In un recente appello pubblico il Vice Presidente per l’Europa di Confindustria, Luisa Ferrarini - nota imprenditrice del settore agroalimentare – ha lanciato un grido d’allarme di fronte ai dati relativi al I^ semestre 2014 e alla contrazione delle vendite italiane del 9% verso la Federazione Russa e del 25% verso l’Ucraina. Il dato é ancora più preoccupante in prospettiva e - qualora la flessione dovesse prolungarsi fino alla fine del 2014 - la perdita ammonterebbe circa a 1,5 miliardi di Euro per 2/3 verso la Russia e per 1/3 verso l’Ucraina

La stessa Coldiretti registra a settembre 2014 una perdita di oltre 20 milioni di Euro a causa delle ritorsioni russe contro i prodotti provenienti dall’Unione Europea e nelle scorse settimane non sono mancati i “rimbalzi” alla dogana per i TIR italiani. 

Il Cremlino prova a cogliere l’occasione per diversificare approvvigionamenti, mercati e sviluppare la produzione interna, una strategia sempre popolare a Mosca ma non senza incognite e rischi anche alla luce degli effetti delle sanzioni su finanze e inflazione.

L’export europeo di beni e servizi verso la Federazione Russa é progressivamente aumentato negli ultimi anni trainato soprattutto da meccanica strumentale, mezzi di trasporto, prodotti chimici e agroalimentari. Ugualmente la Federazione Russa é il partner strategico fondamentale sul piano energetico per l’Europa avendo garantito ininterrottamente dal 1957 le forniture di petrolio e dal 1974 quelle di gas naturale: l’energia necessaria per lo sviluppo industriale europeo dei decenni passati e per superare i tanti rigidi inverni. 

Oggi la dipendenza energetica del “Vecchio Continente” da Mosca é ancora importante per non dire che la Federazione Russa é un partner insostituibile ma al contempo interdipendente, soprattutto in un mercato con una “distribuzione rigida” come quello degli idrocarburi: UE importa il 31% del metano, il 27% del petrolio, il 24% del carbone russo così come la Russia esporta verso l’UE l’88% del petrolio, il 70% del gas e il 50 % del carbone

Le sanzioni UE alla Russia colpiscono le nostre aziende che nel corso degli ultimi 15 anni, anche a fronte di ingenti investimenti promozionali pubblici e privati per intercettare la voglia di “Made in Italy” del grande mercato russo, hanno consolidato il loro posizionamento commerciale. Il “Belpaese” rappresenta – dopo la Germania - il secondo partner commerciale europeo della Federazione Russia e il quinto a livello mondiale (dopo Cina, Germania, Stati Uniti e Ucraina). Nel 2013 é stato registrato un interscambio commerciale di oltre 30 miliardi di Euro con le esportazioni italiane costituite principalmente da meccanica strumentale, abbigliamento, arredamento, mezzi di trasporto e prodotti agroalimentari.

A fronte di questi dati quello che si chiede all’Europa da parte delle nostre aziende sensibilmente colpite da questa fase d’instabilità e di veti incrociati, é perseguire tutte le possibili strade per favorire la normalizzazione delle relazioni economiche e commerciali con la Federazione Russa nell’interesse comune di trovare una soluzione alle turbolenze dovute all’escalation militare in Ucraina Orientale, dove qualcosa si muove o meglio rimane fermo.

Cosa succede in Ucraina Orientale?

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Oggi c’é calma - a tratti apparente - sul fronte dell’Ucraina Orientale, sancita dal recente accordo raggiunto lo scorso 20 settembre a Minsk, dopo ore di colloqui all’interno del Gruppo di Contatto tra i rappresentanti Ucraini, Russi, dei Separatisti Filorussi e sotto la supervisione degli Osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa - OSCE

Il Memorandum ha finalmente realizzato sul campo l’intesa per il cessate il fuoco sottoscritta il 5 settembre e prevede tra i suoi 9 punti la creazione di una zona smilitarizzata nella regione orientale dell’Ucraina sotto il controllo degli Osservatori OSCE, il ritiro dei combattenti stranieri e dei mercenari; il divieto di sorvolo per gli aerei militari nell’area del conflitto, ecc.

Nelle ultime settimane effettivamente ci sono state molte evoluzioni sui diversi fronti del conflitto e da parte dei diversi attori coinvolti. 

