La fiscalità internazionale é un tema tanto caro quanto ostico agli operatori e alle imprese che hanno in qualche modo contatti con l’estero. In un mondo sempre più globalizzato la fiscalità internazionale é ormai parte integrante delle attività estere per individuare scelte strategiche adeguate. 

Vediamo dunque qualche aspetto fondamentale da non trascurare.

Innanzitutto occorre chiarire il concetto di residenza. Sono considerati non residenti coloro che non sono iscritti nelle anagrafi comunali dei residenti per la maggior parte del periodo di imposta, ovvero almeno 183 giorni l’anno e non hanno nel  territorio italiano né il domicilio (casa permanente di abitazione) né la residenza (considerata la dimora abituale). Per le società la residenza fiscale coincide con il luogo dove la società é stata costituita. Tra i criteri di identificazione si includono: il luogo di costituzione e di prima iscrizione; il luogo dove la società ha la sua sede legale. 

Il diritto tributario internazionale si pone un duplice scopo: da un lato imporre una tassazione equa, in base al principio della capacità contributiva e al principio dell’uguaglianza e, dall’altro, eliminare le distorsioni fiscali. 

Le doppie imposizioni

Al giorno d’oggi i diversi Paesi del mondo convengono sempre più nella stipula di Convenzioni contro le doppie imposizioni, ciò al fine di eliminare la sovrapposizione tributaria sulla stessa ricchezza.

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Tali accordi prevedono che entrambi gli Stati possano prelevare un’imposta sullo stesso reddito, oppure che vi sia una tassazione esclusiva da parte di uno Stato. Fine ultimo della Convenzione é altresì prevenire l’elusione e l’evasione fiscale.

A tal proposito occorre fare molta attenzione al cosiddetto fenomeno dell’esterovestizione, ossia la fittizia localizzazione della residenza fiscale all’estero (solitamente nei paradisi fiscali, ove vige una bassa fiscalità) di soggetti in realtà residenti in un altro Stato, solo al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dal reale Stato di appartenenza. Nella normativa fiscale italiana l’articolo che disciplina tale aspetto é l’Art. 37-bis del D.P.R. n.600/1973 “Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

Valutiamo alcuni strumenti di ingresso in un Paese estero e le diverse tipologie di imposizione fiscale da parte dell’ordinamento italiano. 

Ufficio di rappresentanza

È uno strumento soft che permette di entrare in un mercato estero poiché non presenta le caratteristiche di una personalità giuridica autonoma, non può svolgere attività commerciale, non può emettere fatture né ricevere pagamenti. È semplicemente una vetrina attraverso la quale l’impresa punta a farsi conoscere per promuove all’estero il proprio prodotto/servizio.

È chiaramente l’ideale per tutti quei soggetti che non si sentono ancora pronti e forti per poter instaurare delle joint-venture o dei rapporti con partner stranieri. L’ufficio non produce reddito di conseguenza non subisce alcun carico fiscale. I costi sono deducibili interamente dalla casa madre.

Occorre prestare molta attenzione poiché nel caso in cui all’estero vengano esercitate attività commerciali/produttive  non si può più parlare di ufficio di rappresentanza, poiché lo stesso assumerebbe le vesti della Stabile Organizzazione. 

Stabile organizzazione – S.O.

Il concetto di stabile organizzazione viene definito solo in pochi stati come l’Italia, l’Australia, i Paesi Bassi e la Germania. L’art 5 del Modello OCSE la definisce come una “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato”. La stabile organizzazione pur rappresentando una presenza più invasiva nel Paese estero non costituisce soggetto passivo d’imposta, in quanto priva di indipendenza essendo assoggettata alla casa madre. Nel caso italiano le eventuali imposte pagate nel Paese estero possono essere recuperate attraverso un credito d’imposta. Tra i vantaggi principali di una S.O.  vi sono l’esenzione IRAP, la deducibilità dal reddito della casa madre delle perdite prodotte all’estero, non é prevista la ritenuta alla fonte sui profitti che la S.O. rimette alla casa madre.

Società estera – subsidiary

Società di diritto locale a tutti gli effetti, assoggettata alla legge del posto, ha piena autonomia fiscale e giuridica. In Italia verranno tassati solo gli utili distribuiti. È chiaro che le cose cambiano se la controllata ha sede in un Paese facente parte della black list (si applica in tal caso la disciplina della CFC – Controlled Foreign Companies).

Vi sono infine diversi tipi di società estere per le quali é possibile optare:

- Società commerciale;

- Società produttiva;

- Royalty company;

- Sub-holding di partecipazione;

- Centro di tesoreria;

- Centro di rifatturazione di costi del Gruppo.

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Consiglio: cosa scegliere tra una S.O. e una subsidiary? La risposta non può essere univoca, però molti convergono su quanto segue. Se la società estera é già attiva e produce perdite é il caso di optare per una S.O. (dato che le perdite sono compensabili con il reddito della casa madre); mentre se produce utili é il caso di optare per una subsidiary, in quanto la tassazione italiana é rinviata solo al momento della distribuzione degli utili. E anche noi di exportiamo non facciamo eccezione!

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca D’Agostino, redazione@exportiamo.it

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