in Cina non è dichiarata, McKinsey sottolinea che i numeri reali sono probabilmente ancora maggiori.

Un altro fattore interessante è la propensione al consumo da parte dei consumatori cinesi, molto più forte e dinamico rispetto ai Paesi sviluppati. Un altro studio recente di McKinsey ha riscontrato infatti che il 55% dei consumatori in Cina confida in un considerevole aumento delle proprie entrate nell’arco dei prossimi 5 anni. I consumi aumentano del 14% all’anno per la fascia di età sotto i 35 anni (il doppio rispetto ai consumi delle generazioni precedenti). Il Boston Consulting Group, altra importante società di consulenza, prevede che anche nel caso in cui la crescita dell’economia cinese dovesse scendere al di sotto del 5,5%, i consumi in Cina cresceranno esponenzialmente, creando una massa aggiuntiva pari a un mercato grande quanto quelli di Inghilterra e Germania insieme.

Esportare in Cina: la nuova frontiera?

Mentre tanti grandi marchi investono spediti nel mercato cinese – Pepsi ha appena aperto il suo primo impianto di produzione per Quaker Oats in Cina, Ferrero ha aperto di recente uno stabilimento a Hangzhou (il suo più grande investimento fuori dall’Italia), e McDonald’s e Starbucks stanno già spingendo per aggiungere 1.250 e 500 nuovi punti vendita rispettivamente – le attività più piccole devono agire con più cautela.

Anna e Artem sono due giovani imprenditori russi che, dovendo affrontare un’economia domestica in stallo e una moneta in forte svalutazione, hanno deciso di lanciare una piattaforma chiamata dakaitaowa.com per importare in Cina beni prodotti in Russia. I principali prodotti includono cibo in scatola, bibite e cosmetici, tutto prodotto in Russia. Dopo aver fatto le dovute ricerche di mercato e stilato un robusto modello di business, si sono recati da diversi potenziali investitori fino a trovare delle persone interessate a finanziarli. Le vendite in Cina avvengono sia offline che online, approfittando della nuova ondata di E-commerce. La svalutazione del rublo ha creato un ulteriore vantaggio competitivo.

Fare affari in Cina non è semplice. Ci sono molti moduli da compilare e una miriade di autorità con cui parlare… ma le opportunità ci sono e te ne accorgi ogni giorno… le autorità si sono mostrate collaborative e hanno sostenuto il nostro progetto, ma le procedure per avviare un’attività sono complicate e arrivarne a capo da soli non è semplice…” dice Anna “perfino l’apertura del conto in banca ha richiesto un mese e mezzo, tempistiche lunghe anche per gli standard russi. In un ambiente così complesso, scegliere dei consulenti adeguati è un fattore chiave che spesso determina la differenza tra il successo e il fallimento” conclude.

Con una lunga tradizione d’eccellenza nella produzione dei beni di consumo, esportare in Cina potrebbe divenire la nuova frontiera per paesi sviluppati come Italia, Francia, Spagna e Australia. Paesi capaci di produrre più di quanto necessitano e che hanno creato marchi di rilievo nel corso dei decenni passati, che tendono a eccellere quando si tratta di esportare beni strumentali e di consumo.

Anche nel settore dell’arredamento si segnalano importanti novità come l’arrivo in Cina del Salone del Mobile di Milano, la più importante fiera settoriale al mondo che ha recentemente tenuto la sua prima edizione a Shanghai. “Le prospettive del mobile italiano in Cina - che per forza di cose punta al top di gamma, mentre per il mobilio a basso prezzo la concorrenza locale è per noi proibitiva – sono certamente positive” conferma il Console Generale italiano a Shanghai Stefano Beltrame. “La concezione sociale della casa, quindi anche del suo arredo, che abbiamo noi in Occidente qui in Cina non è scontata, anzi. Grazie al boom immobiliare degli ultimi 20 anni vi sono ora case ed appartamenti arredabili con i nostri grandi brand famosi in tutto il mondo. Siamo tuttavia solo all’inizio ed è ancora necessario un importante e continuato sforzo di intermediazione culturale e promozione commerciale” conclude Beltrame.

In un altro recente studio speciale sulla Cina, l’Economist (9 luglio 2016) espone tutti i paradossi cinesi riguardanti politica, società e la distribuzione della ricchezza. Tuttavia anche in questo caso, il prestgioso settimanale inglese ha difficoltà a spiegare la resilienza dell’attuale modello economico cinese. L’articolo riporta i dati già menzionati da McKinsey, secondo i quali la classe media cinese ammonta a 225 milioni di famiglie – con ulteriori 50 milioni di famiglie in arrivo entro il 2020 – rispetto alle sole 5 milioni di unità familiari del 2000, e con un reddito annuale che varia dai 11.500 ai 43.000 USD.

