Gli Stati Uniti rappresentano il principale partner commerciale dell’Italia al di fuori dell’Ue ed il terzo Paese di destinazione delle esportazioni italiane: è quindi di assoluta importanza per le nostre imprese guardare allo “stato di salute” dell’economia a stelle e strisce. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il dott. Forte, Direttore dell’Ufficio ICE di New York, che voluto sottolineare il grande potenziale del mercato USA senza però dimenticare le differenze significative, sia culturali che strutturali, che lo caratterizzano non soltanto rispetto al mercato italiano ma anche rispetto ad altri mercati europei ai quali a volte si tende erroneamente ad assimilarlo.
Ritiene che il mercato statunitense si configuri come un mercato “maturo” e per questo meno attrattivo per le produzioni Made in Italy?
Se mi permette vorrei capovolgere il ragionamento: proprio perché gli Stati Uniti rappresentano un mercato maturo, ove per maturo si intende evoluto, l’attrattività dei nostri prodotti è molto alta in quanto i consumatori, soprattutto quelli di fascia medio-alta, sono sempre più esigenti in termini di qualità, gusto ed innovazione. Le produzioni italiane si rivolgono esattamente a questo segmento di mercato e dovranno continuare a farlo in futuro affinché il nostro export possa proseguire a crescere negli USA.
Quali sono i settori in cui l’Italia esporta di più verso gli Stati Uniti e viceversa?
La meccanica si è confermata, anche nel 2015, il settore di punta delle esportazioni italiane negli USA, rappresentando il 24,1% del totale delle vendite Made in Italy negli States, con un incremento del 17,2% rispetto al 2014. All’interno di questo settore le voci trainanti sono soprattutto quelle relative alla meccanica strumentale, ovvero le tecnologie per l’industria manifatturiera. A seguire troviamo prodotti del comparto moda (17,1%), mezzi di trasporto (14,9%), prodotti chimici e farmaceutici (10,5%), prodotti del comparto agroalimentare (10%), semilavorati e componenti (8,7%) e prodotti di arredamento (5,6%). Quanto all’export degli USA verso l’Italia i settori principali sono chimica e farmaceutica che coprono una quota del 21,5% del totale export seguiti da meccanica (19,4%) e mezzi di trasporto (14,6%). Da notare che il nostro export nel 2015 ha sfiorato i 40 miliardi di USD (dati dello US Dept. of Commerce) con un incremento del 25% rispetto all’anno precedente, a fronte di un export degli USA verso l’Italia inferiore ai 15 miliardi e che ha registrato un incremento, rispetto al 2014, più contenuto (+14,7%). Abbiamo quindi ulteriormente migliorato un saldo commerciale già positivo, portandolo a circa 25 miliardi di USD.
Qual è, a suo avviso, la percezione dell’Italia e del Made in Italy negli States?
Si tratta di una percezione molto differenziata con luci e ombre: la nostra reputazione è altissima per quanto riguarda food&beverage, lifestyle, moda, cultura, mentre non altrettanto può dirsi per i prodotti tecnologicamente avanzati anche se, in molti campi, dall’automazione industriale al greentech, dal biotech al medicale, siamo sicuramente all’avanguardia e non abbiamo nulla da invidiare a tedeschi o giapponesi che godono però di migliore reputazione. In questi settori ci sono ampi margini per migliorare la percezione delle nostre produzioni, anche se va sottolineato che nei settori industriali ciò che conta non è la percezione del pubblico generico quanto piuttosto quella degli addetti ai lavori, del consumatore professionale e, in questo caso, la situazione certamente volge a nostro favore, grazie anche agli sforzi promozionali che ci vedono impegnati in prima linea con altre importanti istituzioni del Sistema Italia (Ambasciate e Consolati, Istituti di Cultura, ENIT, Camere di Commercio).
Quali sono le categorie merceologiche dei prodotti Made in Italy più apprezzate in USA?
Sono numerosi quelli che noi amiamo definire i “primati italiani”: sono circa venti i prodotti che esportiamo nei quali ricopriamo le prime cinque posizioni tra i Paesi fornitori degli USA, ed in particolare per sei di questi abbiamo una posizione indiscussa di leadership (vino, olio di oliva, formaggi, pasta, pelli e pellicce ed acque minerali). Se analizziamo i flussi di export in termini di valore un contributo fondamentale arriva anche da calzature, marmi e lapidei, occhialeria, nautica, macchine per imballaggio e macchine legno, solo per citarne alcuni.
Sussistono, a suo parere, difficoltà di rilievo per chi vuole avviare un’attività commerciale o esportare i propri prodotti negli States?
Gli USA sono in generale un mercato caratterizzato da trasparenza ed efficienza, ma non vanno sottovalutate le difficoltà che si incontrano, soprattutto in termini di barriere non tariffarie e burocrazia, quando ad affrontarlo sono le nostre PMI; in generale è un mercato di grandi dimensioni e con una struttura produttiva che, diversamente dalla nostra, è dominata da grandi gruppi sia nell’industria che nel commercio e nei servizi, quindi spesso i rapporti contrattuali sono sbilanciati. Negli ultimi anni siamo intervenuti sul primo aspetto con la costituzione - presso l’Ufficio ICE di New York - di un Desk specializzato che, con un esperto legale, offre assistenza alle nostre imprese in problematiche di accesso al mercato e proprietà intellettuale, un progetto voluto dal Ministero dello Sviluppo Economico. Sul secondo aspetto stiamo portando avanti da un paio d’anni un Piano Promozionale Speciale, soprattutto per Moda e Agroalimentare, a cui presto si aggiungeranno anche le filiere dell’Abitare e della Tecnologia. Tutto questo per aiutare le nostre PMI ad entrare nei circuiti della grande distribuzione organizzata, spesso di difficile accesso. Finora i risultati sono incoraggianti: grazie a queste iniziative sono state già introdotte 500 aziende come nuovi fornitori di department stores e catene di retail, anche se sappiamo che c’è ancora molto lavoro da fare.
Quali sono le tre ragioni principali che dovrebbero spingere un imprenditore italiano a scegliere gli States per fare affari?
Sicuramente valgono le considerazioni che facevamo prima in termini di attrattività del mercato e di percezione del consumatore rispetto al Made in Italy. Il potenziale c’è tutto ma non è una passeggiata. Bisogna essere consapevoli delle difficoltà e delle differenze significative, sia culturali che strutturali, non soltanto rispetto al mercato italiano ma anche rispetto ad altri mercati europei ai quali a volte si tende erroneamente ad assimilare il mercato statunitense, che invece ha le sue specificità che vanno conosciute.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Valeria Gambino, redazione@exportiamo.it
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