Il Sudafrica è nazione attraversata da profonde contraddizioni nella quale convivono elevati livelli di qualità della vita e situazioni drammatiche tanto che il 20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Ne abbiamo parlato con Marco Pintus, Direttore dell’Ufficio ICE di Johannesburg, che ha voluto evidenziare quanto il Made in Italy goda di un profondo apprezzamento fra la popolazione locale nonostante solo una ristretta fascia di consumatori abbia le possibilità economiche per acquistare le nostre produzioni.
Oggi il Sudafrica, insieme alla Nigeria, è l’attore di riferimento più importante di tutto il “Continente Nero” ma è ancora lontano dal potersi definire uno Stato sviluppato a tutti gli effetti. Cosa manca al Paese per fare il definitivo salto di qualità?
Nel panorama africano, il Sudafrica vanta alcuni tradizionali punti di forza, come un settore finanziario molto avanzato, un settore privato autonomo e ben strutturato, buone infrastrutture, con una rete logistica di tutto rispetto per un Paese di grande estensione (quattro volte l’Italia) e, non ultimo, un sistema giudiziario che offre buone garanzie. L’economia sudafricana è seconda a quella nigeriana quanto a dimensioni ma è senza dubbio quella meglio integrata con i mercati internazionali e probabilmente la sola in grado di vantare solidi fondamentali. Tuttavia, la crescita blanda degli ultimi cinque anni (1,9% in media, mentre la crescita demografica è 1,6%) è ben al di sotto dell’obiettivo del 5% fissato dal governo nel piano di sviluppo lanciato nel 2011 (National Development Plan), e non consente al Sudafrica di generare ricchezza sufficiente per integrare le masse senza lavoro nell’economia nazionale. Così, in un Paese che per molti versi mostra un volto notevolmente avanzato e che in diversi settori non teme il confronto con le economie più sviluppate del mondo, la disoccupazione non accenna a discostarsi dai tradizionali livelli da allarme sociale, con un tasso ufficiale del 27% che che s’impenna fino al 54% per la fascia d’età giovanile. Ciò avviene, peraltro, in un contesto in cui il valore dell’indice di Gini denota una fortissima sperequazione dei redditi (il 20% della popolazione dispone del 70% del reddito nazionale) e oltre il 20% dei sudafricani continua a vivere al di sotto della soglia di povertà. Ciò porta il Sudafrica, per così dire, ad essere strutturato in modo fortemente dualistico e questo evidentissimo divario si riflette in ogni settore della vita economica e sociale. Disoccupazione e criminalità sono peraltro due gravissime piaghe sociali che sarà molto difficile riportare a tassi accettabili per avvicinare il Paese agli standard del mondo economicamente avanzato.
L’economia del Paese è in difficoltà: come vanno invece le cose dal punto di vista del commercio con l’estero ed in particolare con l’Italia?
Come si è detto sopra, l’economia è effettivamente in frenata e quest’anno la crescita si discosterà molto poco dallo zero (il FMI prevede uno +0,1%, il governo un +0,5%). L’economia sudafricana è molto più diversificata di quella di altri Paesi africani (come Nigeria o Angola), ma non ha potuto evitare di subire le gravi conseguenze del crollo dei prezzi delle commodities cominciato nel 2011. La ricchezza mineraria del Sudafrica è imponente e, a prescindere dall’attuale congiuntura sfavorevole, illustra con efficacia immediata le grandi potenzialità economiche del Paese, che è il primo produttore al mondo di platino e affini (95% delle riserve mondiali), cromo (40% delle riserve) e manganese (30%), ed è tra i primi dieci produttori di pietre preziose (5° posto), oro (7°, 11% delle riserve) e minerale di ferro (7°). Il Sudafrica controlla inoltre il 95% delle riserve africane di carbone, da cui deriva il 90% della sua produzione di energia elettrica ed una cospicua produzione di combustibili sintentici. Nella graduatoria delle principali esportazioni sudafricane nel 2015, i minerali occupano sette delle prime dieci posizioni. E’ pertanto naturale che la caduta dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali abbia gravi conseguenze sull’economia sudafricana. Tutto questo non può che riflettersi sul valore del rand, la valuta nazionale sudafricana, e sulla capacità di spesa del Paese nei confronti dei partner commerciali. Nel 2016, da gennaio a settembre, le importazioni sudafricane dal mondo sono diminuite del 15,9% sullo stesso periodo del 2015 e anche l’export italiano, che l’anno scorso aveva toccato il proprio record storico (1,9 miliardi di euro secondo l’Istat), non ha potuto che risentirne pesantemente, facendo segnare un -19% tra gennaio e settembre (dati di fonte locale): le nostre esportazioni sono diminuite a 1,39 miliardi di dollari rispetto ai 1,71 miliardi rilevati nei primi nove mesi del 2015. Il forte calo non ha risparmiato nessuno dei principali comparti del nostro export. Nella prima parte dell’anno è stato decisivo il crollo del rand, che rispetto a un anno prima ha raggiunto punte del 25% su dollaro ed euro; il rand si è poi notevolmente riapprezzato in seguito alla Brexit.
