Romania, un mercato dal potenziale inespresso

Romania, un mercato dal potenziale inespresso

15 Maggio 2017 Categoria: Focus Paese Paese:  Romania

Dopo la devastante dittatura di Ceausescu la Romania ha avviato un importante processo di trasformazione economica che ha portato il Paese ad una crescita positiva ma poco equilibrata. Oggi il Paese rimane afflitto da una serie di problematiche come corruzione, bassi salari e scarsa produttività e per questo l’export di prodotti italiani di fascia medio-alta è, al momento, molto limitato.

La Romania è un Paese dal grande potenziale inespresso fustigato da decenni di gestione centralizzata sotto il regime comunista e da una governance amministrativa ed economica mediocre intervenuta dopo il crollo del blocco sovietico. La pianificazione economica staliniana di Ceausescu ha infatti praticamente annichilito la produttività industriale ed agricola, incidendo negativamente sulla redistribuzione di ricchezza e sulla formazione di capitale (al punto che le penurie, anche di beni di prima necessità, erano abbastanza comuni).

Il disastro economico lasciato da Ceausescu ha per ovvi motivi reso difficile l’avvio della transizione verso un’economia di mercato nei primi anni ’90; situazione aggravata dall’incapacità dei governi successivi di sostituire il vecchio modello dirigista con uno capace di rendere efficiente la macchina industriale del Paese. L’insieme di questi fattori, unita a modalità approssimative di dismissione del patrimonio pubblico industriale, hanno provocato dopo la caduta del Muro un pesante crollo della produzione industriale e del PIL, che fra il 1989 ed il 1992 si è quasi dimezzato, passando da 42 a 25 miliardi di dollari.

La Romania si è poi in parte ripresa grazie all’avvicinamento all’Europa Occidentale, avvenuto con la firma dell’Accordo di Associazione del 1992 prima e con l’ingresso nell’Unione nel 2007. Il conseguente aumento degli scambi con i Paesi dell’Unione (principalmente Germania ed Italia) e la transizione verso un’economia di mercato hanno infatti inaugurato una breve ma intensa stagione di crescita. Fra il 2000 ed il 2008 il PIL è cresciuto in media del 6,5%, mentre il RNL pro capite è passato da 1.720 a 8.630$. Nello stesso periodo sono aumentate le esportazioni, in particolare quelle del settore minerario (la Romania è ricchissima di risorse minerarie ed esporta sopratutto semilavorati in ferro), tessile (in particolare maglieria), meccanica ed automotive (in entrambe i casi sia componentistica che macchine).

La ricchezza generata dalla transizione verso un’economia di mercato però non si è diffusa in maniera equilibrata. Molti indicatori di progresso socio-economico mostrano infatti come la Romania sia sotto molti aspetti ancora indietro rispetto ai Paesi del “centro” dell’Unione. L’indice Eurostat Inequality of income distribution indica che nel 2015 (ultimo anno per cui ci sono misurazioni disponibili) la Romania ha il più alto tasso di ineguaglianza reddituale nell’UE (8.3, contro una media EU28 di 5.2). Il tasso di frequenza nella scuola primaria è in calo dal 2004 e la situazione si è aggravata in seguito alla crisi del 2008, determinando una diminuzione inesorabile del numero di persone in possesso di un titolo di studio secondario o universitario. Ne consegue un livello generalmente basso di produttività, che ha portato alla specializzazione del Paese nella produzione di beni e servizi a basso valore aggiunto come agricoltura ed industria pesante.

Per dare una misura del fenomeno, uno studio dell’EESC ha calcolato come la Romania aggiunga solo 0,21 centesimi di valore aggiunto ad ogni kg di “bene” prodotto rispetto alla media europea di 1,58 euro. L’adozione di misure anticicliche durante la crisi del 2008 hanno fatto perdere terreno alla già fragile economia nazionale (PIL -7,1% nel 2009) ma la successiva ripresa economica dei principali partner commerciali europei e l’adozione, seppure tardiva, di misure procicliche (aumento dei salari nelle PPAA, riduzione dell’IVA) hanno stimolato i tassi di crescita del PIL portandoli al 4,7% nel 2016, superiori a quelli di quasi tutti gli altri Paesi UE.

Ma la Romania conviene?

Per valutare l’attrattività della Romania dal punto di vista commerciale bisogna soppesare diversi elementi. Innanzitutto, la Romania vanta un costo del lavoro decisamente basso con un salario medio di 515 euro, di molto sotto la media dei Paesi EU 15 (2000 euro). Inoltre va notata la bassa pressione fiscale, che è pari al 28% del PIL a fronte di una media EU 15 del 40%. Il fatto poi di essere membro dell’Unione Europea comporta l’ovvio vantaggio della partecipazione al Mercato Unico con tutto ciò che ne consegue in termini di abbattimento degli ostacoli commerciali, ancorché l’ingresso nell’euro e nell’area Schengen non sia previsto prima del 2019. Questo panorama delinea uno scenario favorevole per gli investimenti e le delocalizzazioni, anche se chi decide di spostare parte delle proprie attività nel Paese deve fare i conti con un clima imprenditoriale reso difficile da uno Stato di diritto inefficiente e largamente corrotto e un rischio relativamente alto di mancato pagamento delle controparti private e pubbliche.

Se il livello dei salari abbatte i costi per chi delocalizza/esternalizza, al contrario può rappresentare un ostacolo per chi esporta beni di consumo di fascia medio alta. L’andamento positivo degli ultimi anni del tessile ed alimentare italiani potrebbe indurre a credere il contrario; tuttavia guardando meglio alla composizione di queste due voci di export ci si rende conto che in Romania il Made in Italy consiste principalmente in beni intermedi (tessuti, filati, etichette per il tessile) o prodotti a basso costo (scatolame, pasta, conserve per l’alimentare). Segno che seppure debolissima una domanda per i beni di consumo c’è (grazie anche alle politiche fiscali e monetarie espansive del governo), solo ci sarà da aspettare prima che si rivolga stabilmente a prodotti più costosi.

Da segnalare le possibilità nel campo dell’energia e delle infrastrutture. Nel primo caso vanno sottolineati gli sforzi del Paese in termini di diversificazione energetica, motivati dalla volontà di affrancarsi dalla dipendenza nei confronti degli idrocarburi in particolare russi (di cui la Romania è importatrice netta grazie all’esaurimento di buona parte delle risorse petrolifere sotto Ceausescu). Negli anni questo ha portato alla realizzazione di investimenti importanti nel settore energetico, che rimane dominato dalle imprese di Stato (Termoelectrica, Hidroelectrica, Nuclearelectrica ) e dall’idroelettrico, sebbene ci sia una crescita relativa del nucleare e siano in programma forti investimenti nell’eolico e nel solare (specie con il progetto del Covaci Solar Park, che se realizzato diventerà uno dei parchi solari più grandi del mondo). Nel secondo invece le occasioni scaturiscono principalmente dalla relativa arretratezza delle reti di trasporto interne: la Commissione piazza infatti la Romania all’ultimo posto nell’EU 28 in termini di qualità delle reti stradali, ferroviarie e portuali, generata secondo uno studio della società di consulenza Flanders principalmente dalla scarsa manutenzione e dal conseguente scarso utilizzo da parte del pubblico.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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