on Osvaldo De Falco, cofounder e Ceo di Biorfarm, abbiamo parlato della startup calabrese che permette agli utenti di adottare alberi e riceverne i frutti direttamente a casa.
Da dove nasce l’idea di Biorfarm?
Immaginiamo di poter coltivare il nostro cibo in modo biologico ovunque ci troviamo, per gustare ciò che conosciamo e di cui siamo sicuri, proprio come fa un agricoltore. Con Biorfarm facciamo in modo che chiunque possa farlo! Siamo un social-marketplace che mette in contatto diretto chi produce il cibo in modo sostenibile con chi lo porta a tavola. Con qualsiasi dispositivo, accedendo a Biorfarm è possibile adottare diversi tipi di alberi in base ai propri gusti, creando un proprio campo digitale, ottenere informazioni in tempo reale sullo stato degli alberi tramite foto e video condivisi dagli agricoltori locali e ricevere i prodotti biologici direttamente a casa, secondo la quantità e la frequenza che si preferisce. L’idea, come spesso accade, nasce da un problema. Non riuscivo ad accettare che mio padre, agricoltore locale in Calabria, vendesse clementine bio a 0,20€ al kilo e che in corso Genova a Milano il fruttivendolo, in una delle tante “gioiellerie della frutta”, le vendesse a 3,90€/kg. Allo stesso tempo, mi rendevo conto che sempre più persone preferivano acquistare direttamente dai contadini, come dimostravano indagini di mercato che spiegavano come sempre più persone in Italia preferivano rivolgersi direttamente al produttore per gli acquisti di frutta e verdura sia per ragioni di qualità che per ragioni etiche.
Da chi è composto il vostro team e quali sono le competenze più importanti per lo sviluppo e la crescita della vostra idea imprenditoriale?
Se dovessi definire le 3 competenze fondamentali per il nostro business, sintetizzerei con Marketing, IT, Operations. Nel dettaglio poi, ognuno di noi è indispensabile per la buona riuscita del business, non solo con capacità e competenze professionali ma soprattutto riponendo fiducia in una visione comune. Il nostro è un team giovane, con le giuste skill, dislocato su più città ma unito da un’unica visione. Io ho un background economico e finanziario con esperienza in società tech multinazionali, lavorando dapprima nel dipartimento finanziario e in seguito in quello commerciale. Negli ultimi 3 anni prima di tuffarmi in Biorfarm, ho lavorato nella azienda agricola di famiglia, appassionandomi all’agricoltura biologica. Sono stato coinvolto, per due anni consecutivi, all’interno del programma di Google “Growth engine for Europe”, acquisendo competenze fondamentali nel settore digitale. Tutte esperienze che combinate tra loro mi aiutano ad avere una comprensione a 360° del business.
Il cofondatore di Biofarm, Giuseppe Cannavale, dopo la laurea in Economia ha sempre lavorato nel settore della consulenza strategica per importanti società internazionali. Ha trascorso gli anni iniziali della sua carriera professionale, supportando società italiane ed europee nella corretta gestione degli appalti e dei progetti di outsourcing in IT e Telco Industries, in gran parte volti a migliorare le prestazioni organizzative e di costo, raggiungendo diversi milioni di risparmi per i clienti per cui ha lavorato. Durante gli ultimi 3 anni, ha lavorato a supporto di importanti aziende multinazionali nella progettazione, implementazione di nuovi modelli logistici. Grazie alle sue competenze professionali e alle propensioni personali, Giuseppe è la persona ideale per gestire l’operatività del business, implementando i modelli gestionali appresi e perfezionati durante gli anni di consulenza ai più alti livelli aziendali.
Quali sono le principali difficoltà che una startup incontra nel mercato italiano?
