Rifò: l’azienda Made in Italy che rigenera lana, cotone e cashmere

Rifò: l’azienda Made in Italy che rigenera lana, cotone e cashmere

04 Luglio 2018 Categoria: Un'Italia da Export

Con Niccolò Cipriani, founder di Rifò, abbiamo parlato di un brand che promuove una visione di business eticamente sostenibile senza trascurare eleganza, qualità e cura per i dettagli.

Ci racconti brevemente la storia della sua azienda…

Rifò nasce dalla mia recente esperienza di lavoro in Vietnam, dove ho realizzato con i miei occhi il problema della sovrapproduzione che grava sul settore dell’abbigliamento. Le strade di Hanoi sono piene di negozi dal nome “Made in Vietnam” che vendono capi di abbigliamento prodotti in Vietnam, esportati in Occidente ma rimasti invenduti e poi rispediti di nuovo in Vietnam per non abbassare i prezzi del mercato occidentale. Spesso gli indumenti invenduti vengono addirittura gettati in discariche o inceneritori. Nell’industria tessile, dunque, si produce molto di più di quanto venga consumato. Una volta appreso tutto questo, mi è venuto in mente di riprendere una tradizione della mia città, Prato, ovvero quella del rigenerare tessuti, utilizzando i vestiti che vengono buttati via per rifarci un nuovo filato.

Quali sono gli elementi e le condizioni che ne hanno decretato il successo sul mercato attuale?

Sicuramente il fatto che commercializziamo un prodotto di qualità, sostenibile (perché fatto con fibre tessili rigenerate) e Made in Italy.

In questi anni di crisi, quanto la ricerca del successo sui mercati internazionali è stata una scelta e quanto una necessità?

Per noi è stata una scelta, volevamo sin da subito creare un prodotto che fosse esportabile in altri mercati già maturi per quanto riguarda la green economy e la circular economy.

Quale metodologia di ingresso ha adottato per fare business all’estero ed in quali mercati siete oggi presenti?

Abbiamo utilizzato lo strumento del crowdfunding per capire quali paesi potevano essere più propensi verso i nostri prodotti e da lì abbiamo capito che nazioni come la Germania, la Francia e il Canada potevano essere ottimi mercati da cui partire. Online vendiamo principalmente nei Paesi sopramenzionati ma vorremmo rafforzare la nostra presenza offline già dal prossimo inverno trovando dei distributori.

Qual è il “peso” delle attività internazionali oggi sul suo business?

Del nostro fatturato al momento il 20% viene dall’estero, ci piacerebbe portarlo al 50% nei prossimi 3 anni.

Com’è il rapporto con la burocrazia all’estero e, più in generale, quali sono state le principali difficoltà riscontrate?

Le principali difficoltà riscontrate sono state con le dogane in Canada: ci sembra assurdo che ci siano ancora, in alcuni Paesi, dazi su specifiche categorie di prodotti. Questo purtroppo limita molto le nostre attività.

Quali sono i vostri piani futuri di sviluppo? Avete già in mente nuovi mercati da conquistare?

Ci piacerebbe rafforzare la nostra presenza in Nord Europa, principalmente Olanda, Danimarca e Svezia. Pensiamo che siano mercati interessanti per la nostra collezione di abbigliamento.

Quale consiglio si sente di dare agli imprenditori che intendono affacciarsi nello stesso contesto estero?

Prima di muovere qualsiasi passo offline, il modo più semplice è testare quel mercato online utilizzando le inserzioni sponsorizzate sui social media oppure qualsiasi altro strumento del web che è sicuramente meno oneroso di qualsiasi attività offline.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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