Nonostante la Brexit il mercato inglese rimane importantissimo per le aziende del Belpaese che continuani a fare business a Londra e dintorni.
Da quasi un anno e mezzo gli occhi di mezzo mondo sono puntati sulla Gran Bretagna e sulle evoluzioni di quello che è stato considerato come uno degli eventi più scioccanti per l’economia globale del nuovo millennio, la Brexit.
I negoziati con l’Unione Europea, che dovranno definire le modalità di separazione fra Londra e Bruxelles, appaiono ancora in alto mare e gli indicatori economici che descrivono lo stato di salute dell’economia britannica sono contrastanti.
Da un lato si registra una preoccupazione diffusa ma, ad oggi, l’economia nazionale non sembra aver subito quel tracollo che molti economisti avevano previsto.
Anche perché, come è noto, i veri effetti si avranno a partire dal 2019, quando termineranno i negoziati ufficiali sull’uscita e si capirà finalmente quali saranno le effettive conseguenze commerciali sull’economia nazionale.
O meglio dal 2021 perché la May ha recentemente annunciato il suo via libera ad una fase di transizione di due anni a partire dal marzo 2019 (quando finirà il negoziato sulla Brexit), lasciando di fatto tutto così com’è fino a tale data e dando più tempo a tutti per continuare a trattare.
Fino ad allora la Gran Bretagna resterà membro dell’Unione europea, anche se non parteciperà più al processo decisionale, continuando però a pagare la propria parte di obblighi finanziari nel budget della Ue.
Certo è che se dovesse prevalere un’ipotesi di hard Brexit e dunque l’uscita di Londra dal mercato unico, l’impatto in termini economici ed occupazionali potrebbe essere molto più consistente rispetto alla cosiddetta soft Brexit, che lascerebbe invece Londra all’interno dell’unione doganale.
Detto ciò uno degli effetti più evidenti in questi primi 17 mesi post referendum è certamente il deprezzamento della sterlina con il cambio euro/sterlina che da 0,76 è ormai arrivato intorno a 0,90.
In questo modo l’export britannico è diventato più competitivo ma la bilancia commerciale di Londra ha subito un peggioramento poiché la Gran Bretagna è un importatore netto e dunque ad un aumento delle vendite all’estero è corrisposto un ancor più corposo incremento degli acquisti dall’estero.
Il PIL inglese comunque non ha per il momento accusato il colpo e nel 2016 è risultato addirittura il migliore fra i Paesi appartenenti al G7 (+1,8%) ma, come anticipato, i tempi non sono ancora maturi per poter esprimere un giudizio compiuto.
È quindi complicato prevedere oggi cosa succederà all’economia britannica una volta uscita dall’Ue e lo stesso governo inglese non ha ancora reso pubblica una sua analisi sul possibile impatto economico della Brexit ma a settembre Moody’s ha declassato il rating dell’economia inglese da Aa1 ad Aa2.
Detto ciò fondamentali dell’economia britannica restano solidi: il tasso di disoccupazione ha toccato il 4,3%, il minimo storico dal 1975.
La crescita del PIL per il 2017 dovrebbe attestarsi intorno all’1,7% ed il Regno Unito si è confermato il primo mercato UE per investimenti esteri diretti, con un incremento del 2% nel periodo post referendum rispetto all’anno precedente ed oltre 2.200 nuovi progetti di investimento da tutto il mondo.
D’altronde da sempre Londra rappresenta uno dei Paesi al mondo con maggiore appeal per gli investitori internazionali per una serie di ragioni fra cui: semplificazioni burocratiche e fiscali per gli investitori, facilitazioni nell’accesso al credito, mercato del lavoro flessibile e sistema giudiziario affidabile ed efficiente.
Rapporti con l’Italia
Italia e Gran Bretagna intrattengono relazioni commerciali ben strutturate con un interscambio che nel 2016 si è attestato su circa 33,5 miliardi di euro, di cui ben 23 miliardi sono stati vendite di prodotti Made in Italy nel Paese.
Inoltre anche per il 2017 (dati parziali) si evidenzia un’accelerazione dell’export italiano nel Regno Unito pari al 2,8% nel periodo compreso fra gennaio e luglio, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Fra le categorie merceologiche italiane maggiormente apprezzate dai cittadini inglesi meccanica strumentale, mezzi di trasporto, prodotti farmaceutici, tessile e prodotti del food&beverage.
Londra rimane quindi il quarto mercato di destinazione dell’export italiano che, nonostante la Brexit, è previsto in crescita del 2,75% da qui al 2020.
Inoltre la grande stratificazione sociale della popolazione britannica rende il mercato ricettivo per prodotti appartenenti a tutti i segmenti, da quello dell’esclusività e del lusso a quello dei beni di consumo di massa.
Il Belpaese ha quindi tutto l’interesse affinché le relazioni fra Roma e Londra rimangano salde e fruttuose nel medio-lungo periodo e deve quindi, nei limiti del possibile, caldeggiare anche in Europa una Brexit che sia il più soft possibile.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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