La risalita dell’industria italiana rimane lenta e molto disomogenea tra i settori e le regioni. Quali comparti e aree geografiche guidano il recupero e quali perdono ancora terreno?
Il contesto è sempre più sfidante. Il continuo calo del rapporto tra commercio e prodotto mondiali e i minori investimenti diretti esteri confermano che la globalizzazione sta ripiegando. Ma proprio ora che non è più galoppante, è messa da tutti sul banco degli imputati e nazionalismo e xenofobia conquistano sempre più ampi consensi. Il protezionismo è montante. Brexit e sospensione di Schengen rivelano che anche l’integrazione europea arretra.
Con quali conseguenze? L’internazionalizzazione rimane comunque una strada obbligata per la crescita delle imprese.
Quali forme assume ora la localizzazione delle produzioni? Quanto conta la disponibilità di conoscenze di alto livello nello spiegare dove si dislocano fasi e processi produttivi? In quali ambiti le imprese italiane possono trarre vantaggio dai cambiamenti in corso?
Globalizzazione e nuove tecnologie digitali hanno alzato l’asticella della competitività e accentuato il divario di performance tra le imprese. La crisi lo ha esasperato, separando nettamente chi è in grado di cogliere le opportunità da chi fatica a tenere le posizioni. Ma quali sono le radici di tale divario? È possibile colmarlo? Con quali azioni?
Nella produttività come si confrontano le imprese italiane rispetto alle tedesche, francesi, spagnole?
Diversificazione ed esclusività nella capacità di produrre un dato bene sono le leve dello sviluppo aziendale. Come vengono utilizzate? E da chi?
Nell’innovazione il CSC ha individuato tre tipologie di imprese. In tutte l’impiego di laureati è sottodimensionato rispetto ai concorrenti europei. Una scelta sostenibile nella prospettiva di Industria 4.0?