Con Fabrizio Doremi Ceo e Co-founder di Foodiestrip abbiamo parlato della nascita di quest’app che si propone di fornire ai foodies un’informazione credibile sia perché combatte le recensioni false utilizzando la geolocalizzazione degli smartphone sia perché l’esperienza soggettiva è mediata dall’oggettività dei questionari proposti.
Da dove nasce l’idea di Foodiestrip?
L’idea di creare un’app che combattesse le false recensioni è nata anni fa quando curavamo l’ambito digitale di una delle maggiori guide culinarie italiane e del mondo. Ci chiedemmo perché le piattaforme di review non avessero ancora implementato un sistema per combattere il fake e proponemmo alla proprietà della guida di cui eravamo collaboratori di supportare un progetto digitale che potenziasse l’autorevolezza della pubblicazione cartacea con le possibilità di internet. Da qui è nata Foodiestrip che propone due novità decisive in materia di recensioni: un check-in brevettato ed una nuova forma di lasciare il proprio feedback. In primo luogo il check-in nega la possibilità di recensire senza essere stato fisicamente e a lungo nel locale: il cliente viene geolocalizzato ed attiva il check-in, la cui durata è basata sulla categoria del locale (in un bar si rimane 2 minuti per un caffè, in un ristorante anche ore). Nelle altre piattaforme, i bar di quartiere concorrono con i ristoranti gourmet per laurearsi “migliori ristoranti della città di…”. Ciò dà vita ad un meccanismo che crea false recensioni (sono il 35% secondo una ricerca del governo francese) ed attiva una compravendita di review. Foodiestrip operando attraverso il machine learning “impara” dalle risposte che l’utente fornisce ai questionari sottoposti: l’user ha poco spazio per scrivere dovendo rispondere ad un formulario a risposta chiusa, che valuta l’attività nel merito (servizio, menu, location, rapporto qualità/prezzo). I ristoratori quindi non dovranno subire l’arbitrarietà di chi commenta tutto tranne che l’esperienza vissuta ed anzi potranno usufruire di tutti i dati che l’app accumula tramite gli spostamenti fisici della community (in linea con il GDPR).
Da chi è composto il vostro team e quali sono le competenze più importanti per lo sviluppo e la crescita della vostra idea imprenditoriale?
Il nostro team è composto da 13 persone, tra cui i 3 co-founder: io sono il Ceo, il Coo è Alessio Poliandri ed il Senior Developer è Alessandro Capretti. Con noi collaborano altre 12 persone, di cui 4 programmatori ed un webmaster. Tony Ciarrocchi, Claudio Saluti e Alessandro Leoni, tutti tra i 24 e i 25 anni, sono informatici laureati all’Unicam, Università di Camerino, con la quale Foodiestrip ha stretto un cordiale rapporto di collaborazione. Al settore sviluppo appartiene anche Giuliano Alberto (oltre ad Alessandro Capretti, responsabile del gruppo), webmaster della web app e del blog di Foodiestrip. L’ufficio marketing, invece, è composto da Ambra del Moro, laureata in Lingue Straniere e responsabile del prodotto e della Community Foodie, nonché ex marketing officer in Disney; Lucia Napoleone, linguista ed esperta in localizzazione (processo che adatta e rende maggiormente fruibile un prodotto nel paese estero di destinazione); Barbara Ficetola, web designer laureata in Storia dell’Arte; Pierluigi Capriotti, architetto, pubblicista e content strategist. Infine nell’amministrazione e nelle PR, invece, operano Daniela Sebastiani e Nikita Giobbi.
Quali sono le principali difficoltà che una startup incontra nel mercato italiano?
Il primo vero ostacolo è come sempre, di ordine economico. Essere finanziati in Italia è ben più complesso che all’estero dove si investe nel digitale senza particolari remore (in certi casi, ciò ha creato delle vere e proprie bolle). Dopo aver tenuto elevator pitch a Bruxelles e New York, siamo riusciti a trovare un finanziatore proprio qua in Italia. Mentre la pubblica amministrazione ha spesso le mani legate a causa di un’eccessiva burocratizzazione, abbiamo trovato appoggio da parte di enti e associazioni, in particolar modo dalla Cna, dalle Confcommercio e dalla Fipe.
Quali mercati internazionali pensate siano più attrattivi per il vostro business e quali quelli dove trovare più facilmente investitori o finanziamenti?
Come si diceva sopra, i mercati internazionali e in particolare quelli dei Paesi anglofoni sono ben più attenti e intraprendenti nei confronti delle startup. Purtroppo, le bolle createsi e che esplodono regolarmente hanno reso più prudenti gli investitori come è giusto che sia. Nelle nostre esperienze all’estero, però, abbiamo registrato un interesse crescente, nonostante il nostro periodo americano sia durato il tempo di un pitch (d’altronde, avevamo già attirato capitali in Italia). Per quanto riguarda Foodiestrip, invece, la nostra Lucia Napoleone è stata assunta proprio per declinare l’app a seconda delle necessità di Paesi come USA, Inghilterra e Francia. A questi tre Paesi aggiungeremo la Germania. Tutte e quattro sono nazioni nelle quali il tema “fake” è molto sentito. Inoltre, l’Italia rappresenta un’eccellenza culinaria. In più, Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti (ed anche il Canada) sono i primi Paesi per sviluppo del turismo esperienziale, che rappresenta un modo nuovo di conoscere le bellezze di un territorio. Un territorio che con le sue specialità culinarie tipiche (custodite in food truck, osterie e ristoranti che spesso sono fuori da itinerari turistici mainstream) non appare nelle classifiche di Yelp, Zomato o Tripadvisor. Ecco Foodiestrip vuole proporre questo nuovo modo di condividere esperienze culinarie per mezzo di un’app/guida autorevole, certificata e che offre anche una parte social.
Partecipare a programmi di supporto e tutoraggio offerti da incubatori ed acceleratori italiani genera un’utilità ed un vantaggio competitivo per una startup?
A noi non è capitato di usufruire di incubatori. Abbiamo partecipato e siamo giunti in finale di contest come il Premio Cambiamenti o la Startup Competition di Rimini e siamo stati invitati anche all’Hackathon riminese. Probabilmente i round finanziari ottenuti ci hanno permesso di bypassare queste esperienze.
Quale consiglio dareste ai giovani startupper che intendono sviluppare una propria idea in Italia?
Gli diremmo di non credere al mito dell’app che nasce nel garage di casa. Un’idea, anche geniale, va sviluppata e fortemente pubblicizzata. In questo, tutor e incubatori possono essere importanti. Poi, però, serve trovare finanziatori.
Obiettivi per il futuro…
L’obiettivo è quello di ampliare la community, che già conta 7000 utenti e sta crescendo ad una media di circa 200 iscrizioni al giorno. In più, avvieremo a breve i servizi a pagamento, che consistono nella generazione automatica di un sito per i locali iscritti alla piattaforma, nonché nella vendita di dati approfonditi come quelli comparativi (quelli che comparano un’attività all’altra), e qualitativi (le statistiche che emergono dalle risposte ai questionari, in base alle quali si può sapere di tutto, da quanto è bilanciato il condimento nel menu a quanto è comodo il packaging di uno street food). Subito dopo aver allargato la base nazionale, procederemo con il lancio all’estero, per il quale ci stiamo già preparando.
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo,redazione@exportiamo.it
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