Senza pensarci troppo è tutto riconducibile alla mancanza di capitali, umani ed economici e ad un sistema pubblico che non incentiva nel modo giusto la nascita e la contaminazione di business innovativi. La mancanza di capitale umano, problema diffuso non solo tra le startup, penso sia dovuta alla scarsa propensione dei lavoratori italiani al rischio. Siamo figli di una cultura del lavoro del “posto fisso”, rappresentata dal lavoratore con uno stipendio medio, in cerca di una pensione futura, che lo faccia sentire “sicuro”. Non capiamo che il mondo sta cambiando, anzi è già cambiato, e noi dovremmo essere più rapidi e propensi a rischiare, mettendo in gioco noi stessi e le nostre competenze, cercando di evolvere dallo stato di pensiero in cui ci hanno incubato la generazione dei nostri genitori. Questo rappresenta una seria difficoltà per le startup italiane in aggiunta alla frequente impossibilità di competere con gli stipendi offerti da aziende importanti.
La seconda difficoltà è dovuta al fatto che in Italia non girano sufficienti soldi sull’innovazione: nel Belpaese i Venture Capital hanno mosso negli ultimi 5 anni appena 600 milioni di euro contro i 19 miliardi del Regno Unito.
Inoltre mi sono reso conto che in Italia le risorse e gli investitori ci sono, ma preferiscono investire i loro capitali in startup estere, e il motivo è presto detto. I business Angel e i VC sono consapevoli di quanto sia difficile fare impresa in Italia, a causa di un sistema normativo e fiscale penalizzante per chi avvia una nuova attività. Un ragazzo che vuole fare impresa in Italia farebbe prima ad andare nel Regno Unito, studiare una settimana la normativa ed aprire una società con 60 sterline. Nel nostro Paese, nel momento in cui decidi di intraprendere una nuova attività, ti ritrovi ad affrontare Inps, commercialista, notaio e adempimenti normativi vari, con spese proibitive per chi non ha le “spalle coperte”. Se ci uniamo anche la difficoltà nel chiudere un’attività in Italia, dovuta a norme vecchie e al perenne rischio di ritrovarsi perseguiti da fisco&co, ecco spiegato io motivo che fa fuggire i cervelli nel business. Il nostro sistema crea delle startup-zombie, che non riescono a crescere ma neanche a morire. In un contesto sfavorevole, le poche startup che emergono, nascono già con un deficit rispetto alle concorrenti europee, e questo va a svantaggio dell’intero sistema economico.
Quali mercati internazionali pensate siano più attrattivi per il vostro business e quali quelli dove trovare più facilmente investitori o finanziamenti?
Pensiamo che il mercato europeo sia il più adatto per la nostra soluzione, ma non escludiamo la possibilità, di testare l’ingresso in altre aree in futuro. Esistono alcune realtà che, dall’India al Giappone, hanno un modello di business molto simile, a tratti uguale al nostro.
Il prossimo step, in termini di espansione, è l’avvio di un progetto pilota in un Paese Europeo (in fase di valutazione ci sono Germania e Spagna). Lo sviluppo al di fuori dei confini nazionali verrà pianificato entro il 2019 per estendere le opportunità di nuove collaborazioni con agricoltori locali e imprese commerciali all’estero. In una prima fase prevediamo di mantenere la rete di agricoltori locali in Italia, capendo se la soluzione ha appeal per i consumatori di altro Paese. Successivamente puntiamo a trovare agricoltori locali anche nei Paesi in cui ci attiviamo. L’obiettivo è standardizzare il processo in maniera tale da rendere veloce e immediata l’apertura in altre nazioni, partendo dallo studio del mercato e della tipologia di consumatore. E in questa direzione vanno anche il lavoro di perfezionamento della piattaforma web e l’implementazione un’App che facilitino l’interazione tra produttore e consumatore e migliorino la user experience dal punto di vista digitale.
Partecipare a programmi di supporto e tutoraggio offerti da incubatori ed acceleratori italiani genera un’utilità ed un vantaggio competitivo per una startup?
