La Slovenia è un Paese giovane, vivace e dinamico, che offre più di quanto si possa pensare in un primo momento. Non solo per il verde che la pervade ma anche per alcune punte di eccellenza offerte da specifici settori industriali. Resasi indipendente dalla Federazione jugoslava nel 1991, la Slovenia ha compiuto notevoli progressi per adeguarsi ai modelli economici occidentali, compiendo con successo il processo di transizione verso la liberalizzazione della propria struttura economica. Questo percorso ha trovato la sua sublimazione con l’ingresso nell’Unione europea (2004) prima, e poi nell’Euro-zona e nel sistema Schengen (2007). Nell’intervista rilasciataci dal Direttore di ICE Lubiana, Elisa Scelsa, si analizzano le caratteristiche di un mercato di piccole dimensioni (appena due milioni di abitanti), certamente in salute ma molto legato all’andamento del commercio internazionale…
Come si è evoluto l’interscambio commerciale fra Italia e Slovenia nell’ultimo decennio?
L’interscambio commerciale tra Italia e Slovenia è cresciuto ininterrottamente dal 2000 al 2009, quando si è registrata una forte contrazione dovuta alla crisi internazionale. I numeri sono però tornati ad essere molto importanti: 6,29 miliardi di euro nel 2015, saldamente nella top ten dei partner per valori pro capite, all’8° posto, subito dopo la Svizzera e prima di nostri importanti partner internazionali quali Cina, India, e Brasile. Se si guarda poi all’export e al saldo positivo per l’Italia di 1,08 miliardi di euro, la Slovenia assume un rilievo ancora più evidente, anche perché rimane il nostro principale partner nei Balcani occidentali, con una quota del 35,5% sull’interscambio totale. Inevitabile che l’altra faccia della medaglia sia il ruolo dell’Italia nelle dinamiche dell’economia slovena: per loro rappresentiamo il secondo mercato di sbocco, alle spalle della Germania, e siamo il quarto investitore diretto dopo Austria, Svizzera e Germania. Le aree di maggiore attrazione per gli investimenti italiani sono la regione centrale di Lubiana e le due aree di confine, ovvero il litorale e il Carso. Anche in questo caso i confini determinano l’origine degli investimenti, che provengono per la maggior parte da Friuli Venezia Giulia, Veneto e Lombardia.
Qual è la percezione dell’Italia e del Made in Italy in Slovenia e quali sono le categorie merceologiche dei nostri prodotti più apprezzate dal mercato locale?
Italia e Slovenia sono due economie aperte e ben integrate, con strutture industriali abbastanza simili. In entrambi i Paesi la spina dorsale dell’economia è rappresentata da piccole e medie imprese che creano economie di scala e, al contempo, offrono ampi margini di integrazione nelle filiere produttive globali. I prodotti del nostro lifestyle (arredamento, abbigliamento, agro-alimentare) anche qui si confermano veri magneti d’attrazione per il Made in Italy, quantomeno in termini di percezione. Tuttavia, nei fatti, i numeri più consistenti a livello industriale si trovano altrove: derivati del petrolio e energia, metallurgia, automotive, chimica, macchine e apparecchiature anche elettriche e per uso domestico, articoli in gomma e materie plastiche, legno. La nostra forza risiede nella capacità di differenziazione del prodotto nei beni manifatturieri ad alta intensità di capitale.
Quali sono le ragioni principali e i settori di interesse che dovrebbero spingere un imprenditore italiano a scegliere la Slovenia per fare affari ed esistono difficoltà di rilievo per chi vuole intraprendere?
