Islanda, come se la passa la piccola isola progressista?

Islanda, come se la passa la piccola isola progressista?

18 Settembre 2017 Categoria: Focus Paese Paese:  Islanda

L’economia islandese dopo aver vissuto anni nerissimi fatti di grandi sacrifici (2008-2011) sembra aver rialzato la testa. Ma la ripresa è davvero così solida?

L’Islanda è un Paese che conta su appena 340mila abitanti (una cifra addirittura inferiore alla popolazione complessiva di una città come Firenze) ed è il quinto Stato meno popoloso a livello europeo con una densità di 3 abitanti per chilometro quadrato.

Una piccola realtà dunque che ha però attraversato, a partire dal 2008, una crisi profondissima paragonabile per gravità a quella che travolto la Grecia. La crisi scaturì dal fallimento di tre grandi banche private che avevano contratto ben 85 miliardi di dollari di debiti, una cifra immensa per uno Stato che oggi realizza un PIL annuo fra i 16 ed i 17 miliardi di dollari.

L’esecutivo islandese decise spostare i soldi dei cittadini islandesi in due banche “sane” e si fece carico dei debiti banche private. In questo modo, immediatamente, il debito pubblico nazionale esplose (+80%) provocando un crollo della corona islandese e precipitando il Paese in una terribile recessione.

Solo attraverso alcune misure assai severe come il blocco dei “disinvestimenti”, il sensibile aumento delle tasse (IVA salì al 25,5 per cento e diventò la più alta al mondo) e l’abbassamento dei salari l’Islanda è riuscita lentamente a rimettersi in sesto e nel 2011 il PIL è tornato a crescere.

Ma oggi in che condizioni versa la piccola isola nordeuropea?

Se si guarda ai dati economici degli ultimi anni non ci sono dubbi: la crisi sembra assolutamente superata.

Nel 2016 infatti il PIL nazionale è cresciuto del 7,2% e la disoccupazione è scesa al 2,7%. Ma non è tutto oro quel che luccica ed infatti più di un esperto continua a nutrire più di un dubbio su ciò che sta accadendo all’economia islandese senza dimenticare che le conseguenze sociali ci sono state ed i cittadini si sono ritrovati a dover fare ben più di un sacrificio.

All’inizio dell’anno infatti si era diffusa fra operatori pubblici, privati ed istituzioni la paura che il Paese potesse precipitare in un’altra crisi finanziaria a tal punto che il FMI ha lanciato l’allarme sul possibile “surriscaldamento dell’economia del Paese”.

Oggi la crescita economica di Reykjavík sembra inarrestabile con salari e settore immobiliare che crescono a doppia cifra mentre anche la moneta locale continua un percorso di forte apprezzamento.

I timori più consistenti riguardano gli effetti che potrebbero innescarsi sul settore turistico - che ha rappresentato senza dubbio uno dei canali più importanti per la ripresa islandese - che sarebbe danneggiato da un ulteriore apprezzamento della valuta. In particolare potrebbe risentirne il turismo britannico dopo che la sterlina, in seguito alla Brexit, ha imboccato una parabola discendente.

Inoltre la dinamica del tasso di cambio sta colpendo anche l’industria ittica che esporta circa il 75% della propria produzione nel Vecchio Continente anche se, d’altro canto, una corona forte favorisce i consumatori locali rendendo le importazioni più convenienti.

A livello politico e sociale l’Islanda rimane un Paese fortemente progressista a tal punto che a marzo scorso il governo ha approvato una legge che obbliga tutti i datori di lavoro privati e pubblici a dimostrare che donne e uomini ricevono la stessa retribuzione a parità di qualifica.

Il Paese in effetti è ormai da tempo ai vertici dei ranking della gender equality e già nel 1980 elesse a capo dello Stato Vigdis Finnbogadottir, prima donna al mondo a essere eletta democraticamente presidente della Repubblica. La Finnbogadottir, attualmente ambasciatrice dell’UNESCO, rimase in carica per ben 16 anni consecutivi guadagnandosi la rielezione in tre occasioni (1984, 1988, 1992).

Non deve quindi sorprendere che in Islanda l’ottanta per cento delle donne lavora e le casalinghe rappresentano solo una piccola minoranza.

Infine si sottolinea che anche quest’anno l’Islanda è risultato essere il Paese più pacifico del mondo (l’Italia è al 38esimo posto) secondo il Global Peace Index, progetto dell’Istituto per l’Economia e la Pace, che prende in analisi 162 nazioni e le classifica in base a quanto vivono in pace prendendo in esame ben 23 indicatori fra cui criminalità, corruzione, conflitti sociali ed importazioni di armi.

Rapporti con l’Italia

L’interscambio commerciale fra Roma e Reykjavík nel 2016 ha raggiunto i 245 milioni di euro con un forte incremento dell’export Made in Italy (+8,8%) ed una forte riduzione dell’import di prodotti islandesi in Italia (-32,5%).

In Islanda esportiamo soprattutto metalli e prodotti della meccanica strumentale e fra i settori più interessanti dove investire si segnalano:

- ICT, comparto per il quale si riscontra una buona presenza di forza lavoro qualificata ed orientata all’innovazione ed un livello di tassazione assolutamente vantaggioso;

- Turismo, ritenuto un asset fondamentale per lo sviluppo locale e uno dei veri motori dell’economia islandese.

Infine da rilevare che quasi la totalità dei consumi energetici del Paese è coperto da fonti rinnovabili e per questo i prezzi dell’energia per le aziende che si stabiliscono sul territorio islandese sono estremamente competitivi, un motivo in più per riflettere sulle opportunità offerte da questa piccola ed affascinante isola.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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