Italia e Svizzera intrattengono relazioni economiche intense sebbene il mercato elvetico sia caratterizzato dalla presenza di consumatori esigenti, informati e poco inclini al cambiamento. Come ci ha spiegato Simona Bernardini, Direttrice dell’Ufficio ICE-Agenzia di Berna, nell’immaginario collettivo dei cittadini svizzeri esiste una profonda discrasia tra i prodotti e la popolazione italiana: mentre i primi vengono, in taluni casi, addirittura mitizzati si riscontra, d’altro canto, una diffusa percezione di un’Italia illegale e poco affidabile…
Come sono cambiate nel tempo le relazioni economiche bilaterali fra Italia e Svizzera?
Le relazioni economiche bilaterali sono tradizionalmente buone e si basano su un complesso corpus di trattati all’origine dei quali vi è l’Accordo sul libero scambio (ALS) del 1972, con il quale è stato dato il via al commercio in franchigia doganale dei prodotti industriali originari degli Stati contraenti. Gli Accordi Bilaterali I entrati in vigore nel 2002, comprendono anche l’Accordo di libera circolazione delle persone (ALCP), ulteriormente esteso con la partecipazione della Svizzera allo spazio Schengen nel 2009, a seguito della sottoscrizione nel 2004 dei Bilaterali II, nell’ambito dei quali è stato concluso un accordo sulla fiscalità del risparmio. L’Accordo sullo scambio automatico di informazioni (SAI) a fini fiscali tra la Svizzera e l’UE, firmato il 27/5/15, ha sostituito l’accordo precedente sulla fiscalità del risparmio. Parallelamente, l’Italia e la Svizzera il 23/2/15 hanno sottoscritto un Protocollo (legge in Italia dal 5/2016) che modifica la Convezione tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio.
Qual è la percezione dell’Italia e del Made in Italy in Svizzera?
L’immagine dell’Italia in Svizzera non è positiva. Nonostante il 6% della popolazione sia italo-svizzera, non di rado i giornali, da quelli di maggiore importanza (NZZ) e quelli di minore (20minuten) pubblicano notizie che contribuiscono ad alimentare una percezione generale fuorviante di una Italia illegale, cialtrona e inaffidabile. Inoltre anche alcune notizie che provengono dall’Italia non aiutano, per cui paradossalmente il nostro Paese diviene il peggiore nemico di se stesso. Vi è poi l’annoso problema del “frontalierato”, che lega il mondo del lavoro italiano a quello svizzero. I frontalieri vengono accusati di dumping salariale e di contribuire all’inquinamento atmosferico e al traffico. Argomentazioni portate soprattutto avanti in Cantone Ticino dal fronte leghista ticinese. L’approvazione del Regolamento della legge sulle imprese artigianali (RLIA) del 20/1/16 con il quale il Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone Ticino, ha reso esecutiva la medesima legge sulle imprese artigianali del 24/3/15 è un tentativo di limitare le prestazioni di servizio da parte di imprese artigianali italiane, anche al fine di prevenire gli abusi nell’esercizio della concorrenza.
Quali sono le categorie merceologiche dei prodotti Made in Italy più apprezzate dalla popolazione locale?
Premesso il forte orientamento del consumatore svizzero nei confronti dei prodotti nazionali e la sua disponibilità a sostenerne anche economicamente l’esistenza (come nell’allevamento) risulta essere estremamente apprezzato il settore enogastronomico Made in Italy con particolare riferimento alla cucina italiana e alle sue produzioni tipiche (soprattutto se regionali). Nei beni di consumo e sistema casa si registra un innegabile interesse per l’abbigliamento, le calzature, il design e le costruzioni italiane. Nei beni industriali e di investimento, hanno un andamento positivo il comparto della metallurgia ed elettromeccanico (subfornitura meccanica con le sue lavorazioni, macchine utensili ed elettronica, ecc.) sebbene siano in competizione con il gigante tedesco, sinonimo di “affidabilità” produttiva e di ottima assistenza post vendita. Da segnalare infine la crescita della domanda di prodotti farmaceutici e chimici complementari rispetto a quelli svizzeri.
Quali sono le tre ragioni principali che dovrebbero spingere un imprenditore italiano a scegliere la Svizzera per fare affari?
In primo luogo va considerato l’elevato potere di acquisto dei consumatori elvetici. Nonostante gli abitanti siano “solo” 8,3 milioni, la Svizzera, con il suo posizionamento nel cuore dell’Europa, può costituire una porta di accesso per l’intero mercato europeo stimabile in ca. 500 mln di potenziali acquirenti. In secondo luogo vanno valutati gli elevati standard di qualità, artigianalità, creatività ed eco-sostenibilità richiesti consumatori svizzeri, tutte caratteristiche ampiamente diffuse nei settori produttivi italiani. E’ necessario d’altronde tenere presente che il mercato svizzero è da un lato saturo di prodotti tradizionali (anche nazionali non solo esteri), dall’altro “governato” da pochi operatori economici, che a differenza di altri Paesi, molto spesso oltre a svolgere un ruolo di importatori, sono anche loro stessi distributori o dettaglianti. Un altro motivo per investire in Svizzera è la precisione, l’affidabilità e la credibilità degli interlocutori svizzeri, che si riflette in regole certe e chiare anche per chi desidera attivare una collaborazione industriale e non solo commerciale.
