Sebbene il divario digitale tra le medie imprese italiane sia ancora elevato, esiste un ampio potenziale di miglioramento grazie ad investimenti mirati, formazione digitale e incentivi fiscali che possono fungere da catalizzatori per un salto significativo, proiettando il settore manifatturiero italiano verso una posizione di leadership nell’innovazione digitale, con impatti positivi su economia e competitività globale.
Soltanto il 5% delle medie imprese italiane può dire di essere “innovatore” per quanto riguarda la maturità digitale, grazie a un’elevata visione digitale ben integrata nei processi aziendali. Queste aziende beneficiano di tassi di crescita degli utili e delle esportazioni strutturalmente superiori a quelle concorrenti, doppiando le imprese meno digitalizzate in termini di tasse pagate e crescita della forza lavoro. È quanto emerge dallo studio “It’s all about IT” sulla digitalizzazione delle medie imprese italiane, presentato in occasione della Mid Cap Conference di Mediobanca e realizzato da Mediobanca Research in collaborazione con Google.
Per condurre la propria indagine Mediobanca Research ha sviluppato un sistema di rating proprietario innovativo che valuta la maturità digitale di ciascuna impresa. Si tratta di una classificazione in “innovatori”, “sperimentatori” o “principianti” ideata a partire dall’analisi di cinque aree: infrastruttura digitale, uso dei canali digitali, analisi dei dati, competenze digitali, tecnologie all’avanguardia come l’Intelligenza Artificiale.
Nel contesto della ricerca, sono state sondate circa 600 medie imprese rappresentative del 6% del totale nazionale. Il campione evidenzia una concentrazione verso le imprese del Nord Italia, attive nel settore manifatturiero e orientate all’export (il 50% delle imprese genera più del 50% del fatturato al di fuori dell’Italia). Per quantità e composizione il campione risulta statisticamente significativo, consentendo di trarre conclusioni generali per il settore manifatturiero italiano, espressione del 40% del valore aggiunto nazionale e del 19% del comparto a livello europeo.
Il 56% delle imprese che hanno preso parte allo studio hanno ottenuto il rating “sperimentatore“, che identifica le aziende dotate di una chiara visione digitale che mantengono tuttavia margini di miglioramento nell’utilizzo di strumenti a supporto del processo di innovazione. A rientrare nel cluster delle aziende “principianti” è invece il 39% del campione, anche se molte di queste aziende hanno già intrapreso un percorso virtuoso e non sarebbero dunque lontane da una promozione a “sperimentatore”. Un quadro dell’ecosistema delle medie imprese incoraggiante per il futuro, confermato dalle risposte di un’azienda su quattro circa la “forte comprensione che avere una strategia digitale è fondamentale per garantire la propria crescita o sopravvivenza”.
Tra le aree di intervento che le imprese considerano prioritarie vi è quella della revisione dei processi interni con necessità, in particolare, di integrare e rafforzare strumenti e piattaforme digitali di marketing a supporto dell’attività di vendita. Circa il 30% del campione sceglie canali digitali per raggiungere i clienti e pubblicizzare prodotti o servizi, ma non finalizza il processo di acquisto online. Anche per i sistemi CRM la transizione si ferma spesso a metà. I software che supportano la gestione della clientela non sono utilizzati in maniera efficiente o integrata in almeno il 40% dei casi, perché non utilizzati trasversalmente da tutte le divisioni di business o perché connessi ad altri sistemi, in alcuni casi non digitali.
Lo studio, oltre a stimare l’incidenza degli investimenti tecnologici sulla crescita strutturale delle imprese, identifica i maggiori ostacoli che si incontrano lungo il percorso di trasformazione digitale e individua iniziative utili ad accelerare il processo. In termini di crescita un incremento contenuto degli investimenti consentirebbe alle imprese “sperimentatrici” di diventare “innovatrici”.
Guardando ai dati aggregati, un investimento con impatti sostenibili sui saldi di finanza pubblica (stimato intorno a 28 miliardi di euro) consentirebbe di elevare l’intero settore manifatturiero italiano al rating “innovatore”. “Stimiamo che questo impulso allo sviluppo delle imprese sprigionerebbe una maggiore crescita del PIL nazionale dello 0,7% nei prossimi cinque anni”, afferma Andrea Filtri, Co-Head di Mediobanca Research.
Lo studio ha dunque identificato quali maggiori ostacoli alla digitalizzazione delle imprese la penuria di lavoratori digitalmente alfabetizzati, i processi aziendali poco digitalizzati e/o integrati tra loro e la necessità di sostenere investimenti elevati a livello di singola impresa. In particolare, l’introduzione dell’educazione digitale in età scolastica, la riforma degli istituti tecnici superiori e la riqualificazione della forza lavoro sono le leve utili a garantire la formazione di capitale umano digitalmente alfabetizzato.
Fondamentale inoltre, nell’ottica della gestione finanziaria, una riformulazione degli incentivi fiscali legati a investimenti tecnologici che preveda crediti d’imposta per importi tali da coprire almeno il costo di finanziamento, una parte sia dei costi di implementazione che di quelli di aggiornamento del software di macchinari non obsoleti e che garantisca una loro maggiore stabilità nel tempo, al fine di consentire visibilità sugli investimenti in un arco pluriennale.
La trasformazione digitale non è solo una necessità, ma un’opportunità di crescita strutturale per il settore manifatturiero italiano, con impatti positivi sia a livello economico che sociale.
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it
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