Tahsin Toraman è un uomo d’affari che si è trasferito a Shanghai tre anni fa. Con una solida preparazione in prodotti medicali di consumo, Tahsin ha intenzione di sfruttare una delle più grandi opportunità di tutti i tempi: l’invecchiamento della popolazione cinese. La sua giovane impresa famigliare coinvolge già tre generazioni, giacché entrambi i genitori di Tahsin gestiscono gli affari in Turchia e l’anno scorso la sua prima figlia è nata qui a Shanghai.

Venire in Cina non è stata una scelta facile, ma qui le opportunità sono incredibili…. Costruire un’attività dal nulla è probabilmente più complicato che in ogni altro luogo. Ma può dare anche molte soddisfazioni” afferma Tahsin. “Sei da solo e tutte le informazioni sono contrastanti… prima di scegliere i miei consulenti, ho incontrato 20 delle 40 società che ho trovato su internet… credimi, non era una questione di soldi… ma di fiducia. Volevo che mi dimostrassero che sapevano ciò di cui stavano parlando, come risolvere i miei problemi che mi potessi fidare di loro. Questo posto è così complicato che hai bisogno di poter contare sui tuoi partner” conclude Tahsin.

Conclusioni

Vi sono diverse problematiche ricorrenti che piccole (e grandi) imprese affrontano nel fare affari in Cina, e diverse costanti che distinguono chi ha successo da chi purtroppo fallisce.

Un sistema legislativo giovane e imprevedibile, problemi amministrativi e un’applicazione della legge ancora spesso discrezionale, sono tre delle maggiori problematiche indicate nelle tante survey specializzate da parte delle aziende straniere presenti in loco. Il risultato è che molte piccole aziende dedicano le proprie migliori risorse, personale spesso molto qualificato e ben pagato, a risolvere questi problemi “amministrativi” invece di concentrarsi sul generare affari. Il consiglio in questo caso è di esternalizzare l’amministrazione a società specializzate che possano fornire alle imprese un valido supporto, lasciando che le figure aziendali chiave, Direttore Vendite, General Manager, proprietario, etc. si dedichino al business.

Poiché la Cina ѐ oggi così importante da essere diventata per alcune aziende un second home market (mercato di riferimento più importante al pari del paese di provvenienza), molte PMI necessitano di mandare il loro personale migliore, per cercare di garantirsi di rimanere al passo con un mercato in continua evoluzione. La Cina infatti oggi si sta evolvendo in modo autonomo, non seguendo più i modelli di sviluppo occidentali. I manager locali hanno bisogno di potere decisionale forte e accesso diretto ai vertici della casa madre per poter adattare la sussidiaria ai cambiamenti e stare al passo con le nuove sfide e opportunità quotidiane.

Diversamente dall’attuale situazione europea, le aziende in Cina sono alla continua caccia di personale qualificato. Le aziende, soprattutto se straniere e piccole, faticano ad assumere e trattenere dipendenti validi e meritevoli. A questo riguardo, l’individuare solide conoscenze tecniche nei candidati da assumere, sebbene non semplice, potrebbe rivelarsi molto più importante delle, meno specifiche ma ahimѐ ancora troppo sovrastimate, abilità linguistiche. Molte aziende infatti richiedono come qualità principale la padronanza dell’inglese o di un’altra lingua europea, quando il personale qualificato in Cina oggi parla spesso ancora soltanto il cinese.

La sfida delle aziende straniere nel mercato cinese dovrà inoltre confrontarsi con una continua ricerca e investimento di sviluppo sia tecnologico che di design, in un mercato che sta diventando sempre più evoluto commercialmente e culturalmente e che non risparmia aree di aggressività commerciale a tutti i livelli, incluso notoriamente l’ambito di proprietà intellettuale. Sullo stesso piano molte aziende cinesi stanno sviluppando, con sempre maggior capacità e credibilità, prodotti di alta tecnologia e a bassi costi. Tutto questo mentre la nuova classe di consumatori cinesi sta attraversando un processo di pieno sviluppo dei gusti e della capacità di valutare il prodotto di qualità, originale o non contraffatto.

La rendita di posizione, derivata da anni di notorietà del fashion e del design italiano nonché da una concreta visibilità della qualità e del gusto della nostra tradizione, probabilmente non durerà in eterno e rischia di consumarsi e sbiadire se non alimentata continuamente da innovazione e ricerca nel settore.

Infine, i nuovi arrivati avranno bisogno di fare un bilancio accorto, perché la Cina non è economica, soprattutto quando l’obiettivo è vendere beni di consumo e servizi, il che obbliga a situarsi in centro città. I costi degli affitti, risorse umane e oneri amministrativi potrebbero essere molto elevati e le tasse non sono così basse come ci si aspetta. Ad ogni modo, come giustamente affermato da Tahsin: “venire in Cina non è stata una decisione facile, ma qui le opportunità sono incredibili”.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Rosario Di Maggio, Director of Business Development presso Vistra Shanghai, redazione@exportiamo.it

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