Bolivia: grazie alle riforme sta nascendo una classe media

Bolivia: grazie alle riforme sta nascendo una classe media

17 Aprile 2017 Categoria: Focus Paese Paese:  Bolivia

Evo Morales e le sue radicali riforme di stampo socialista hanno portato a risultati economici sorprendenti migliorando le condizioni della Bolivia ed incrementando il potere d’acquisto della popolazione latinoamericana. 

Attraversata dalla Cordigliera delle Ande e chiusa ai confini dall’abbraccio di Brasile, Perù, Cile, Argentina e Paraguay, la Bolivia è una repubblica presidenziale che conta poco più di unidici milioni abitanti, di cui quasi la metà concentrata nei principali tre centri urbani La Paz-El Alto, Cochabamba e Santa Cruz.

L’assenza di sbocchi sul mare unita alla particolare struttura geografica (che rende difficile la creazione di una rete di trasporti capillare) hanno fatto in modo che la Bolivia sviluppasse i suoi rapporti commerciali principalmente con altri Paesi del continente come Brasile, Argentina e Perù e Stati Uniti, anche se crescono sempre più gli interscambi con l’Asia e in particolare con la Cina e Giappone.

L’economia boliviana riposa in larga parte sull’esportazione di materie prime, principalmente risorse del sottosuolo (gas naturale, metalli preziosi, bauxite) ed agricole (soia), molte delle quali prodotte sotto il diretto controllo dello Stato. L’attuale presidente Evo Morales ha infatti inaugurato il suo primo mandato con un insieme di riforme radicali sia sul versante economico che su quello diplomatico e culturale.

Sul piano economico Morales, che ha iniziato la carriera politica come sindacalista rurale (era egli stesso un cocalero), ha attuato delle politiche di stampo apertamente socialista, nazionalizzando (peraltro simbolicamente il 1 maggio) le imprese legate al comparto strategico Oli&Gas e facendo del Paese un vivaio di imprese pubbliche attive nei settori industriali più disparati (minerario, caseario, poste, produzione di sementi, turismo, apicoltura etc: le SOEs boliviane attualmente sono più di 60).

I proventi del settore pubblico, sostenuti dall’alto prezzo delle commodities nel primo decennio degli anni Duemila, hanno permesso a Morales di attuare diverse politiche redistributive volte ad aumentare il reddito delle fasce più deboli della popolazione come anziani, donne e bambini. La mossa ha permesso di migliorare il quadro macroeconomico, facendo calare il tasso di disoccupazione al 3,54% e, pur aumentando il debito pubblico in termini assoluti, ha ridotto il rapporto debito/PIL dall’80,3% del 2005 all’odierno 36% (FMI).

Le ricadute sociali dell’attività del governo sono abbastanza positive: secondo la Banca Mondiale il programma di spesa pubblica ha fatto cadere il tasso di diseguaglianza (la BM calcola che dal 2004 ad oggi il Coefficiente di Gini è calato da 0.6 all’attuale 0.47) ed ha accompagnato il 56% della popolazione nella fascia di reddito della classe media, fatto senza precedenti nella storia del Paese anche se moltissimo resta ancora da fare.

Nonostante il successivo abbassamento dei prezzi delle materie prime che ha pesato sull’attività economica nazionale, il PIL bolivariano è cresciuto nel 2015 del 4,8% e per mantenere dei livelli di crescita stabili il governo ha aggiornato la sua Agenda Patriottica 2025 con il nuovo Plàn de Desarrollo Economico y Social 2016-2020. Si tratta di una sorta di piano quadriennale “mascherato” che mischia pianificazione dall’alto e attrazione degli IDE (anche se va osservato che le nazionalizzazioni hanno scoraggiato gli investitori internazionali), finalizzato al miglioramento delle condizioni economiche ma anche alla realizzazione dell’armonia sociale fra i 38 gruppi linguistici e culturali che abitano lo Stato Plurinazionale.

