L’Italia vanta una buona propensione all’export, frutto di un’ottima considerazione dei prodotti made in Italy sui mercati globali, ma si scontra con un grave ritardo infrastrutturale rispetto ai principali competitors mondiali che penalizza il paese e ne limita le performance.
Lo sviluppo infrastrutturale di un Paese incide inevitabilmente sul suo potenziale di crescita economica, sulla competitività del suo tessuto produttivo e sul benessere della collettività. L’Italia, nonostante l’elevata propensione al commercio internazionale, sconta un sensibile ritardo rispetto ai principali competitors internazionali. Un costo che per il paese nel 2022 si è tradotto in 93 miliardi di euro di “export perduto”, circa il 15% del valore complessivo delle esportazioni nazionali. E questo proprio nel momento in cui la domanda di prodotti made in Italy sui mercati internazionali è in costante crescita. Negli ultimi 5 anni il valore dei beni venduti all’estero è aumentato del 43%, ma se non fosse stato per i ritardi nello sviluppo infrastrutturale, questa cifra sarebbe stata molto più alta.
Tra i settori più colpiti c’è quello agroalimentare, per il quale la logistica risulta cruciale. A fronte di un valore record di 60,7 miliardi di export nel 2022, la perdita è stata di 9 miliardi. È andata peggio per tessile e abbigliamento (9,1 miliardi), prodotti chimici (16,8 miliardi) e macchine ed apparecchi meccanici (23,1 miliardi).
L’analisi dei dati relativi all’indice di competitività elaborati dal World Economic Forum delinea un quadro poco rassicurante per l’Italia, che si colloca al 30esimo posto con uno scarto marcato rispetto ai principali competitor a livello mondiale. Nelle prime due posizioni ci sono Singapore e Stati Uniti, mentre i Paesi Bassi sono quarti, la Germania settima, la Francia 15esima e la Spagna 23esima. Focalizzando, invece, l’attenzione sul sistema di trasporto e logistica l’Italia è 17esima per competitività delle infrastrutture. Le peggiori performance si registrano nel trasporto marittimo, dove il nostro Paese è 24esimo, mentre sale al 19esimo posto per il trasporto aereo e al 15esimo per la rete ferroviaria.
L’Italia è fra i Paesi europei che ricorrono con maggiore intensità al trasporto su gomma, con un’incidenza significativa dell’87% delle merci movimentate. Si tratta di un dato superiore a quello della media Ue, che è del 77%. Escludendo i paesi più piccoli, con una superficie inferiore ai 100mila chilometri quadrati, l’Italia è al terzo posto in Europa, dopo Grecia e Spagna, a pari merito con la Francia e avanti a Polonia, Germania, Finlandia, Svezia, Bulgaria e Romania. Tuttavia, all’elevata intensità del trasporto su gomma non corrisponde una preminenza in termini di qualità delle infrastrutture viarie. L’analisi dell’indice relativo alla qualità delle strade, infatti, colloca l’Italia nella parte bassa della classifica, alla pari con Belgio e Irlanda. Stanno peggio soltanto Romania, Lettonia, Ungheria, Polonia, Malta, Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria. E i numeri sono destinati a peggiorare con la chiusura per manutenzione straordinaria (al momento rinviata di dodici mesi) del traforo del Monte Bianco, dove ogni anno passano poco meno di 10 milioni di tonnellate di merci.
Nel sistema logistico nazionale le merci movimentate con i treni sono appena il 13% del totale, a fronte di una media europea del 17%. Il trasporto delle merci su rotaia è, invece, molto intenso in Lituania (65%), Lettonia (57%), Estonia (39%) e in Slovenia (35%). Peggio dell’Italia fanno soltanto Francia (10%), Paesi Bassi (6%) e Spagna (4%).
Sulle performance del nostro Paese, inoltre, pesa la dicotomia fra le varie aree. Le regioni centro-settentrionali possono contare su collegamenti stradali e ferroviari più veloci, oltre che su maggiori possibilità di accesso ai principali scali aeroportuali e portuali. Le regioni del Sud e le isole, invece, si trovano in una situazione di svantaggio, fatta eccezione per le aree della fascia tirrenica. Va, inoltre, considerato che i doppi binari sono presenti soltanto nel 46% delle tratte, mentre è elettrificato il 75% delle linee ferroviarie al nord e il 58% al sud.
I numeri evidenziano uno scarso potenziale di accesso all’intermodalità, ossia all’integrazione fra rete stradale, collegamenti ferroviari e trasporti marittimi. Oltre ad avere un peso rilevante nell’efficienza delle catene di fornitura, la mancanza di un giusto equilibrio fra le varie modalità di trasporto delle merci incide negativamente sulla competitività del tessuto produttivo nazionale. Le ripercussioni sono pesanti soprattutto in periodi come quello attuale, in cui il passaggio senza soluzione di continuità dalla pandemia alla guerra ha determinato un marcato incremento dei costi energetici, dei carburanti e della logistica.
Se per i trasporti marittimi l’aumento è dovuto principalmente all’innalzamento dei costi dei container, per i noli del settore aereo i costi sono rimasti elevati a causa della contrazione dell’offerta di voli di linea e del caro carburante. L’incremento del prezzo della benzina, insieme con la difficoltà di trovare autisti, è alla base degli aumenti registrati nel trasporto su gomma. La fine delle misure introdotte dal governo per contenere il prezzo finale del carburante ha peggiorato la situazione. L’Italia è passata dalla nona alla quarta posizione in Europa, registrando valori decisamente più alti rispetto al 2020 (+31%).
Per tutte queste ragioni la chiusura alla circolazione del traforo del Monte Bianco fa crescere la preoccupazione di un ulteriore contrazione delle esportazioni. I principali corridoi, dal Brennero al Frejus, movimentano 166 milioni di tonnellate di merci, di cui il 66% su strada e il 34% su rotaia, ma non bastano per permettere all’Italia un balzo in avanti sul piano della competitività.
Per risalire la china saranno necessari interventi straordinari, a cominciare da quelli previsti nel Pnrr, la cui realizzazione diventa, a questo punto, imprescindibile.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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