La Corea del Sud è un Paese che ha compiuto un processo di trasformazione e di modernizzazione straordinario, riuscendo a tramutarsi da uno dei Paesi più poveri al mondo (anni ‘50 del XX secolo) ad una potenza industriale di medio livello. Da oggi però la Corea del Sud si trova ufficialmente senza Presidente della Repubblica perché la Corte Costituzionale locale ha obbligato Park Geun-hye, accusata di corruzione e clientelismo (nello scandalo pare sia coinvolta anche la Samsung), a dimettersi. Nell’arco di 60 giorni saranno indette nuove elezioni per decidere un successore anche se la situazione appare instabile ed in piena evoluzione. In ogni caso Seoul già apprezza ed acquista Made in Italy, specialmente per quel che riguarda i prodotti agroalimentari, del fashion e della meccanica nonostante siano in vigore una serie di restrizioni commerciali che danneggiano il nostro export. Ne abbiamo parlato con Paola Bellusci, Direttore ICE di Seoul, che ha sottolineato quanto il consumatore coreano sia particolarmente interessato alle “storie aziendali” ed in questo senso un sistema come quello italiano, costituito in gran parte da aziende familiari, è certamente in grado di offrirne un vasto campionario.
Come sono cambiate nel tempo le relazioni economiche bilaterali tra Italia e Corea del Sud e quali sono le categorie merceologiche del nostro Paese più apprezzate dalla popolazione coreana?
E’ complicato parlare di relazioni economiche bilaterali tra Corea e Italia, visto che da tempo ormai queste vengono negoziate a livello comunitario. Credo che la svolta più incisiva dei tempi recenti sia stata rappresentata dal varo dell’accordo di libero scambio (FTA) nel luglio del 2011. Grazie a questo, le merci scambiate tra EU e Corea sono state gradualmente liberate dai dazi all’import. Mentre le aziende coreane fanno un ricorso massiccio ai vantaggi dell’FTA (superiore all’80% del totale merci esportate in UE), tra i Paesi membri dell’Unione esiste un livello di utilizzo di questa opportunità (i cui vantaggi si riverberano infine sui consumatori) abbastanza differenziato, con l’Italia, purtroppo, nella parte bassa della classifica. Le motivazioni possono essere varie, ma la principale mi pare la scarsa informazione che rileviamo anche noi quando, dialogando con le aziende, ci rendiamo conto che non conoscono nè l’esistenza nè il funzionamento di questo strumento. In ogni caso i flussi commerciali tra i due Paesi sono mutati di pari passo con le caratteristiche fondamentali dell’economia coreana, che ha subito trasformazioni più radicali di quella italiana, partendo da un grado di “sviluppo” molto diverso. Se infatti per parecchi decenni il Paese ha avuto come obiettivo un’industrializzazione massiccia e ha importato prevalentemente macchinari e materie prime, oggi c’è maggiore attenzione e curiosità verso i beni di consumo che il nostro Paese è in grado di offrire, soprattutto alle fasce alta e medio-alta del mercato. Analizzando le statistiche sull’import coreano dall’Italia negli ultimi 3 anni al primo posto resta ben salda la voce “machinery”, con un valore di 1 miliardo di USD circa (in calo comunque sul 2015 del 27%), al secondo continua l’ascesa dei prodotti in pelle (borse, cinte, portafogli, ecc.), che valgono oltre 600 milioni di USD e sono in crescita del 9%. In un anno in cui l’import coreano da tutto il mondo è sceso (-7% circa), la performance dell’Italia nei settori “moda” (abbigliamento, accessori, calzature) è rimasta positiva, con una crescita media del 7%. Tra i Paesi membri dell’UE, nel 2016 l’Italia è stato il terzo partner commerciale della Corea, dopo Germania e Regno Unito. Al di là delle rilevazioni statistiche, esaminando la distribuzione è innegabile una presenza - che cresce di anno in anno - dei prodotti italiani non solo nel comparto moda ma anche nell’agroalimentare, nonostante le restrizioni che ancora bloccano l’ingresso di una pluralità di prodotti tipici della nostra offerta.
