La scelta del Paese target richiede una attenta valutazione di variabili e rischi. Prima di tutto occorre fare un’analisi sull’attuale geografia del commercio mondiale e osservare come l’Italia si posiziona in questo contesto notevolmente diverso rispetto al recente passato. La crisi del 2008-2009 ha infatti contribuito a ridisegnare nuove geografie, spostando crescita e commerci 

La posizione dell’Italia

Il nostro Paese ha avuto una perdita di competitività con un calo delle esportazioni di manufatti sul commercio mondiale. Il problema dell’Italia non é solo dimensionale ma anche culturale. Non si investe in formazione, informazione, studi e ricerche di mercato, risorse umane interne ed esterne in grado di preparare l’impresa ad aggredire mercati lontani. L’impresa italiana si é affidata per troppo tempo all’Unione Europea, narcotizzata dall’appeal del Made in Italy e da verso l’Asia, l’America Latina e in alcuni Paesi dell’Africa Sub Sahariana. Basti pensare che la sola Cina é diventata il primo esportatore al mondo con una quota di mercato pari al 10,4% seguita da USA e Germania. 

Il concetto di “hub”

Solo nel 2012 sono entrati in vigore 12 accordi preferenziali (soprattutto a carattere regionale, bilaterali e con la forma del libero scambio), la maggior parte tra Nord e Sud America, relativi non solo al commercio di beni ma anche di servizi, investimenti, proprietà intellettuale e facilitazione degli scambi. L’Unione Europea in particolare ha già concluso accordi con Messico, Singapore, Balcani e Nord Africa e sta attuando trattative con l’ASEAN, l’Associazione delle nazioni del Sud Est asiatico. Dunque la parola d’ordine diventa “hub”: non si può più considerare il singolo Paese, ma bisogna inquadrarlo nell’area regionale di cui fa parte se si vogliono cogliere ben più concrete opportunità di business. 

una geografia che l’ha premiata in passato ma che ora presenta il conto con strategie di sistema sbagliate.

La scelta del Paese target 

L’approccio da mantenere in questa scelta deve essere scientifico e razionale. L’imperativo é dunque agire non a caso o seguendo la moda del momento (“first mover”), ma tenendo presenti due aspetti fondamentali: l’attrattività del Paese (la sua dimensione, la domanda interna, i fattori critici di successo..) e la sua accessibilità (barriere doganali, fisiche, etc.). I Paesi definiti tecnicamente ad “elevata priorità” sono altamente attrattivi, vi si può entrare facilmente e, dunque, c’é la possibilità di ottenere una notevole posizione competitiva in tempi non lunghi. I Paesi da “conquistare” presentano invece un’alta attrattività e una bassa accessibilità, quindi anche se possono offrire delle opportunità interessati, hanno però degli ostacoli in entrata da superare. Infine, vi sono i Paesi da selezionare e tener presente in un medio-lungo periodo, perché facilmente accessibili ma che al momento non presentano un’elevata attrattività, cosa che però potrebbe accadere in futuro. Tenendo presente questi parametri, sarà più facile effettuare un processo di screening per identificare l’area geografica ed il Paese verso il quella indirizzare un valido processo di internazionalizzazione. 

Articolo pubblicato su Lookout Magazine N.6, Giugno 2014.

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