Oltre alla vicinanza e all’appartenenza al mercato unico – con tutto ciò che comporta in termini di libera circolazione e standard - la Slovenia applica una fiscalità favorevole sul reddito di impresa, elemento sicuramente rilevante per gli investitori. Ma credo che il vero fattore competitivo sia costituito da una manodopera qualificata e altamente produttiva, che raggiunge punte di eccellenza nei settori trainanti dell’economia slovena (chimica e farmaceutica, automotive, metallurgia e metalmeccanica, industria elettrica ed elettronica), tradizionalmente serbatoi di talenti e competenze che nulla hanno da invidiare sul mercato internazionale. Nonostante il mercato interno abbia dimensioni limitate, con soli due milioni di abitanti, e quindi di consumatori, il Paese si trova nel crocevia tra due importanti corridoi paneuropei - il Corridoio V da ovest a est e il Corridoio X da nord a sud - che ne fanno una porta d’accesso privilegiata verso i Balcani occidentali, ovvero i Paesi dell’ex Jugoslavia e l’Albania. Questi sono tutti Paesi con una prospettiva europea, e la Slovenia può essere una finestra su questi mercati. Il buon livello delle infrastrutture stradali, di telecomunicazione, portuali e aeroportuali non esprime tutto il suo potenziale, perché, ad esempio, potrebbe essere sfruttato meglio rafforzando le interconnessioni con l’Italia per valorizzare il mar Adriatico. Essere un Paese “di confine” può creare sinergie importanti, ma anche comportare limiti: come l’assenza al momento di collegamenti diretti con l’Italia dall’aeroporto di Lubiana/Brnik. A livello operativo alcuni rischi possono essere rappresentati dall’effettiva implementazione di standard europei alle lentezze burocratiche nel rilascio di autorizzazioni fino al riconoscimento di certificazioni o abilitazioni e dai tempi lunghi per le liquidazioni di crediti anche quando assistiti da garanzie preferenziali.
Quale sarà il trend economico del Paese nel prossimo triennio?
I segnali di ripresa ci sono tutti e gli indicatori sono buoni anche per i prossimi 2-3 anni, ma la Slovenia, come detto, è un’economia molto esposta ai mercati internazionali per sua stessa natura, essendo export-driven. È quindi inevitabile che, oltre ad essere molto aperta al commercio internazionale, soprattutto verso l’area UE, la Slovenia dipenda in grande misura dalle importazioni: le fluttuazioni dei mercati internazionali incidono molto sullo stato di salute dell’economia. L’export è dominato soprattutto dai prodotti farmaceutici, mentre l’import dai derivati del petrolio. Peculiare il settore automotive, in cima alla lista sia alla voce importazioni che esportazioni, ed è proprio quest’ultima categoria quella che ha raggiunto il più alto incremento nell’interscambio nel 2015. Fatte queste premesse, se guardiamo il PIL, lo scorso anno è cresciuto del 2,3%, in lieve rallentamento rispetto al +3,1% del 2014, ma l’andamento positivo sta proseguendo anche in questo 2016, con una crescita per il primo semestre del 2,5%. Il motore principale continuano ad essere le esportazioni (+7,5% nel secondo trimestre) con una incidenza crescente della domanda interna (+2%), quest’ultima, insieme alla ripresa delle importazioni (+7,2%) e al calo della disoccupazione (7,8%), è un segno importante che la crisi economico-finanziaria è alle spalle, pur se non del tutto “metabolizzata”. Le proiezioni di crescita si attestano intorno al 2,9% per il 2017 e al 2,6 per il 2018. Anche se per un’economia molto export-driven come quella slovena i condizionamenti esterni possono rivelarsi significativi, nel corso del 2016, le tre principali agenzie di rating internazionali hanno rivisto al rialzo l’outlook sostanzialmente stabile-positivo del paese, da ultimo Fitch a settembre (da BBB+ a A-), preceduto di qualche giorno da Moody’s (confermato a Baa3) e da Standard&Poor’s a giugno (da A- a A).
Secondo la Sua esperienza, quali sono le differenze più evidenti fra la cultura slovena e quella italiana?
La prossimità geografica può far credere che ci siano estese affinità culturali, ma questo è vero solo per le zone di confine. Diciamo che, con un pizzico di riduzione giornalistica, in Slovenia si incontrano una serie di influenze culturali e modi di vivere e lavorare che sono evoluti dalla tradizione del Centro e del Sud-Est Europa. Ecco, questa è la differenza sostanziale, anche se poi non esiste una cesura così netta e anche nei rapporti professionali c’è un’oscillazione fra le diverse tendenze.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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