Assolutamente si, soprattutto se come è successo nel nostro caso, questa opportunità viene concessa alla start up nelle sue prime fasi di vita dove le mancanze da un punto di vista economico, anche se piccole ed esigue, rappresentano spesso ostacoli insormontabili. Certo è che ci sarebbe da distinguere reali contesti di accelerazione ed incubazione, da attori dalle discutibili competenze che si vendono come tali, elemento che spesso rovina l’immagine dell’intero ecosistema. Ad ogni modo, siamo sempre più felici di notare come sia sempre maggiore la presenza di questo tipo di realtà come ad esempio H Farm, pronte a sostenere nelle prime fasi giovani e meno giovani con idee potenzialmente valide e di successo.
Quale consiglio daresti ai giovani startupper che intendono sviluppare una propria idea in Italia?
Sono tre i consigli che sempre più spesso condividiamo con chi, come noi, sta cercando di trasformare la propria idea in un’azienda di successo.
Il primo consiglio, quello più importante, è quello di crederci. Bisogna farlo con convinzione e costanza senza fermarsi o abbattersi al primo ostacolo. Troppe volte abbiamo sentito colleghi o amici con buone idee, arrendersi davanti a problemi solo apparentemente molto complessi. La resilienza, senza eccessi ovviamente, rimane per noi una fondamentale caratteristica di successo.
Il secondo consiglio riguarda il frequentare gli ambienti “giusti”. E per giusti non intendiamo quelli in grado di creare scorciatoie il più delle volte illecite. Ci riferiamo sempre a contesti in grado di stimolare il team a far sempre meglio, accrescere le proprie conseguenze ed inconsciamente allargare il proprio network. Quando si parla d’innovazione e start up, il più delle volte non si posseggono tutte le competenze necessarie e per ovviare a questo limite un buon network è fondamentale.
Terzo consiglio è quello di testare la propria idea. Interviste, richieste di opinioni ed il lancio di un prodotto, anche se non completamente pronto e lontano dalla perfezione, possono aiutare ad evitare investimenti forse precoci, caratterizzati dall’alto rischio di fallimento perché finalizzati alla realizzazione di soluzioni che risultano appetibili per chi le sta realizzando ma non al mercato destinatario del prodotto o del servizio.
Obiettivi per il futuro…
Abbiamo chiuso da soli due mesi una campagna di crowdfunding che ha riscosso molto successo, dandoci la possibilità di aumentare la visibilità e reperire le risorse necessarie per crescere. Quest’anno sarà ricco di novità. In primis, allargheremo la famiglia con 30 nuovi agricoltori locali e faremo un test inserendo anche gli ortaggi. Quindi, gli utenti potranno non solo crearsi un campo digitale adottando gli alberi da cui ricevere i frutti freschi bio, ma anche adottare un orto e scegliere cosa farci coltivare per poi ricevere settimanalmente la propria verdura di stagione, sana, genuina e fresca di campagna!
Stiamo poi lavorando per migliorare l’interazione con gli agricoltori, con una user experience tutta nuova ed, entro la fine dell’anno, il lancio di una App. Infine, ma non per importanza, stiamo sviluppando il canale B2B. Abbiamo riscontrato molto interesse da parte di diverse aziende che iniziano a sceglierci perché, creando un campo aziendale possono regalare gli alberi a clienti, dipendenti o fornitori, che oltre a ricevere un dono o benefit gradito, come la frutta fresca e la verdura di campagna, vivono una esperienza unica a contatto con gli agricoltori grazie all’azienda. Inoltre, in ottica di CSR e Green Marketing, adottando gli alberi come dono possiamo a comunicare l’impegno dell’azienda nel sociale e nella sostenibilità ambientale. Infatti, oltre a dimostrare quanti piccoli agricoltori locali si stanno supportando, siamo in grado di attestare l’impatto ambientale, in termini di CO2 assorbita per ogni albero adottato e coltivato con metodi biologici, grazie ad una partnership con ReteClima, spin off dell’università Bicocca di Milano. Insomma, nel 2018 ci saranno tante novità ed il nostro sogno di una grande azienda agricola condivisa è sempre più realtà!
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it
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