A seguito della due giorni sul tema “La Finanza Islamica in Italia”, organizzata da Paradigma e a cui Exportiamo ha preso parte, abbiamo deciso di affrontare l’argomento nelle sue linee generali, essendo un tema molto vasto e ricco di particolari.

Spesso quando sentiamo parlare di Islam, di Paesi musulmani e di mondo arabo, oltre a fare confusione su quali siano, siamo spesso travolti da pregiudizi e visioni ingannevoli, dimenticando che in realtà la parola Islam é collegata a Salam, ovvero pace. Senza addentrarci in aspetti che possono essere di varia interpretazione, scopriamo insieme cosa tratta la finanza islamica e perché per l’Italia può essere una interessante opportunità.

La finanza islamica si fonda sull’interpretazione giuridica dei testi fondamentali: il Corano e la Sunna. L’Islam incoraggia il lavoro e il guadagno, ma condanna l’atteggiamento dell’uomo d’affari volto al solo profitto.

Nei Paesi islamici il sistema bancario inizia a fare i primi passi già dalla fine dell’Ottocento, anche se in realtà trattasi di banche straniere. La prima banca islamica nasce nel 1963 ad opera di un medico, sul modello delle casse rurali italiane di inizio XX secolo. Negli anni ’70 si affaccia così la moderna finanza islamica in seguito all’invasione di petrodollari che la maggior parte dei Paesi mediorientali sperimenta in quegl’anni. Nascono le prime banche: Banca Islamica di Dubai, Banca Islamica Faisal del Sudan, Banca Islamica Faisal d’Egitto, Banca Islamica del Bahrein, Banca Amanah delle Filippine. Nel 1975 nasce infine anche la IDB – Islamic Development Bank, con sede in Arabia Saudita e con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e il progresso sociale dei Paesi musulmani. Si é assistito poi a un proliferare di istituti bancari anche privati, localizzati anche in Europa e in altre aree del mondo. Principalmente si distinguono due tipi di banche: le banche di sviluppo e le banche commerciali. Mentre le prime si occupano prevalentemente di promuovere lo sviluppo agricolo e sociale del territorio, le seconde si occupano della raccolta e cura del denaro che viene ivi depositato (per intenderci le banche tradizionali).

Elemento caratterizzante della finanza islamica é sicuramente il Consiglio della Shar?’a, un board obbligatorio in ogni banca islamica, il cui scopo é certificare come lecito e permesso il prodotto bancario/finanziario che la banca stessa eroga. Tale consiglio é composto da esperti studiosi di legge islamica specializzati nel settore finanziario e bancario. Il suo ruolo non é puramente di controllo, ma é costruttivo, aiutando i dirigenti bancari a conformarsi alla Shar?’a.

L’interesse per la finanza islamica é cresciuto esponenzialmente, non solo tra i musulmani, per i quali seguire i precetti religiosi é un obbligo, ma anche per tante altre persone di diversa fede, e questo perché parliamo in primis di una finanza etica, comunitaria che segue il principio bottom-up. Inoltre é importante sottolineare che la finanza islamica può e di fatto coesiste con la finanza convenzionale, molte sono le windows operative di banche occidentali in Paesi islamici (tranne in Qatar, unico Paese che le vieta).

Di seguito elenchiamo alcuni contratti della finanza islamica.

Distinguiamo tra contratti Profit & Loss Sharing à Mush?rakah e Mudh?rabah, sono quei contratti in cui i rischi e i benefici sono condivisi secondo un accordo che ne stabilisce le proporzioni e contratti Non Profit & Loss Sharing à Mur?bahah, Wakala, Ij?rah e Istisna’, in tal caso i rischi e i benefici non sono ripartiti tra gli investitori e l’originator. Giusto per avere un’idea di quelli più utilizzati e familiarizzare con i nomi, il Mur?bahah può essere ordinario o basato sull’ordine per acquistare. Nel primo caso (Mur?bahah ordinario) il venditore é un commerciante che vende dei beni dichiarando il suo guadagno. È valido solo se si paga cash e il prezzo deve essere sempre fungibile. Il secondo caso (Mur?bahah basato sull’ordine per acquistare) viene utilizzato soprattutto dalle banche e, condizione essenziale, é che il finanziatore deve essere proprietario del bene che si vuole vendere e il tempo é fondamentale. L’Ij?rah é paragonabile al nostro leasing operativo. È bene tener presente che il leasing finanziario é invece considerato haram, ovvero illecito.