Morales, che fa parte dell’etnia Aymara, ha infatti impresso alla sua presidenza uno stile molto “indigeno”, orientato verso la valorizzazione delle culture locali nell’ottica di coniugare il carattere collettivista della tradizione boliviana con la modernità del progresso economico. Tale visione, nettamente contrapposta al modello sociale e culturale occidentale, si è tradotta in una retorica dai toni spesso anti-imperialisti che ha a volte generato tensioni diplomatiche: ad esempio il Presidente cocalero non ha esitato a cacciare nel 2008 la DEA dal territorio nazionale, sostenendo che gli USA utilizzassero la guerra alla droga come scusa per interferire negli affari interni degli Stati sudamericani.

Il bilancio insolitamente positivo delle politiche economiche di Morales fanno della Bolivia uno dei rarissimi Paesi che, pur avendo disobbedito a quasi ogni princìpio e condizione normalmente imposti dal Fondo Monetario Internazionale, sono oggi visti dall’istituzione internazionale con ottimismo.

Ma la Bolivia ha ancora molta strada da fare prima di potersi dire un Paese veramente sviluppato: stando alla Banca Interamericana per lo Sviluppo il PIL pro capite, pari a 2886 USD, è ancora lontano da quelli delle principali economie della regione come Argentina (14.349 USD), Brasile (8.762 USD) e Cile (13.267 USD) e anche la quota di popolazione che vive ancora con 5 o meno dollari al giorno (28%) è superiore a quella di questi tre Paesi.

Per giungere allo sviluppo promesso, il governo dovrà focalizzarsi sugli investimenti infrastrutturali (adottando ad esempio un quadro di regole chiare per rassicurare gli investitori internazionali), rinforzare la manifattura, investire sul capitale umano per favorire lo sviluppo dei servizi (peso piuma fra i settori economici del Paese) e concentrarsi in particolare sul benessere delle campagne, dove si concentra la maggior parte dei segmenti dei consumatori di fascia bassa (per la BM circa il 94% dei gruppi lowest e low income risiedono in zone rurali) impegnati principalmente in attività economiche di sussistenza.

Il quadro così delineato, oltre a spiegare la composizione delle importazioni bolivariane, dà anche indicazioni importanti sulle opportunità di export nel paese latinoamericano. La relativa arretratezza infrastrutturale della Bolivia (dove la stragrande maggioranza dei trasporti avviene su gomma) giustifica ad esempio l’importanza delle importazioni di veicoli (automobili, motociclette, camion e bus da soli occupano l’12,6% delle importazioni) mentre il peso dell’agricoltura sull’economia genera una domanda importante di prodotti chimici soprattutto di pesticidi e fertilizzanti chimici e naturali (più del 3% dell’import totale) ma anche di macchinari agricoli come trattori (1,3%) o trebbiatrici e mietitrici (2% circa).

Gli sforzi a favore di una maggior industrializzazione dell’economia incidono in maniera importante anche sulla richiesta di macchinari industriali e componentistica, che costituiscono il 27% delle importazioni totali. Il basso potere d’acquisto rende difficile la penetrazione dei beni di consumo esteri; la quota di alimenti processati supera di poco il 4%, seguiti da abbigliamento ed accessori (3,9% sul totale dell’import), nel quale comunque la domanda tende a concentrarsi quasi completamente sui tessuti, lasciando pochissimo spazio ai prodotti finiti, mentre i prodotti legati alla cura della persona come cosmetici, profumi e prodotti per capelli mantengono un peso assolutamente marginale (0,67%).

Dal punto di vista italiano (e non solo) la Bolivia rimane per il momento un mercato complesso: a livello di investimenti i margini di manovra degli attori esteri sono abbastanza intralciati dalla stretta del 2008 sulle concessioni ad attori privati (fatto abbastanza paradossale visto l’intento dichiarato del Plàn de Desarrollo Economico y Social di attrarre investimenti per il potenziamento dell’attività economica) mentre il basso reddito medio della popolazione limita le opportunità per i beni di consumo nostrani, escluso forse per alcuni comparti alimentari. Le principali occasioni si concentrano quindi principalmente nell’ambito della meccanica e dell’elettronica (rispettivamente il 66 e 10% dell’export italiano verso il paese), dell’automotive (7%) e del settore chimico, nel quale l’Italia potrebbe facilmente fare di meglio.

N.B. Elenco aggiornato degli approfondimenti della nostra rubrica “Focus America Latina” disponibili cliccando qui e scorrendo fino alla fine dell’articolo

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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