L’ultima ragione è la presenza dell’ICE-Agenzia in Svizzera con sede a Berna. La riapertura nel 2014, dati alla mano, risulta una scelta strategica efficace e vincente per quelle imprese, Consorzi, Associazioni ed Enti fiera italiani che desiderano porre il mercato elvetico al centro del loro processo di internazionalizzazione. Considerata l’assenza per diversi anni di una promotion pubblica, è auspicabile un rafforzamento della nostra azione pubblica a livello locale per le quote di mercato ancora da erodere, per una ulteriore diversificazione dell’offerta (attualmente quasi inesistente) e per l’immagine del nostro Paese che deve essere necessariamente migliorata.
Esistono difficoltà di rilievo per chi vuole fare affari in Svizzera?
La prima difficoltà a mio avviso è la mentalità con cui si approccia questo mercato. Solo perché vicino geograficamente e ricco spesso si ritiene che fare business qui sia facile o scontato. Ci troviamo invece, di fronte a un interlocutore dalle alte pretese e aspettative, forte di una produzione e R&S nazionale di elevato livello, soprattutto in alcuni settori; difficilmente disposto a lasciarsi stupire o incuriosire, perché consapevole dei propri interessi e lusingato dai nostri diretti competitor.
La sua mancata appartenenza alla UE le consente inoltre di limitare l’accesso ad alcuni settori apparentemente disciplinati in modo simile a quello europeo. Da un lato vi sono accordi che liberalizzano gli scambi, dall’altro norme interne che li circoscrivono in un’ottica protezionistica, relative a dazi doganali, misure di accompagnamento, contingenti, permessi, certificati, licenze. Da evidenziare anche, la legislazione Swissness e la LIA ticinese. Un consiglio che mi sento di dare alle imprese, prima di approcciare il mercato elvetico, è quello di documentarsi sulle normative e regolamenti vigenti, consultando siti specifici come quello SECO o SEM o dell’Amministrazione federale delle dogane svizzere e di avvalersi ovviamente dell’assistenza specialistica dell’ ICE-Agenzia di Berna.
Quale sarà il trend economico del Paese nel prossimo triennio?
Di fronte a una crescita mondiale ancora poco dinamica e a un’evoluzione talmente eterogenea dei settori industriali in termini di produzione e d’impiego, il gruppo di esperti della Confederazione ha confermato la sua previsione relativa a una crescita reale del PIL svizzero al di sotto della media storica, sia nel 2016 (1,4%) che nel 2017 (1,8%). L’andamento dell’economia dipenderà anche dagli effetti del Brexit e dall’applicazione degli esiti dell’iniziativa popolare Contro l’immigrazione di massa del 9/2/2014.
Quali sono (se ci sono) i tratti caratteristici della cultura imprenditoriale svizzera?
Tendenzialmente gli imprenditori svizzeri guardano le cose con distacco e agiscono con pragmatismo. Ricercano soluzioni concrete e mostrando d’altro canto, un atteggiamento di prudenza. Precisione e innovazione sono altri elementi caratteristici di tale cultura, che insieme ai precedenti orientano le scelte nelle diverse sfere dell’attività imprenditoriale. All’interno della comunità elvetica (ricerca, scienziati, governo, università e istituti superiori) vi è un forte dibattito sul futuro della Svizzera. Il Paese dovrebbe incoraggiare maggiormente lo spirito d’impresa e la cultura del “rischio” per poter difendere la sua posizione di rilievo, minacciata da una concorrenza sempre più agguerrita.
Secondo la Sua esperienza, quali sono le differenze più evidenti fra consumatori svizzeri e consumatori italiani?
Ciò che maggiormente mi colpisce e affascina del popolo svizzero è il fortissimo legame tra autonomia e centralità, tra localismo e Confederazione. E’ come se esistessero tanti popoli in uno solo. Il forte senso della nazionalità si riflette anche nei consumi. Gli svizzeri danno la priorità senza alcun indugio, ai prodotti nazionali, meglio se regionali, perché convinti della superiorità della loro qualità e valore per la quale sono disposti a spendere di più. Tale atteggiamento è riscontrabile in ogni settore e servizio in cui la Svizzera possiede una certa capacità produttiva: dai macchinari, alla subfornitura, dall’orologeria alla gioielleria, dal vino al food. Nel food in particolare, le scelte di consumo si orientano su prodotti contrassegnati “Suisse Garantie” o “Biosuisse”. Questi marchi sono sinonimo di produzione: al 100% svizzera, rispettosa degli animali e dell’ambiente, non geneticamente modificata, priva di pesticidi o fertilizzanti chimici, soggetta a rigidi controlli. I consumatori elvetici sono oculati nelle loro scelte di acquisto e necessitano di tempo prima di acquisire fiducia ma quando poi si fidelizzano non badano a spese: sono sì poco propensi a sperimentare ma non sono degli sprovveduti. La loro concezione di superfluo e di importante è diversa: l’apparenza, a volte, può prevalere sulla necessità dell’acquisto. Nel loro immaginario vi è una discrasia tra i prodotti italiani e gli italiani, questi ultimi definiti, non di rado, in una accezione negativa rispetto ai primi, che, in alcuni casi, vengono addirittura mitizzati.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA