Il Bangladesh è una nazione giovanissima (età media inferiore ai 27 anni) e ricca di bellezze naturali ma con un’economia ancora poco sviluppata come dimostra il dato relativo al Pil pro capite (4.200 dollari). Tuttavia ultimamente il Paese sembra aver imboccato un sentiero di crescita significativo testimoniato da un incremento medio del Pil che, nell’ultimo triennio, è stato pari al 7%.
Non è possibile approfondire la conoscenza della situazione economica e delle opportunità offerte oggi dal Bangladesh senza analizzare brevemente quanto accaduto, a livello politico, nell’arco degli ultimi 50 anni.
Dal 1971, anno dell’indipendenza dal Pakistan, il Bangladesh è precipitato in una situazione economica e sociale difficile dalla quale ha iniziato a riemergere grazie ad un processo di trasformazione economica che ha cominciato a dare effetti tangibili solo nei primi anni 2000. La prima pietra per il rilancio è stata la fine della dittatura militare, terminata nel 1990 dopo ben 15 anni, evento che ha finalmente aperto allo stato asiatico le porte della democrazia.
Fra i fattori più importanti che hanno guidato la rinascita del Paese sia l’accresciuto ruolo delle donne negli affari pubblici sia la costruzione di un business climate marcatamente liberale che non impone troppe regole alle imprese che decidono di investire (soprattutto attraverso delocalizzazioni) su un Paese che offre, nel comparto manifatturiero, una delle forze lavoro meno costosa e più qualificata a livello globale. Inoltre nel Paese si riscontra inoltre la presenza di alcune export processing zones, zone industriali nelle quali è possibile produrre godendo di agevolazioni di tipo fiscale, finanziario e normativo.
Nonostante tutto però è indubbio che il Bangladesh rimanga una realtà complicata e per questo moltissimi cittadini (soprattutto giovani) decidono di andare a cercarsi un chance di vita migliore al di fuori dei confini nazionali.
Inoltre Dacca soffre la presenza di un’incombente minaccia terroristica che, negli scorsi anni, ha provocato ferite profonde nel tessuto sociale del Paese e che costituisce oggi uno dei più grandi ostacoli per il definitivo salto di qualità dell’economia locale. Infatti – nonostante la stragrande maggioranza della popolazione bengalese sia musulmana moderata – nel Paese si è registrato un vero e proprio boom dell’estremismo islamico, sfociato in numerosi attacchi terroristici che hanno sconvolto oltre alla cittadinanza anche turisti ed imprenditori.
Alcuni commentatori si sono spinti ad affermare che il Bangladesh rappresenti la nuova “tigre asiatica” nonostante circa un quarto del suo Pil dipenda ancora dalle rimesse degli immigrati (11%) e dal settore primario (14%).
In ogni caso è opinione diffusa che sia stata la “cura rosa” a dare benefici all’economia locale dal momento che, ormai dal 2009, alla guida del governo c’è Sheikh Hasina e che anche l’altra principale protagonista della vita politica del Paese (dall’indipendenza ad oggi) è una donna, Khaleda Zia, in carica dal 1991 al 1996 e successivamente dal 2001 al 2006.
Fra i comparti più dinamici c’è sicuramente quello tessile che ogni anno vende prodotti per circa 30 miliardi di euro in tutto il mondo e che attrae un cospicuo flusso d’investimenti esteri.
Infine fra gli elementi di criticità vanno menzionati corruzione e clientelismo, due mali quasi inevitabili per un’economia in via di sviluppo nella quale si comincia però ad intravedere un mercato interno interessante visto e considerato che i bengalesi sono, complessivamente, quasi 170 milioni. In definitiva il Bangladesh pur restando un Paese prevalentemente povero (circa ¼ della popolazione versa in condizioni di povertà assoluta), sovrappopolato ed a forte trazione agricola rappresenta una meta vantaggiosa per gli investitori esteri a caccia d’opportunità, specialmente per chi ha interesse ad investire nella trasformazione in loco di materie prime.
Rapporti con l’Italia
I rapporti fra Bangladesh ed Italia vanno ben al di là del mero aspetto commerciale che comunque è segnalato in forte crescita con un export Made in Italy che, nel 2017, ha raggiunto quota 727 milioni di euro, in aumento del 43,2% rispetto all’anno precedente.
Infatti nel Belpaese vive una folta comunità bengalese pari a 131.967 persone (dati aggiornati al 1 gennaio 2018) la maggior parte dei quali si concentra in tre regioni italiane – Lazio (27,7%), Lombardia (15,7%) e Veneto (12,2%) – e, solo nella capitale, stando ai dati diffusi dall’Osservatorio della Camera di Commercio di Roma, si contano quasi 13mila imprese individuali registrate a nome di cittadini bengalesi.
Inoltre secondo Sace l’interscambio fra Roma e Dacca (già oggi superiore ai 2 miliardi di euro) è destinato a crescere ancora nei prossimi anni con l’export italiano che nel 2020 dovrebbe raggiungere quota 1 miliardo di euro.
Fra i prodotti maggiormente esportati spiccano quelli della meccanica strumentale che rappresentano i 2/3 del totale esportato nel Paese situato nell’Asia meridionale mentre rimangono su percentuali inferiori al 10% del totale altre categorie merceologiche come apparecchiature elettriche, prodotti chimici, mezzi di trasporto e prodotti d’abbigliamento.
L’interesse delle imprese italiane nei confronti del Paese rimane quindi piuttosto elevato nella speranza che il processo di trasformazione da economia agricola ad industrializzata possa accelerare ulteriormente e che Dacca possa quindi confermarsi come il nuovo polo manifatturiero del continente asiatico.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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