Infine un accenno va ai Sukuk. Sono bond islamici la cui emissione ha subito una forte crescita a livello globale, basti pensare che nel 2014 il Regno Unito e il Lussemburgo hanno emesso un sukuk sovrano. Si tratta sostanzialmente di certificati fiduciari con caratteristiche simili alle obbligazioni convenzionali. La differenza però sta nel fatto che i sukuk rappresentano la proprietà proporzionale di uno o più asset sottostanti costituiti da bene reali, utilizzati per produrre un rendimento. Quindi alla base vi é un’attività reale, un progetto, un bene, un investimento e in alcun caso un tasso di interesse, rib?. I sukuk devono essere ricondotti a una delle strutture analizzate in precedenza.

Halal o haram?

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Il significato del terminel halal é “lecito” e comprende tutto ciò che non é haram. Tale terminologia associata alla certificazione é identificabile in tanti settori, dal food al fashion, dalla cosmesi al farmacologico. Nel food, ad esempio, sono halal tutti gli alimenti che seguono un particolare rituale nella preparazione (sono escluse le carni bovine) e l’ideale sarebbe raggiungere un tayyab food ovvero un food biologico. Nei paesi islamici occorre la certificazione halal dei prodotti e riguarda l’intera catena di produzione. I Paesi che consumano maggiormente food halal sono Indonesia ($ 197 miliardi), Turchia ($ 100 miliardi), Pakistan ($ 93 miliardi), Egitto ($ 88 miliardi), Iran ($ 77 miliardi), ma anche Russia ($ 34 miliardi), USA ($ 13 miliardi), Francia ($ 11 miliardi) e Germania ($ 9 miliardi).

Ma la certificazione é indispensabile anche se si lavora in altri ambiti. Ad esempio, può sembrare assurdo, ma anche molti hotel o compagnie aeree hanno richiesto tale certificazione per poter offrire servizi differenti quali uno spazio per la preghiera, del cibo halal, delle aree dedicate alla cura della persona solo femminili. Possono sembrare accortezze banali, ma tali piccole indicazioni raggiungono una fetta crescente di consumatori. Nel 2012 é stata stimata la spesa in turismo dal mondo musulmano in $ 137 miliardi, ed entro il 2018 si stima che crescerà a $ 181 miliardi. Qualche numero anche dal settore farmaceutico e cosmetico del mondo musulmano, rispettivamente il terzo e il sesto mercato più grandi del mondo. Nel primo caso, nel 2012, la spesa é stata di $ 70 miliardi, ovvero il 6.6% delle spese globali e crescerà entro il 2018 a $ 97 miliardi. Nel secondo caso, nel 2012, la spesa del mondo musulmano é stata di circa $ 26 miliardi, ovvero il 5.76% delle spese globali ed entro il 2018 raggiungerà i $ 39 miliardi.

Appare evidente come l’Italia possa giocare un ruolo di primo piano in tale ambito. Molte imprese potrebbero iniziare a produrre prodotti halal e molti ristoranti potrebbero iniziare a richiedere tale certificazione. Il turismo é sempre più crescente nei Paesi islamici e ciò che i musulmani cercano all’estero non é la loro cucina, ma la possibilità di poter sperimentare altri prodotti che siano Shar?’a Compliant. È un mercato enorme e le potenzialità ci sono. Senza trascurare una domanda interna, nel nostro Paese, di oltre 1,6 milioni di musulmani residenti oltre ad un crescente interesse anche dai non musulmani verso tematiche etiche.

Infine per quel che riguarda i prodotti bancari/finanziari, una volta appurata la compatibilità con il sistema convenzionale, l’Italia dovrebbe adeguarsi ai framework normativi che hanno già recepito gli strumenti di finanza islamica e promuovere un’iniziativa istituzionale affinché le aziende italiane capiscano l’importanza di essere incluse negli indici azionari islamici.  

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca D’Agostino, redazione@exportiamo.it

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