Quali sono le categorie merceologiche Made in Italy maggiormente apprezzate dalla popolazione locale?
E’ veramente difficile dire cosa non sia apprezzato dell’Italia in Sudafrica: al prestigio generale del Made in Italy, del resto, contribuisce una folta comunità di nostri connazionali (circa 50.000 persone), di prima o seconda generazione. Direi che meccanica, tecnologie varie, elettrodomestici, beni di consumo (moda, gioielleria, prodotti alimentari, arredo), sono tutte categorie del Made in Italy che, in generale, godono di un’immagine positiva nel mercato sudafricano. C’è semmai un problema di reddito medio (circa 6.000 dollari l’anno), che dà accesso al prodotto italiano, nel caso dei beni di consumo, solo a una fascia ristretta del mercato locale.
A quale fascia di popolazione interessano le nostre produzioni ed in quali aree del Paese si trovano?
Solo una parte ristretta della popolazione (ad alto reddito) si può permettere il Made in Italy ma va comunque sottolineato il fenomeno dei ceti neri “emergenti”, che negli ultimi vent’anni hanno sempre più acquisito gli stili di vita in precedenza riservati ai ceti bianchi più abbienti. Si tratta comunque di fenomeni socialmente circoscritti e riscontrabili specialmente in pochi grandi centri urbani, in primis Johannesburg, che è la città più grande e ricca del Sudafrica, ma anche Città del Capo o Durban.
In quali settori in questo momento vede le maggiori opportunità commerciali per fare business per le nostre PMI?
I settori interessanti, malgrado le attuali difficoltà economiche, possono essere molti. Premettendo che per ogni settore andrebbe fatto un discorso articolato, le nostre proposte promozionali coprono:
- energia elettrica e rinnovabili;
- macchine agricole;
- macchine confezionamento e imballaggio;
- macchine per l’industria alimentare;
- macchine per l’industria mineraria e delle costruzioni;
- macchine utensili e per fonderia;
- componentistica automotive;
- apparecchiature elettromedicali;
- sicurezza;
- gestione e trattamento acque;
- agroalimentare;
- arredamento/design.
Come ufficio ICE in loco organizziamo missioni commerciali, partecipazioni a fiere e altre iniziative per incentivare le piccole e medie aziende a visitare il Paese nel quadro di un pacchetto complessivo di assistenza che le aiuti ad orientarsi in un mercato certamente non facile, ma molto importante per chi vuole entrare in tutta l’area subsahariana.
Quali sono quelle che ritiene essere le maggiori criticità per chi pensa di investire nel Paese?
Dipende molto dai settori, ma chi investe deve fare un’analisi molto attenta della propria potenziale clientela, soprattutto nel caso di beni destinati all’industria. Il governo sudafricano non discrimina le aziende straniere e anzi ne incoraggia gli investimenti produttivi, anche con incentivi fiscali e di altro tipo, perché ha bisogno di creare posti di lavoro e combattere la disoccupazione. A fronte di questa impostazione generale, pone dei vincoli anche piuttosto complessi legati alla volontà di integrare nell’economia le categorie sociali “storicamente svantaggiate” dal regime dell’apartheid, quindi essenzialmente neri, coloured, e popolazioni di origine asiatica (più che altro indiani). Tale obiettivo è perseguito attraverso il cosiddetto BEE – Black Economic Empowerment, che è un corpus normativo finalizzato ad incentivare le aziende a coinvolgere in vario modo queste categorie sociali nell’attività economica. Chi produce per vendere a committenti pubblici deve fare molta attenzione a strutturare l’azienda, o comunque impostarne l’attività, in modo da rispettare determinati criteri che ne permettano un elevato livello di certificazione BEE (criteri come proprietà, management, scelta fornitori, formazione del personale e così via). Ma un’azienda non cerificata BEE rischia di incontrare difficoltà non solo con il settore pubblico, ma anche nella semplice attività di subfornitura, perché chi serve committenti pubblici guadagna punti, per così dire, se può dimostrare di servirsi a sua volta di fornitori certificati. In sostanza non è obbligatorio certificarsi, ma non farlo può precludere una buona fetta del mercato sudafricano perché i propri clienti, anche se privati, possono aver bisogno di avanzare nella scala del gradimento governativo dimostrando di utilizzare loro stessi fornitori certificati.
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Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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