Il 16 settembre il Parlamento UE e contestualmente il Parlamento Ucraino hanno approvato l’Accordo di Associazione UE-Ucraina, “pomo della discordia” e in prospettiva minaccia concreta per la Russia di vedere sparire l’ultimo spazio neutrale per evitare di avere la NATO ai propri confini rispolverando quasi inconsciamente analisi e sensibilità da Guerra Fredda. 

La “Crisi Ucraina” vede infrangersi nel confronto con la realtà le aspirazioni russe di inglobare l’Ucraina nella nascente Unione Euroasiatica, progetto di Unione Doganale con Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tajikistan lanciato recentemente e che sarà effettivamente operativo dal 1° gennaio 2015 con il rischio concreto di scadere in progetto ideologico. 

Il Presidente Ucraino Petro Poroshenko si é recato successivamente il 18 settembre in visita negli Stati Uniti per chiedere un supporto più concreto e dimostrare la ferma volontà di affrancarsi dalla sfera di Mosca mentre Putin dichiarava, per poi subito smentire, che in due giorni le sue truppe sarebbero state in grado di arrivare a Varsavia e Bucarest. 

La relativa stabilizzazione conseguente al recente Accordo sul cessate il fuoco ha avuto invece diverse reazioni al di là e al di qua dell’Oceano. 

Il Presidente Obama il 24 settembre durante il suo intervento all’Assemblea Generale dell’ONU condannava senza mezzi termini la Russia affermando come:

“L’aggressione russa in Europa ricorda i tempi quando le Nazioni più grandi calpestavano quelle più piccole perseguendo ambizioni territoriali”.

La Exxon é stata costretta a bloccare la joint-venture con la Rosneft per l’esplorazione del Mare Artico proprio mentre la società russa confermava la scoperta nel Mare di Kara di un enorme giacimento di petrolio con riserve paragonabili secondo le stime a quelle saudite. La stessa Rosneft che da sola produce più greggio di alcuni Paesi OPEC, possiede asset importanti in Italia con partecipazioni rilevanti in Pirelli e Saras.

Sull’Asse Mosca-Pechino - dopo anni di lunghi negoziati – prosegue invece il rafforzamento delle relazioni bilaterali e dopo la firma lo scorso maggio dell’Accordo per la fornitura di gas dal valore complessivo di oltre 400 miliardi di Dollari per i prossimi 30 anni, recentemente Mosca ha dichiarato che entro il 2018 sarà in grado di fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi (mmc) di gas all’anno.

Europa-Russia verso un nuovo inverno

In Europa l’attenzione dell’opinione pubblica invece oltre che sul supporto umanitario alle popolazioni straziate dal conflitto, la discussione si é subito concentrata sull’opportunità o meno di rivedere l’impianto sanzionatorio creato a più riprese nel 2014 con le decisioni assunte dal Consiglio Europeo a marzo, luglio e settembre nei confronti di singoli individui, banche e aziende di rilievo dell’economia russa. 

Dopo un’iniziale fase interlocutoria l’UE ha attuato un graduale allineamento del proprio quadro sanzionatorio a quello degli Stati Uniti includendo anche il divieto formale per i soggetti europei di condurre attività commerciali e finanziarie con alcuni istituti bancari e aziende russe, restringendo l’attività di export verso alcuni settori dell’economia russa. Il 30 settembre l’UE ha ribadito il proprio impianto sanzionatorio nei confronti della Russia perché pur riscontrando degli “sviluppi incoraggianti” si continua a constatare la non completa osservanza da parte della Russia delle condizioni pattuite a Minsk.  

Tra le misure restrittive nei confronti della Federazione Russa vi sono anche il blocco dei Programmi della Banca Europea degli Investimenti - BEI e della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo - BERS

Nel frattempo anche per Mosca le notizie non sono molto confortanti e il Fondo Monetario Internazionale – FMI ha recentemente rivisto al ribasso le stime di crescita dell’economia russa sia per l’anno corrente (da 1,2% a 0,2%) che per il 2015 (da 2,3% a 1%). Alexei Kudrin, ex Ministro delle Finanze della Federazione Russa - ormai tra i pochi russi a criticare il governo nella gestione della crisi ucraina - ha ribadito come il Paese sia a rischio recessione e come di conseguenza sarà difficile garantire il potere di intervento dello stato sia nel welfare che nella politica industriale così come mette in guardia sulla quasi insignificanza del “Partenariato Orientale” con la Cina nel brevissimo periodo e come l’instabilità e le turbolenze ai confini saranno limiti all’attrazione di investimenti stranieri.

L’inverno é alle porte e probabilmente il braccio di ferro non conviene a nessuno.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

 

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