Qual è la percezione dell’Italia e del Made in Italy a Seoul e dintorni?
Dipende dai settori. Tra i beni di consumo (non durevoli) il ranking del prodotto italiano è molto alto, la qualità percepita è superiore a quella di molti nostri concorrenti, il rapporto qualità/prezzo è giudicato conveniente. I buyer in particolare sanno riconoscere, per esempio, la differenza tra un filato di qualità e uno scadente, impiegato magari per produrre un capo che si giova di “brand recognition” e di campagne multimilionarie sui media. La febbre del marchio sta scendendo, anche in Corea, e lo spazio per il prodotto tipico del Made in Italy si va ampliando. Nei settori della meccanica purtroppo scontiamo invece la concorrenza di Paesi che sono avvantaggiati dalla vicinanza geografica e dalla capacità (soprattutto finanziaria) di stabilire presenze dirette in Corea. Da verifiche che effettuiamo periodicamente risulta che gli utilizzatori coreani sarebbero ben propensi ad acquistare macchinari italiani, di cui riconoscono la performance, ma spesso non possono rischiare di attendere tempi lunghi per assistenza e ricambi. C’è poi la percezione dell’Italia come Paese (a prescindere dai flussi commerciali) ed in quel senso godiamo ancora di una ammirazione profonda per quello che è considerato un importante centro globale per la cultura, il design, l’arte, la bellezza, la moda, la cinematografia, il cibo, il vino e la musica. Il numero dei turisti coreani in Italia cresce di anno in anno e nel 2015 abbiamo raggiunto il record di 780.000 presenze (+47% sull’anno precedente), con 11 voli settimanali su Roma e 4 su Milano!
Quali sono, ad oggi, le opportunità e le difficoltà principali che si riscontrano per chi vuole fare affari nel Paese?
Le opportunità derivano dalla progressiva apertura culturale del Paese, accentuata dalla propensione a viaggiare, riscontrabile soprattutto nelle nuove generazioni curiose di sperimentare diversi modi di vivere, di nutrirsi, di vestire, di concepire l’entertainment. Le principali difficoltà sono quelle legate a un ingresso limitato per molte categorie di prodotti (alimentare in primis) e di una regolamentazione a volte ancora macchinosa e difficile da comprendere (spesso disponibile solo in lingua coreana). In generale dunque la lingua può ancora costituire un blocco nelle trattative dato che l’inglese non è molto diffuso fra la popolazione locale.
Quale sarà il trend economico futuro del Paese?
Dipenderà dalla strada che la Corea sceglierà di percorrere: la “spinta propulsiva” dell’alleanza stretta tra governo e chaebol (grandi conglomerati) pare essersi esaurita, dopo aver costituito, nei decenni passati, il principale motore di sviluppo (in tempi record) dell’industrializzazione coreana. Sarà necessario da ora in poi sperimentare nuovi modelli di sviluppo – e di formazione – che siano in grado di mantenere la Corea nel gruppo dei Paesi che continuano a crescere e ad aprirsi. Il punto di non ritorno è marcato proprio dalla crisi politica culminata nel dicembre 2016 e che ha visto la Presidenza della repubblica implicata in un grande scandalo con successiva proposta di impeachment (approvata oggi, ndr). A cascata sono poi giunte a conclusione molte situazioni e connivenze che da tempo erano nel mirino del pubblico e della stampa e che hanno provocato anche l’uscita dalla FKI (Federation of Korean Industries) dei principali gruppi industriali multisettoriali coreani. Il sistema che ha portato la Corea a trasformarsi da uno dei Paesi più poveri del mondo (nel 1953, fine della guerra) ad una media potenza industriale non funziona più come in passato. Per assicurarsi un futuro radioso il Paese dovrà ricominciare dalla formazione, dal modello di istruzione e di partecipazione all’attività didattica degli studenti fin dalle scuole medie.
