Un nuovo fenomeno in vista, nato non da poco, ma sicuramente emerso con più forza recentemente, parliamo di back-shoring ovvero il rientro della produzione nel paese d’origine e, molto spesso parliamo anche di near-shoring, l’internazionalizzazione nei Paesi limitrofi. Ma scopriamo insieme qualche dettaglio in più.

Da uno studio condotto da un gruppo di ricerca italiano inter-Universitario* emerge una tendenza di rilocalizzazione, accentuatasi negli ultimi anni, soprattutto tra le economie manifatturiere le quali iniziano a concentrarsi sulla qualità dei loro prodotti e quindi a rispostare la fase di produzione nel Paese d’origine, dove, nel nostro caso, il marchio Made in Italy é tornato a splendere.

Sono state osservate 376 aziende, per l’Italia 79. Dalla classifica l’Italia si colloca al secondo posto dopo gli USA e prima di Germania, Inghilterra e Francia. Tra le imprese italiane che hanno lasciato Paesi quali la Cina, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, si segnalano Beghelli, Bonfiglioli e Furla. I motivi sono prettamente economici. I costi di trasporto per queste società sono aumentati nel tempo e incidono pesantemente, assottigliando di conseguenza il margine. La logistica incide per ben il 92% fra le motivazioni che hanno spinto al rientro, seguita da aumento dei costi produttivi, scarsa qualità produttiva, ritardo nelle consegne. Furla, azienda bolognese, é tornata nel nostro Bel Paese proprio perché la manifattura italiana resta imbattibile e altrettanto ha fatto Nannini, azienda fiorentina. 

Il fenomeno é abbastanza diffuso e assume diverse interpretazioni a seconda della prospettiva adottata. È chiaro, ad esempio, come mostra l’immagine che segue, che la prospettiva cambia se adottiamo una visione USA del fenomeno o una brasiliana.

Reshoring: prospettiva USA                                       Reshoring: prospettiva Brasile

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Fonte: elaborazione dati da Reshoring Initiative. Bringing Manufacturing Back Home, CEDRIS.

Nel primo caso, il reshoring USA, le aziende statunitensi una volta rientrate in Patria effettuano poi investimenti di nearshoring in Paesi limitrofi, quali Canada e Messico, considerando offshoring il resto del mondo. Nel secondo caso, la prospettiva brasiliana si allarga guardando al Sud America e considerando in seconda ipotesi gli altri Paesi del mondo. Tutto ciò anche in vista di mutate condizioni e allineamenti strategici, per cui converrà spostarsi verso il mercato limitrofo più promettente.  

Interessante però, sul versante opposto, appare l’interesse di tante aziende estere a investire in Italia. Non da ultima la Philip Morris che ha deciso di stipulare un accordo 2014-2015 con la Coldiretti per l’acquisto di tabacco italiano a chilometro zero e che permetterà all’Italia stessa di vendere il 60% e il 30% delle due diverse qualità di tabacco greggio prodotto. Insomma accordi diversi, che puntano oltre che sulla qualità e sui profitti anche sulla responsabilità sociale, sulla sostenibilità ambientale e sulle best practice agricole. 

Concludiamo sottolineando che l’investimento offshoring non é morto o superato, bensì si tratta di considerare delle alternative più che valide, come il back e il near shoring e trarre le giuste considerazioni per portare il proprio business nel mondo!

 

Fonte: rielaborazione dati da Uni-CLUB MoRe Back-reshoring Research Group. Di Francesca D’Agostino, redazione@exportiamo.it

 

* Le Università coinvolte nel progetto sono: Università di Catania, Università dell’Aquila, Università di Udine, Università di Bologna, Università di Modena e Reggio Emilia.   

 

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