Tra tutti i comparti dell’economia del Paese l’agroalimentare é quello che maggiormente si é distinto negli ultimi anni per tenacia ed inventiva e che per questo, con merito, ha accusato meno gli effetti disastrosi della crisi.
A fronte di un crollo della domanda interna – in particolare di generi freschi – che nel 2013 ha registrato per il terzo anno consecutivo una variazione anticipata da segno meno (- 3,1% dopo il - 3% 2012 e - 1,1% nel 2011 secondo dati ISTAT) gli imprenditori dell’agricoltura e dell’agroindustria hanno guardato all’estero facendo registrare un bel +4,8% di export nel 2013 secondo dati dell’osservatorio ISMEA. Oltre ai classici mercati di sbocco, i nostri vicini di casa Germania e Inghilterra o Stati Uniti, i nostri prodotti si stanno avventurando un po’ dappertutto con ottimi risultati.
E’ sufficiente? È inutile girarci intorno, sappiamo bene tutti che sul fronte della qualità siamo quasi imbattibili ma che il nostro problema principale é quello legato alla comunicazione, siamo spesso incapaci di promuovere i nostri prodotti in modo efficace ed efficiente.
Non siamo in grado di fare sistema come i nostri cugini francesi, non abbiamo grandi catene di distribuzione organizzata all’estero che possono agevolare il processo di internazionalizzazione, le istituzioni non sostengono a sufficienza il comparto e di contro tagliano spesso e volentieri finanziamenti finalizzati alla promozione, siamo vittime di “plagio di identità” il così detto “italian sounding” ad opera di imprenditori stranieri (che spesso sono nostri lontani parenti emigrati decenni fa…) che a quanto pare, anche se qualcuno ci deve spiegare chi e come ha calcolato questo dato, ci rubano una fetta di mercato da 60 miliardi di euro. Tutto vero ma non siamo un po’ tutti stufi di queste recriminazioni e scarica barili? Secondo noi, della redazione di Exportiamo, per diventare più efficaci ed efficienti ci sono due cose importanti da tenere in considerazione: presentarsi all’estero in modo chiaro e distintivo e ottimizzare i costi di promozione. Ecco perché oggi parliamo di Marchio Unico Agroalimentare e sistema fieristico.
Marchio Unico Agroalimentare
In Italia esistono 264 prodotti a marchio DOP, IGP e STG per non parlare delle centinaia di DOC, DOCG e IGT. Probabilmente la maggioranza degli italiani nemmeno sanno che cosa significano queste sigle e vogliamo veramente credere che un consumatore cinese capisca che cos’é un disciplinare, che grazie a questo identifichi il prodotto come italiano e di qualità e che quindi decida di acquistarlo? E’ imperativo semplificare il più possibile il processo di riconoscimento all’estero dei nostri prodotti. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico e degli Esteri, ha avviato un progetto con lo scopo di individuare un marchio distintivo e unico per le produzioni agroalimentari da utilizzare per la promozione sui mercati che dovrebbe qualificare l’identità italiana in modo diretto e immediato. “Il food italiano é uno dei pochi tratti riconoscibili del nostro Paese nel mondo – ha detto il ministro Martina al secondo Forum Food & Made in Italy organizzato dal Sole 24 Ore lo scorso 6 novembre – eppure abbiamo un’incapacità storica a fare operazioni di sistema a sostegno e promozione dell’agroalimentare. Il nostro impegno é quello di riuscirci già entro Expo 2015”.
Il sistema fieristico italiano
Lo sapete qual é e dove si svolge la più importante fiera dell’industria agroalimentare al mondo? È Anuga a Colonia in Germania che nella scorsa edizione ha attratto 6.777 espositori da oltre 100 Paesi, su una superficie espositiva di 284.000 mé e oltre 155.000 visitatori specializzati da 180 Paesi, il secondo posto va al SIAL di Parigi che come Anuga vanta una percentuale di espositori stranieri superiore a quella degli espositori nazionali e importatori da tutto il mondo. E in Italia? In Italia ne abbiamo principalmente due: Cibus a Parma con cadenza biennale (la prossima a maggio 2016) e Tutto Food a Milano (la prossima dal 3 al 5 maggio 2015) che se sommate probabilmente non richiamano lo stesso numero di visitatori internazionali di una sola delle due kermesse precedentemente citate. Per non parlare poi di tutte le altre piccole o micro fiere sparse a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Non é difficile immaginare che i budget stanziati per la promozione delle aziende siano limitati e che quindi non possano partecipare, anche per ovvio conseguente spreco di tempo ed energia, a tutte le manifestazioni esistenti. La domanda é sicuramente tra le più banali ma non sarebbe meglio una e una sola fiera del settore agroalimentare all’anno in Italia durante la quale cercare di attrarre il maggior numero di buyer esteri? Non siamo del tutto ingenui e sappiamo bene che gli enti fiera sono privati e che come tali ragionano - ma ci piace pensare che un giorno Fiera di Milano, Verona e Bologna (sicuramente i più importanti enti fieristici del Paese) si siederanno ad un tavolo e si spartiranno le competenze – la moda a Milano, il vino a Verona, i motori a Bologna etc. - in modo da riuscire ad avere una sola importante fiera di settore di riferimento ogni anno.
Fonte: elaborazione a cura di Exportiamo redazione@exportiamo.it