Perché un imprenditore italiano dovrebbe scegliere la Corea del Sud per fare affari?
Sicuramente perché c’è bisogno di cercare alternative e di integrare i nostri mercati tradizionali di sbocco (e la Corea è alla costante ricerca di idee e stili nuovi) ma anche perché il consumatore coreano è in grado di capire e apprezzare i fattori che hanno fatto la storia del Made in Italy nel mondo. In effetti esistono dei punti di contatto fra Corea e Italia essendo entrambi Paesi privi di materie prime, che hanno dovuto imparare a fare e a trasformare, sviluppando così una profonda qualità nel comparto manifatturiero. Inoltre il consumatore coreano è interessato alle “storie” delle aziende ed un sistema come quello italiano, costituito in gran parte da aziende familiari, è in grado di offrirne un vasto campionario.
Ci descriverebbe in breve il consumatore coreano?
Il prodotto italiano è già ampiamente presente nell’immaginario del consumatore coreano ed è solitamente associato ad un’idea di lusso, design e qualità superiori. Tuttavia se in passato era sufficiente il solo Paese d’origine per richiamare l’attenzione del consumatore, ora non è più così, anche a causa della presenza massiccia e diversificata di prodotti d’importazione sul mercato. Secondo l’indagine effettuata dal “KFI research”, l’immagine del marchio, sia pure prodotto in Paesi terzi come Cina e Marocco (o altri) non subisce variazioni. Come già detto i coreani rimangono sensibili al tasso di notorietà di un marchio e dunque sviluppare un’efficace strategia di marketing che porti alla consacrazione del brand è ancora un elemento importante per poter perseguire un’attività di successo in Corea, magari con l’aiuto del proprio distributore locale. Non solo, al marchio deve corrispondere un livello qualitativo degno del suo nome. I coreani sono estremamente coscienti della qualità di una griffe e del suo valore aggiunto e hanno quindi aspettative molto elevate sul prodotto acquistato, che deve mostrarsi all’altezza del suo prezzo. I dettagli del prodotto devono pertanto essere di altissima qualità. Recentemente tuttavia i consumatori si mostrano stanchi dei prodotti delle grandi firme e cominciano a prestare attenzione ai prodotti non “massificati”, presenti nei negozi di multimarca con un design unico, che lascia aperte opportunità per le aziende italiane non “brandizzate”. Di pari passo procede l’aumento del numero dei negozi multimarca, sia nei department store che come road shop, fenomeno che può rappresentare non solo un’opportunita’ per l’ingresso di nuovi marchi italiani ma anche un test per capire le potenzialità dei prodotti su questo mercato.
Qualora si volesse realizzare una partnership con un soggetto locale quali regole della cosiddetta “Business Etiquette” sarebbe opportuno tener presenti?
Direi che il buon senso può bastare. I coreani hanno orari di lavoro molto lunghi (anzi stanno sempre attaccati a uno smartphone) pertanto anche una telefonata in un orario non proprio ideale non crea scompiglio. Mangiano (e bevono!) tutto, quindi la gaffe collegata a offerte alimentari o alcoliche sbagliate non è un rischio. Tra di loro si salutano con un inchino ma agli occidentali spesso porgono loro la mano per primi. Dopo i primi contatti che possono sembrare un po’ formali e rigidi (ecco, qui soprattutto va considerata l’importanza della gerarchia all’interno dell’azienda) si sciolgono con facilità e amano parlare e ascoltare della famiglia. Ancora molto rilievo è attribuito all’età e ed alle buone maniere nei confronti delle persone più anziane che vanno rispettate, ad esempio, aspettando che parlino, inizino a mangiare e si alzino da tavola per primi.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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